EDITORIALE

Gli “unicorni”: una realtà irripetibile, affascinante, con qualche crepa

Sono più di 140 le giovani aziende – come Uber e Airbnb – valutate almeno un miliardo di dollari in occasione dell’aumento di capitale più recente. Un fenomeno figlio di due eccezionalità: la digitalizzazione, e l’enorme disponibilità di capitali alla disperata ricerca di rendimenti. Ma oltre all’indiscusso fascino si intravedono crepe, che potrebbero approfondirsi e far inceppare l’intero sistema

Pubblicato il 17 Apr 2016

Aziende-giovani

@umbertobertele

Umberto Bertelè è autore di “Strategia”, edizioni Egea, 2013. Ha scritto anche la prefazione dell’edizione italiana di “Big Bang Disruption” di Larry Downes e Paul F. Nunes, edizioni Egea, 2014.

Gli unicorni sono imprese giovani (raramente con più di dieci anni di vita) che hanno fruito per la loro crescita dell’apporto di capitali privati – di fondi ma anche di singoli con patrimoni consistenti – e che sono state valutate almeno un miliardo di dollari in occasione dell’aumento di capitale più recente. Il loro numero è molto cresciuto nel tempo, se ne contano ben 146, non solo come frutto dell’effervescenza imprenditoriale, ma anche per la crescente riluttanza (a causa delle incertezze dei mercati finanziari) a seguire una delle due uniche strade possibili – quotarsi o farsi comprare da gruppi più grandi – per poter far rientrare gli investitori dei capitali messi in gioco.

Perché una realtà irripetibile e affascinante, ma con qualche crepa?

Una realtà irripetibile, o comunque difficilmente replicabile, perché figlia di due eccezionalità: la digitalizzazione da un lato, con le sue grandissime potenzialità di innovazione in tutti i comparti dell’economia e nello stesso nostro modo di vivere; l’enorme disponibilità di capitali alla disperata ricerca di rendimenti, dall’altro, in una fase storica in cui si è giunti ai tassi di interesse negativi.

Una realtà affascinante se si guarda alla California (ove si ha la massima concentrazione di unicorni) non solo come patria delle tecnologie digitali e del venture capital, ma anche come luogo ove – a differenza ad esempio di un Paese (tristemente) conservatore come il nostro – c’è ancora chi pensa, talora con una vena di pazzia, che il mondo possa essere cambiato e che anche le regole più consolidate possano essere sovvertite. Due esempi: Uber, con la sua idea folle di cambiare la gestione dei servizi privati di trasporto locale in tutto il mondo, che per perseguirla si mette in conflitto quasi ovunque con le autorità e provoca addirittura violente proteste di piazza, ma che paradossalmente vede la sua idea avere successo anche laddove non è ancora presente (ma ove sono nate imprese che hanno prontamente imitato il suo business model); Airbnb, con la sua idea altrettanto folle di ristrutturare completamente il sistema dell’accoglienza e della ricezione a livello mondiale, che si scontra anch’essa quasi ovunque con gli interessi costituiti (fino a farsi bandire da un’area come la Catalogna), ma che ha una capacità tale di incidere sui comportamenti – sia di chi cerca alloggi sia di chi li mette a disposizione – da obbligare una larga parte del sistema alberghiero a ristrutturarsi o morire.

Una realtà affascinante anche se si guarda alla Cina, che ha visto il suo unicorno Alibaba portare a casa, con l’IPO del 2014, la cifra più elevata della storia borsistica mondiale. Affascinante perché mostra l’intelligenza di un Paese che decide – avvalendosi anche dell’arma del protezionismo – di costruire direttamente con il digitale le nuove infrastrutture, commerciali ma pure finanziarie, che la sua enorme crescita ha reso indispensabili.

Ma gli unicorni sono anche una realtà in cui si intravedono crepe, che potrebbero approfondirsi e far inceppare l’intero sistema se non si rimette in moto il meccanismo degli IPO. Quello che è già avvenuto in diversi casi è che la Borsa non sia disponibile a confermare – in sede di quotazione – il valore attribuito alle società in occasione dell’ultimo aumento di capitale privato. Un fatto tutt’altro che strano, soprattutto per aumenti datati, se si pensa alle enormi fluttuazioni nelle capitalizzazioni di società quotate famose: LinkedIn e Twitter hanno perso ad esempio negli ultimi 12 mesi rispettivamente il 57 e il 68 per cento del loro valore, mentre Alphabet-Google e Facebook lo hanno accresciuto del 35-40. Un fatto che spesso ha spinto gli unicorni a rinviare l’IPO in attesa di tempi migliori.

La novità che turba i sonni di molti loro fondatori è che i grandi mutual fund come Fidelity, entrati in gioco relativamente di recente come finanziatori, sono obbligati dalle regole dei loro internal audit a rivedere periodicamente i valori degli asset e lo stanno facendo, sulla base dell’andamento dei titoli comparabili: ufficializzando tagli sui valori che rischiano di far perdere le risorse umane di maggior pregio, in larga misura remunerate con azioni.

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