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Rachel Botsman: la sharing economy è solo l’inizio, il futuro è la fiducia distribuita

La fiducia “tradizionale” nei brand, nei leader, nelle istituzioni, sta crollando. Nuovi meccanismi abilitati dal digitale ci portano a fidarci di persone, aziende e idee sconosciute, vedi Airbnb, BlaBlacar, o Bitcoin. È un passaggio epocale, da “institutional trust” a “distributed trust”, basato su reti di persone, organizzazioni e macchine intelligenti. Il pensiero dell’autrice di “What’s Mine is Yours”, relatrice al World Business Forum di Milano

Pubblicato il 06 Nov 2017

Rachel Botsman

Il cambiamento indotto dalla Sharing Economy nel modo di fare business e nelle relazioni sociali è appena all’inizio: prepariamoci a un’era che ridefinisce in termini completamente nuovi che cosa sono una banca, un giornale, un brand di consumo o un partito politico, perché la tecnologia digitale ha innescato uno spostamento epocale nel concetto di fiducia, di “trust”, e nella percezione di chi, o che cosa, possa essere ritenuto affidabile. Questa la visione che Rachel Botsman, esperta mondiale di collaborazione e sharing economy, porterà all’edizione 2017 del World Business Forum di Milano.

Botsman studia da sempre il potere della collaborazione e della fiducia, e le modalità con cui questi fenomeni, guidati dalla tecnologia, cambieranno il nostro modo di vivere, lavorare e consumare: ha creato alla Saïd School of Business dell’Università di Oxford il primo corso MBA sul trust (che lei stessa tiene) e ha anticipato il successo di piattaforme come Uber e Airbnb prima che divenissero colossi della sharing economy. «La fiducia è la forza che ci spinge verso il nuovo, l’anello di collegamento tra il noto e l’ignoto – sostiene Botsman -: è una disponibilità a credere in qualcuno o qualcosa che non conosciamo, esattamente come abbiamo fatto la prima volta che abbiamo messo su Internet i dati della nostra carta di credito».

La definizione e l’analisi del sentimento di “trust” è il perno su cui ruota la riflessione di Rachel Botsman e su cui si innestano i concetti, complementari, di “collaboration” e “sharing” che stanno ridisegnando interi settori dell’economia. Nel suo libro ‘What’s Mine is Yours’ (HarperCollins, 2010), sostiene che trust, sharing e business sono interconnessi, perché la fiducia è il linguaggio sociale di scambio che lubrifica gli ingranaggi delle imprese e delle attività economiche. In questo volume l’esperta ha fornito una definizione della teoria del “consumo collaborativo” che la rivista americana Time ha inserito tra le dieci idee che cambieranno il mondo.

A Milano, nell’intervento “Le nuove regole della fiducia nell’era digitale”, Botsman sottolineerà la velocità con cui le start-up della sharing economy (Airbnb, Uber, Lending Club e tante altre) stanno trasformando i loro settori. E spiegherà quali sono le forze che permettono di stabilire, mantenere ma anche distruggere la fiducia dei consumatori, decretando il successo o il fallimento di un modello di business a seconda della capacità di un’organizzazione di cavalcare o no il “trust shift” in corso, ovvero lo spostamento della fiducia del pubblico verso attori che non fanno parte del sistema economico e sociale tradizionale. Rachel Botsman definisce questo passaggio epocale anche come “trust leap”, evidenziando il “salto” che compiamo quando ci fidiamo di persone, brand o sistemi che ci propongono di agire in modo diverso dall’usuale, riscrivendo le regole di ogni relazione, economica e personale.

La causa del “trust shift” non sono gli scandali: è la tecnologia

Botsman ha ulteriormente approfondito questi concetti nel suo nuovo libro, ‘Who Can You Trust?’ (Penguin Portfolio, 2017), in uscita proprio in questi giorni, in cui scardina definitivamente i vecchi parametri che hanno definito la fiducia per spiegare come oggi il trust si indirizzi verso nuovi attori entrati sul mercato. Ciò non accade solo per effetto dei recenti scandali (crack di banche, corruzione in imprese, governi o istituzioni ecclesiastiche che hanno tradito la fiducia della pubblica opinione), ma perché i vecchi player non sono adatti all’era del digitale e della collaboration.

A innescare il trust 2.0, oggi leva di un numero crescente di attività economiche, non basta l’autorità accreditata dall’alto; serve un processo top-down in cui le persone sono protagoniste in prima persona del trust e controllano più da vicino, grazie agli strumenti digitali, chi è il destinatario della fiducia: Botsman lo ha definito “trust distribuito”. E parla anche di “trust stack” per indicare che il cambiamento è graduale, una scala che si sale un gradino alla volta; ma è anche un processo inarrestabile (nonostante le proteste dei tassisti, Uber totalizza 5 milioni di corse al giorno) e che ha il potenziale di migliorare il sistema produttivo, facendo emergere imprese e idee di business ad alto contenuto innovativo e più in linea con la domanda del mercato.

BlaBlaCar è il perfetto esempio

BlaBlaCar è un esempio perfetto: la start-up dei passaggi in auto fra privati che vogliono condividere le spese e avere compagnia su lunghi tragitti è riuscita a costruire un tale sentimento di fiducia nel suo pubblico da invalidare la classica raccomandazione dei genitori ai figli: “Non salire in macchina con uno sconosciuto”. Oggi BlaBlaCar trasporta 4 milioni di persone al mese, più dell’Eurostar, perché nella società del trust distribuito il nome e la foto di chi offre il passaggio e il voto degli utenti sono quel che basta per farci sentire al sicuro.

La tecnologia resta il cuore dell’economia collaborativa, basata su piattaforme digitali che mettono insieme gli utenti, accessibili da app mobili, i cui servizi si pagano in modalità elettronica e che sono connesse a un sistema social di scambio di commenti e rating che ci permette di conoscere e valutare chi c’è dall’altra parte. Ma la vera trasformazione è la nuova forma di fiducia tra persone e brand che la tecnologia abilita e il cui impatto si allarga dalla sfera economica a quella sociale e culturale, con un potenziale beneficio “sistemico”, perché, distribuendo la fiducia, ciascuno di noi diventa più responsabile, «come quando in un alloggio Airbnb ci prendiamo cura di lasciare tutto in ordine», spiega Botsman, o come quando controlliamo il rating degli autisti di Uber.

La diffusione della tecnologia Blockchain, poi, accelererà questo trend e modificherà il modo di concepire il trust nel mondo. Per questo, ammonisce Rachel Botsman, «è inutile cercare di ‘combattere’ il trend e illusorio pensare di tornare indietro: il cambiamento invece va capito, gestito e abbracciato perché può creare sistemi più trasparenti, affidabili e inclusivi».

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Chi è Rachel Botsman

Rachel Botsman è diventata famosa soprattutto per il libro “What’s Mine is Yours” (2010, HarperCollins) – uno dei primi a sistematizzare temi come la sharing economy abilitata dal digitale e la “collaborative consumption” – e per una serie di “TED Talks” che hanno totalizzato finora oltre 3,5 milioni di visualizzazioni. Con questi e con articoli (tra l’altro su New York Times, Harvard Business Review, The Economist, Wired), interventi e interviste, in questi anni è diventata una delle principali studiose del concetto di “trust” – la fiducia di cittadini e consumatori in imprese, organizzazioni ed enti statali – e delle sue radicali trasformazioni negli ultimi anni. Trasformazioni che stanno rivoluzionando i classici concetti di banca, comunicazione, politica, consumismo, «e persino il modo in cui alleviamo i nostri figli», come spiega in dettaglio nel nuovo libro “Who Can You Trust?” (Penguin Portfolio), in uscita proprio in questi giorni. Botsman è laureata a Oxford, dove dirige il corso MBA sui temi del Trust alla Said School of Business, e vive tra Londra e Sydney.

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