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L’importanza di essere un’azienda sostenibile: indicazioni strategiche per una transizione strutturale

Il 79% dei consumatori sta modificando le preferenze di acquisto sulla base dell’impatto sociale, economico e ambientale. «Essere sostenibili per le organizzazioni non è più un nice to have ma un must to be», afferma Alessia Coeli, Responsabile Area Formazione ALTIS Università Cattolica, che illustra come trasformare radicalmente un’azienda in una realtà sostenibile

Pubblicato il 22 Dic 2021

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La sostenibilità non può più attendere, lo grida il Pianeta e ora ne prende coscienza anche la gente. Sempre più consumatori oggi praticano comportamenti orientati alla sostenibilità nella vita quotidiana e il 79% sta modificando le proprie preferenze di acquisto sulla base dell’impatto sociale, economico e ambientale dichiarando di percepire sensazioni positive ogni qual volta compera prodotti sostenibili. Tuttavia, sebbene i risultati delle organizzazioni che hanno già avviato approcci sostenibili al loro interno siano certamente positivi, con il 77% che afferma di aver aumentano la fedeltà dei clienti e il 63% di aver registrato un aumento delle entrate, in generale buona parte delle imprese fa ancora fatica a comprendere come la sostenibilità stia modificando profondamente le preferenze dei consumatori in termini di fiducia, lealtà e anche aspettative di prezzo. Bisogna quindi fare molta attenzione: si calcola un 6% circa di opportunità di guadagno perse per le organizzazioni che non si concentrano su pratiche di sostenibilità. A rivelare questi dati è lo studio realizzato dalla società di consulenza globale Capgemini dal titolo abbastanza esaustivo “Consumer Products and Retail: How sustainability is fundamentally changing consumer preferences“. Lo studio si conclude con quattro indicazioni strategiche: spingere i dipendenti a praticare internamente comportamenti sostenibili e sensibilizzare i consumatori attraverso la formazione, la consapevolezza e la scelta; costruire una solida governance della sostenibilità; collaborare con l’ecosistema più ampio per un impatto maggiore condividendo gli obiettivi di sostenibilità con reti e partner; posizionare la tecnologia al centro delle iniziative di sostenibilità per generare valore. Ed è disegnando un percorso che attraversa esattamente questi punti che Alessia Coeli, Responsabile Area Formazione ALTIS Università Cattolica, ci spiega come creare una strategia a più livelli per attuare in azienda una transizione strutturale in ottica sostenibile.

L’importanza di essere un’azienda sostenibile

Quanto conta oggi essere un’azienda sostenibile?

«Oggi essere sostenibile non è più una nice to have come poteva essere qualche anno fa, ma possiamo dire essere un must to be. La pandemia che stiamo vivendo ci ha fatto capire che non è più rimandabile un cambiamento strutturale volto a valutare l’ecosistema nella sua complessità e ragionare sull’introduzione di cambiamenti finalizzati a favorire il benessere generale. Tutti gli attori sono ormai consapevoli da questo punto di vista, seppur spesso assistiamo ad eventi, come nel caso della recente COP26, nei quali non si è pienamente soddisfatti dei risultati. Certamente di strada ce n’è ancora molta da fare, tantissima, anche se la direzione pare ormai segnata. Diversi gli strumenti messi in capo. Dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’Onu con i suoi 17 Obiettivi, al nostro PNRR che attorno al concetto di sviluppo sostenibile delinea le 6 missioni in cui si articola la strategia per la “ripresa e resilienza”, sino al Codice di Corporate Governance definito nel 2020 dal Comitato per la Corporate Governance promosso da Borsa Italiana incentrato ora sul parametro di “successo sostenibile”. Anche gli investitori guardano con estremo interesse verso società che dimostrano di essere oggi attente a tutto il tema ambientale, sociale e di governance, così è pure per Larry Fink di BlackRock per sua stessa ammissione. E se non bastasse ancora, si aggiunge un sostanzioso numero di ricerche realizzate negli ultimi anni che mostrano la propensione d’acquisto crescente verso beni sostenibili prodotti da aziende responsabili, non solo da parte di giovani e giovanissimi che sono oggi decisamente più coinvolti sull’argomento, ma anche da parte degli adulti; così come ricerche che rivelano quanto essere un’impresa che assume comportamenti sostenibili influisca positivamente sul livello di employer branding, ovvero sulla capacità di un azienda di essere attraente come datore di lavoro. In questo contesto carico di aspettative, la buona notizia per le imprese è che la sostenibilità non è un costo, ma un’opportunità. È stato dimostrato come aziende che avevano già adottato modelli sostenibili si sono dimostrate più resilienti in contesti critici oltre a registrare performance migliori».

Qual è il livello di penetrazione del concetto di sostenibilità all’interno delle aziende italiane e come gli stanno dando forma?

«Le imprese stanno facendo cose diverse, ed è normale sia così. Ciò che noi diciamo sempre, infatti, è che la strategia di sostenibilità deve essere declinata al business, quindi non è un qualcosa che si aggiunge, ma deve essere ragionata anche in funzione delle specificità del settore, dell’azienda e del contesto in cui l’azienda si inserisce. La strategia di sostenibilità deve essere una leva in più per poter effettivamente creare valore condiviso per la società e per l’azienda, toccando sfere come quella economica e reputazionale. All’interno delle imprese il concetto di mission sta cedendo il posto al concetto di purpose quale principio unificante che guida tutto ciò che fa l’organizzazione che è sempre più attenta non solo al profitto, ma anche a generare un impatto positivo sulla società e sul contesto di riferimento. Nascono così le Società Benefit (SB) che inseriscono nel proprio oggetto sociale oltre che obiettivi economici anche finalità di beneficio comune operando in modo responsabile, trasparente e sostenibile. L’altro trend che registriamo è che mentre fino ad oggi il tema della sostenibilità è stato preso in carico soprattutto dalle grandi aziende, adesso c’è un’attenzione particolare anche da parte delle PMI perché evidentemente hanno capito che la sostenibilità può avere una ricaduta diretta nell’efficientamento e nella competitività dell’azienda. Di fatto anche le PMI si stanno approcciando al tema non solo per consolidare il rapporto con le comunità locali con la quali da sempre sono legate, ma anche promuovendo una sostenibilità a livello di processo interno, pensiamo a tutto il tema dell’economia circolare, per esempio, decisamente rilevante in questo momento».

La governance sostenibile

Come si stanno evolvendo le forme di governance in ottica di azienda sostenibile?

«I dati emersi dalla IV edizione dell’Osservatorio Governance della Sostenibilità realizzato da Sustainability Maker (già CSR Manager Network) e ALTIS evidenziano quattro aspetti rilevanti a tal proposito. Primo, l’Italia, proprio grazie al Codice di Corporate Governance 2020 che citavamo sopra, si afferma come Paese leader nell’integrazione della sostenibilità nella struttura di governance aziendale: 35 aziende su 40 (87,5%) del FTSE-MIB hanno assegnato ad un comitato endo-consiliare il compito di presidiare i temi relativi alla sostenibilità. Sono per lo più consiglieri indipendenti e contribuiscono alla definizione e al monitoraggio delle politiche di sostenibilità. Il secondo aspetto riguarda le aziende italiane che danno sempre più spazio agli aspetti ESG (Environmental, Social and Governance) negli schemi di remunerazione dei vertici aziendali, con il 62,5% delle imprese che lega la componente variabile della remunerazione ad obiettivi di sostenibilità. Segue la necessità di competenze specifiche relative alla sostenibilità nel CdA (Consiglio di Amministrazione) con attualmente il 57,5% delle imprese che ha in CdA membri di cui è possibile identificare competenze sulle tematiche di sostenibilità. Infine, lo studio ha rilevato come i manager della sostenibilità siano determinanti quando cooperano col CdA; ormai presenti nel 93,3% delle aziende parte del FTSE-MIB, i manager della sostenibilità sono più coinvolti nella pianificazione strategica della sostenibilità (75% dei casi) e maggiormente efficaci nel proporre e realizzare attività soprattutto se collaborano a stretto contatto con altri manager».

Spazio ai manager della sostenibilità

Oltre a una corporate governance sostenibile, quali sono gli altri elementi per indurre una trasformazione strutturale profonda e duratura? 

«Per riuscire a portare avanti i piani strategici di sostenibilità è importante che i membri dei board siano consapevoli di ciò che significa, e di quali sono le ricadute, del non essere sostenibili. Quindi una formazione a livello di board (board induction) è fondamentale perché si danno agli amministratori quegli elementi per poter guidare consapevolmente le aziende. Ma l’altro passaggio imprescindibile è sicuramente creare anche favorire una consapevolezza diffusa e massiva sull’importanza di modelli sostenibili. Quando dico ‘massiva’ mi riferisco a un’attività di sensibilizzazione che inizia dalle scuole e che continua negli anni perché tutti siano consapevoli delle implicazioni dei propri comportamenti, sia in casa che al lavoro, nell’ambiente circostante. E poi c’è un tema di competenze invece tecniche e soft che servono alle persone che si occupano specificatamente di questi temi, ovvero i sustainability manager, i quali sono chiamati ad orchestrare il tema della sostenibilità all’interno di tutta l’organizzazione creando “alleanze virtuose” con i manager delle altre funzioni al fine di favorire innovazioni organizzative e di processo in chiave sostenibile. È chiaro che per ALTIS la formazione è lo strumento per favorire una contaminazione positiva e rendere quanto più pervasiva e concreta la sostenibilità all’interno dell’organizzazione».

Quali sono i progetti messi in campo da ALTIS Università Cattolica per sostenere lo sviluppo delle nuove competenze necessarie a guidare ed operare all’interno di un’azienda sostenibile?

«I percorsi creati a tal fine sono diversi: quello ‘storico’ che ora giunge alla sua 20esima edizione, il corso executive Professione e sostenibilità, rivolto a formare i manager della sostenibilità, oggi quasi 600 quelli passati nelle nostre aule e che oggi operano all’interno di varie aziende; il Master in Sustainable Business Administration che spinge i giovani a intercettare il cambiamento e tradurre la sostenibilità nelle diverse funzioni aziendali secondo la logica dell’Integrated Thinking; il Master in Finanza Sostenibile (organizzato sia nella versione per neo-laureati che per una classe ‘executive’, quindi più agile e più breve) che intende portare una cultura della sostenibilità all’interno della finanza toccando argomenti che vanno dagli investimenti ESG alla sostenibilità nella comunicazione finanziaria».

Partnership e formazione attiva

Quanto conta aprirsi all’esterno attraverso modelli di open innovation che coinvolgano nuove realtà tecnologiche così come giovani studenti o altre realtà produttive?

«Posto che non necessariamente un’organizzazione deve fare tutto da sola – anzi la storia ci insegna l’importanza strategica del creare sinergie – ritengo sia fondamentale ragionare in termini di alleanze costruttive, e ciò vale anche per quanto riguarda la formazione. L’università deve essere in grado di sviluppare alleanze virtuose tra l’ambiente accademico, il mondo dell’impresa e gli attori della società civile; non a caso, si parla della terza missione dell’Ateneo, ovvero l’impegno dell’università nel trasferire le competenze ai giovani affinché siano capaci nel dialogo con gli altri attori della società civile per produrre benessere in generale. In questo contesto nasce, per esempio, la partnership con Medtronic, la società tecnologica leader mondiale in soluzioni e servizi medicali, che si è resa disponibile nel creare momenti di scambio e formazione attiva all’interno della sua sede. Incontri che nascono in una logica win-win, nella quale a guadagnarci in termini di crescita di bagaglio di competenze sono i giovani, che hanno ora la possibilità di interfacciarsi e agire all’interno del mondo reale del lavoro, ma anche l’azienda ospitante che dalle nuove generazioni, native digitali, può trarre ispirazione e apprendere nuovi metodi e strumenti per raggiugere obiettivi più sfidanti, oltre che integrare la propria strategia di talent acquisition».

La sostenibilità passa dal digitale

Quale rapporto tra tecnologia e sostenibilità?

«Sono due le parole chiave scritte nel futuro, che in realtà è già adesso, e sono sostenibilità e digitalizzazione, l’una che si incrocia strettamente all’altra. Attraverso le nuove tecnologie digitali oggi prendono forma concetti come inclusione o innovazioni mirate alla sostenibilità ambientale, come quelle nell’ambito della smart mobility o per una gestione efficiente del consumo energetico tramite l’istallazione di dispositivi connessi alla rete (IoT). La digitalizzazione è ormai entrata a pieno titolo ad ogni livello e in ogni divisione aziendale, ed attraverso di essa è ora concretamente possibile intervenire in maniera efficace a sostegno della sostenibilità, fuori e dentro l’azienda stessa. E su questo l’Alta Scuola ha in serbo nuovi progetti!».

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