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Start-up, cosa è cambiato dopo il decreto?

Incubatori e venture capitalist raccontano come stanno vivendo questa prima fase successiva alla conversione in legge del Crescita 2.0, il primo decreto italiano dedicato alle nuove imprese innovative. I benefici concreti sembrano ancora limitati, in attesa dei decreti attuativi. Ma si tratta di un passo avanti significativo

Pubblicato il 24 Feb 2013

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Attese, speranze, critiche ma tutto sommato ottimismo. È con un misto di sentimenti che incubatori ed ecosistemi di start-up italiani stanno vivendo questa prima fase successiva alla conversione in legge del Crescita 2.0. Il primo decreto italiano che pensi alle startup. La verità è che il grosso dei vantaggi previsti per loro sono ancora teorici- attendono ulteriori misure normative- e i benefici già in campo sono limitati, riguardando perlopiù le semplificazioni burocratiche concesse dalla norma a tutte le fasi di vita dell’azienda.

È il quadro che risulta da questa inchiesta su alcuni dei protagonisti del mondo startup italiano, proprio mentre sono appena scaduti i termini- il 17 febbraio- per presentare domanda al ministero allo Sviluppo economico e provare a rientrare nei parametri indicati dal decreto per una start-up innovativa. Chi ci riesce ha diritto da subito alle semplificazioni, mentre altre novità richiedono decreti attuativi.

«Per noi, con la nuova legge, non è cambiato niente», dice Gianfausto Ferrari, co fondatore del campus innovativo Superpartes.

«Per le aziende che fanno start-up il decreto non ha una grande utilità, al momento. Idem per la norma che consente di fare una srl con un euro. Ci sono troppi paletti e i ragazzi che hanno un sogno non sono in grado di abbatterli. Per esempio: per la srl a un euro, ci devono essere persone fisiche e non giuridiche; quindi non si può fare se deve entrare un venture capital… Le startup innovative, per rientrare nei parametri, devono avere un brevetto e i fondatori essere laureati. Delle nostre sette start-up, nessuna rientra».

Anche Andrea Rangone- delegato dal Rettore per l’incubatore del Politecnico di Milano- è critico verso i paletti che stabiliscono quali incubatori hanno diritto alle agevolazioni. «Escludono gli incubatori pubblici come le università. Noi siamo stati costretti quindi a diventare società di capitale, per rispecchiare i requisiti ministeriali. Applaudiamo a quanto fatto dal governo, ma si è un po’ dimenticato delle università che incubano startup», dice. Sviluppo economico punta con un decreto attuativo a rimuovere l’obbligo che limita le agevolazioni agli incubatori società di capitale. Ma non è detto che ce la faccia prima delle elezioni.

«E comunque le semplificazioni non incidono sulle vere pastoie burocratiche- aggiunge Ferrari. Ipotesi: due ragazzi partono con 10 mila euro; 3 mila li devono dare al notaio. Il decreto inoltre doveva rendere deducibili le spese vitali per chi lavora in una startup».

Secondo Ferrari, «è il sistema italiano che ragiona in modo non corretto verso l’innovazione. Negli Usa funziona così: sei vuoi creare un’azienda do per scontato che sei una brava persona e ti facilito; ma se scopro che fai il furbo ti massacro. Qui si parte dall’idea che se vuoi aprire società vuoi imbrogliare, allora ti metto paletti». «A questo si aggiungano i limiti storici dei venture italiani, che sono pochissimi. Nei 300 chilometri di Silicon Valley quest’anno ci saranno 11,8 miliardi di dollari che cercano opportunità investimento, contro i 100 milioni dell’Italia intera». «Eppure, siamo ottimisti. Ad aprile apriremo un nuovo campus a Brescia, da 50 mila metri». Perché? «Perché siamo folli, sognatori e abbiamo capito che in Italia abbiamo ragazzi fantastici e succederanno cose straordinarie, con il loro genio e fantasia, nonostante tutto».

L’ottimismo di altri si fonda anche su elementi normativi. «Giudichiamo molto positivamente la norma del governo Monti Crescita 2.0, può servire a “startuppare”- passatemi il neologismo a tema- l’industria del venture capitale early stage che ci vede così lontani dall’Europa», dice Enrico Gasperini, fondatore di Digital Magics, che finora ha incubato 30 startup, di cui sei vendute e quattro chiuse. Ne ha 20 in pancia, quindi. «Siamo in una fase di aspettativa, comunque. Molto dipenderà dai decreti attuativi per capire quanto le novità incideranno sul nostro lavoro». «Dal punto vista quantitativo sono importanti soprattutto le agevolazioni fiscali previste dalla norma per chi investe in start-up.

Il motivo è che il venture capital è ancora all’esordio in Italia e le agevolazioni sono state importantissime in Francia, Germania, Israele. In Italia il governo le ha introdotte con limiti stringenti, ma molto dipenderà da come verrà attuata questa norma. Speriamo che l’intervento possa crescere ed essere recepito da governi successivi. E che questi quattrini non finiscano in mille rivoli come accade con altri contributi pubblici alle imprese».

Gasperini crede che «più che finanziare e agevolare fiscalmente singole start-up, in Italia bisogna potenziare gli intermediari. Ci sono pochi venture in Italia. Lo Stato può creare un presidio e sincerarsi che i quattrini vadano in mani esperte. Fa parte questo scenario anche l’impegno di Sviluppo economico ad aumentare, tramite Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), le risorse a disposizione del Fondo italiano di investimento a favore del venture capital». Impegno che al momento non si sa se e quando darà frutti: dipende da Cdp e dalle intenzioni del nuovo governo.

«I 50 milioni stanziati dal Fondo italiano d’investimento sono già stati in parte utilizzati. E’ importante che Cdp ne stanzi altrettanti nel 2013», dice Rangone.

Le semplificazioni invece sono importanti, ma quantitativamente sono poco rilevanti, secondo molti, Gasperini incluso.

«Delle nostre partecipazioni almeno 4-5 possono soddisfare da subito i requisiti di “start-up innovativa” presenti nella norma: si tratta di progetti in fase di fondazione in questo periodo. Delle start-up esistenti stiamo presentando solo due domande». «La principale criticità per le nostre iniziative è relativa alla norma sul controllo (che deve essere riservato al team dei fondatori)- continua Gasperini. Le nostre startup hanno avuto in gran parte finanziamenti da noi, da business angel e da venture capital e, nel nostro settore, sono più “capital intensive” rispetto alle piccole società internet. Risultato: i team dei fondatori mantengono mediamente azioni fra il 25-40 per cento».

L’incubatore sta quindi raccogliendo già alcuni vantaggi dalla norma. «Qualche risparmio nei costi; la speranza di avere accesso facilitato al finanziamento bancario, di attirare coinvestitori e business angel».

In particolare, gli strumenti della norma che intende usare da subito sono quelli già operativi: alla fondazione regole di corporate governance con diversi diritti di voto e strumenti finanziari con diritti patrimoniali. Forme di remunerazione con l’attribuzione di stock-option. Contratti di lavoro a tempo determinato. Contratti di servizi di mentoring dell’incubatore che concorrono ai costi di ricerca e sviluppo In futuro, non appena disponibili decreti attuativi e regolamenti, si avvarrà dei meccanismi di co-finanziamento con metodi crowfunding e degli incentivi fiscali».

Servirà un regolamento della Consob, previsto per marzo, per abilitare il crowdfunding. E’ complesso invece l’iter del decreto attuativo per gli incentivi fiscali alle startup: spetta al ministero dell’Economia e delle Finanze e dovrà fare un passaggio in Commissione europea. I tempi non sono definiti, probabilmente se ne riparla per giugno.

Insiste soprattutto sull’importanza del crowdfunding Gianluca Dettori, fondatore di dPixel, advisor del fondo Digital Investment, che investe in 18 start-up. «Visto che l’aumento delle risorse del Fondo non è più stato inserito nel decreto, il crowdfunding è la sola cosa nuova che possa portare soldi alla startup. In punto è che in Italia il problema è soprattutto l’assenza di investitori». Dettori suggerisce alla Consob di prendere come modello, per il regolamento crowdfunding, quello che fa la Sec (Securities and exchange commission) americana (spiega nel proprio blog i dettagli http://dgil.uz). «Gli incentivi fiscali sono di aiuto, bisogna vedere quanto impattano e se saranno un incentivo sufficiente a investire».

Per il resto, «adesso stiamo lavorando perché le start-up su cui si è già investito rispondano ai requisiti del decreto. Il problema qui, segnalato da molti, è un’incertezza di fondo. Se esci dai parametri nel corso della vita di una startup, che cosa succede? Ai contratti di lavoro già firmati, per esempio?».

Forse il più ottimista è Cristiano Esclapon, consigliere di Italia Startup, ma anche fondatore di due start-up. Perché lui vede le novità in una valenza prospettica. «Sono importanti le agevolazioni fiscali, non tanto per l’importo- all’inizio dell’investimento un 20 per cento di deducibilità non ti cambia molto la vita. Doveva essere una quota più alta. Ma è comunque utile perché attira l’interesse degli investitori e quindi più soldi, cioè proprio quello di cui abbiamo bisogno. Le nostre startup fanno fatica a trovare capitali».

«Italia Startup non ne beneficia perché le agevolazioni riguardano solo chi fa un investimento diretto in start-up o incubatori. Noi siamo un veicolo per l’investimento. Nella bozza del decreto erano incluse anche le aziende come la nostra e potrebbero tornare nel decreto attuativo». «Peccato essere stati esclusi, gli investitori hanno bisogno anche di veicoli. Altrimenti perderebbero troppo tempo nell’individuare le startup e concentrerebbero troppo l’investimento». Dello stesso tono il giudizio sulle semplificazioni, «sono fantastiche, ma difficile che i giovani se ne possano avvantaggiare. Devono rivolgersi ad avvocato per farsi fare uno statuto in regola, non hanno ricevuto una guida. Nell’immediato le semplificazioni avranno scarso impatto, ma nel giro di due anni credo saranno significative».

Allo stesso modo, «è utile che, grazie alla nuova norma, potrà pagare i collaboratori con quote di capitale (stock option)… ma i professionisti che accetteranno questa modalità saranno pochi, nel breve periodo. Aumenteranno solo dopo i primi casi di successo». Nel complesso, «la nuova normativa startup è valida in prospettiva. Comporta infatti cambiamenti strutturali, che richiedono anni per funzionare».

Il destino del sistema startup italiano dipende anche dal nuovo governo. Fa ben sperare che i programmi di PD, Pdl e Scelta Civica (Monti) parlino di startup. Tutti si impegnano a dare attuazione al decreto e a sostenere le sinergie tra privati e università. In più, i programmi del PD e del Pdl sono concordi nel ridurre i paletti del decreto, per estenderne la portata.

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