industria e capitali

PIR: opportunità per i risparmiatori, ma cruciali per le PMI. «Possono innescare la corsa alla quotazione»

I Piani Individuali di Risparmio, introdotti con grande successo dalla Legge di Stabilità 2017, sono pensati come sostegno alla piccola e media industria. Ma le società di gestione e le stesse PMI devono fare la loro parte perché funzionino, spiega Giuliano Noci, docente di Strategia & Marketing al Politecnico di Milano. E il Governo può migliorarli, per esempio con una “borsa di pre-accreditamento digitale”

Pubblicato il 14 Giu 2017

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I PIR, Piani Individuali di Risparmio, sono una nuova forma di investimento per persone fisiche, cioè piccoli risparmiatori, introdotta dalla Legge di Stabilità 2017. In pratica ogni persona può investire in un solo PIR un massimo di 30mila euro all’anno, e chi mantiene il capitale investito nel PIR almeno per 5 anni non subisce tasse sui rendimenti.

In cambio, lo Stato impone che queste risorse vadano a sostenere l’economia reale italiana, e in particolare le piccole e medie imprese. Il 70% dell’investimento infatti deve riguardare azioni e obbligazioni di imprese italiane, o europee con sede stabile in Italia. E il 30% di questo 70% – cioè il 21% dell’investimento – deve andare su strumenti finanziari emessi da imprese quotate, ma non incluse nel principale indice di Borsa italiano: il Ftse MIB. Parliamo quindi di imprese medie e piccole, quotate per esempio sul mercato AIM Italia o sul segmento STAR.

I PIR possono essere offerti da società di gestione del risparmio o assicurative. Quelli già disponibili sul mercato sono offerti dalle principali realtà del settore – tra le altre Anima, Arca, Mediolanum, Pioneer – e in pratica sono fondi comuni (mix di azioni, obbligazioni), polizze, gestioni patrimoniali e altri strumenti finanziari.

Introdotti dal primo gennaio, i PIR hanno ottenuto finora un successo molto superiore alle aspettative. Qualche giorno fa il Ministero dell’Economia ha alzato le stime di raccolta per il 2017 a 10 miliardi di euro, e secondo le previsioni di Equita SIM si arriverà a oltre 35 miliardi nel 2019, e a 55 miliardi entro il 2021. Inoltre secondo dati citati dal Sole 24 Ore, in Borsa nei primi 4 mesi dell’anno i volumi sono quasi raddoppiati sulle “small cap” e per il segmento Star e addirittura quasi quadruplicati sull’AIM Italia. Forte anche l’impatto sui prezzi: gli indici dei titoli a piccola e a media capitalizzazione quotati sulla Borsa italiana registrano un +23%, contro il +10,7% del Ftse MIB, e il +10,5% dell’indice EuroStoxx Mid, rappresentativo delle small e mid cap europee.

In questo scenario, qualche giorno fa Giuliano Noci, docente di Strategia & Marketing al Politecnico di Milano, è intervenuto sul Sole 24 Ore segnalando un certo “slittamento” della discussione generale sui PIR: si è parlato molto delle opportunità per il mondo del risparmio, questa la tesi dell’articolo, e troppo poco dei PIR come nuove fonti alternative di capitali per il mondo industriale, e in particolare per le PMI (piccole e medie imprese).

Ma il sistema economico italiano oggi non può permettersi questo slittamento. È importante quindi rifocalizzare il discorso, perché il momento è ora: le PMI italiane hanno bisogno di capitali, le fonti tradizionali non riescono a soddisfare questa esigenza, e i PIR potrebbero finalmente colmare questo gap.

«Il tempismo dell’introduzione dei PIR è perfetto rispetto alle sfide che le nostre imprese devono affrontare, e che richiedono forti investimenti: digital transformation, internazionalizzazione – in particolare quella verso i Paesi asiatici, che richiede pianificazioni attente e a lungo termine – e innovazione di prodotto». Il tutto in un momento in cui il sistema bancario è debole, mentre viceversa abbiamo molti risparmiatori con abbondante liquidità disponibile e interessati a forme di investimento alternative rispetto a quelle tradizionali.

Perché lo strumento PIR sia efficace per finanziare le PMI però, sottolinea Noci, le stesse PMI devono fare la loro parte, e così pure le Società di gestione dei fondi.

Le società di gestione devono creare i fondi evitando comportamenti opportunistici e puntando a privilegiare PMI ad alto tasso di crescita. In questo modo possono dare vita a un “effetto volàno”: il valore del fondo cresce, altri risparmiatori sono attirati, e nel contempo le PMI sono più portate a valutare l’opzione di quotarsi.

Le PMI invece sono chiamate a definire e comunicare al mercato chiare strategie e piani di investimento nel lungo periodo. Quelle non ancora quotate ovviamente devono fare anche dei passi preliminari, e cioè capire la necessità di profondi cambiamenti, e valutare con coraggio l’opzione appunto di ricorrere alla Borsa. Un coraggio che deve essere stimolato, e qui si chiude il cerchio, da un’opera di sensibilizzazione degli stessi gestori di fondi e della Borsa, oltre che di associazioni di categoria e altri portatori di interessi delle imprese. I segnali comunque – almeno per il segmento Medie Imprese – sono positivi, aveva sottolineato lo stesso Noci qualche settimana fa, commentando le performance del listino STAR di Borsa Italiana nell’ultimo anno.

Quanto al Governo, che ha introdotto i PIR, deve verificarne regolarmente i risultati in termini di impatti sul sistema delle PMI, con eventuali aggiustamenti. Noci ne suggerisce due: aprire lo strumento anche a imprese non ancora quotate ma già conformi con i requisiti di trasparenza, e creare una “borsa di pre-accreditamento digitale”, cioè una piattaforma online che faccia incontrare la domanda di risorse delle imprese e l’offerta dei gestori di fondi.

«I PIR possono innescare quella corsa alla quotazione delle nostre PMI che viene auspicata da decenni, con un vero effetto positivo sull’economia reale. Non ci sono scuse – conclude il docente -: la presenza di intermediari professionali supera le difficoltà delle PMI a rendersi visibili e credibili sul mercato dei capitali».

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