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Una falsa partenza per il cambio di residenza via Internet

Da qualche giorno è possibile fare il cambio di residenza via internet. Diventa realtà quindi la prima misura di quella “rivoluzione digitale”…

Pubblicato il 21 Mag 2012

Da qualche giorno è possibile fare il cambio di residenza via
internet. Diventa realtà quindi la prima misura di quella
“rivoluzione digitale” delle pubbliche
amministrazioni, lanciata con il decreto Semplificazioni. E che
equivale un po’ all’antipasto della vera rivoluzione,
promessa con l’Agenda Digitale. Peccato che questo sia un
debutto flop.

Le misure per cambiare la residenza online sono
“demenziali”, le ha definite Stefano Parisi,
presidente di Confindustria digitale, al recente convegno Telco
per l’Italia!. Sono d’accordo con lui parecchi
esperti: la trafila è molto lunga, iper burocratica,
richiede al cittadino troppi strumenti
(Pec, Cie, Firma
elettronica). Altro che semplificazione, insomma.

La trafila appare tutta nella la circolare emanata dal
dipartimento Affari Interni e Territoriali n.9, del Ministero
dell'Interno. Si legge: "dal 9 maggio i cittadini
potranno presentare le dichiarazioni anagrafiche – di residenza e
di trasferimento all'estero – senza necessariamente recarsi
allo sportello del comune, ma spedendole per posta oppure
inviandole via fax o e-mail. In quest'ultimo caso, bisogna
sottoscrivere la dichiarazione con la firma digitale, essere
identificati dal sistema informatico, ad esempio tramite la carta
d'identità elettronica o la carta nazionale dei servizi,
inviare la dichiarazione dalla casella di posta elettronica
certificata del dichiarante e trasmettere per posta elettronica
'semplice' copia della dichiarazione con firma autografa
e del documento d'identità del dichiarante".

«In sostanza per fare il cambio di residenza online bisogna
avere: casella di posta certificata (Pec), firma digitale, carta
identità elettronica (Cie) e/o carta nazionale dei servizi
(Cns), casella email normale, scanner per fare copia della
dichiarazione autografa e del documento di identità del
dichiarante… Un vero esempio di interoperabilità e
cooperazione tra strumenti innovativi e tradizionali!»,
commenta ironico, al Corriere delle Comunicazioni, Livio Zoffoli,
ex presidente Cnipa.

«Se questa è semplificazione si fa molto prima a recarsi
presso gli uffici preposti. Il governo e i suoi ministri che si
sono occupati della materia, dovrebbero sapere che sono molto
poche le Cie, Csn, Pec etc. in possesso dei comuni
mortali». «Non mi stupisce. Il problema è che non
basta un comma per rivoluzionare un sistema che ancora non è
pensato per funzionare in modo digitale», aggiunge Ernesto
Belisario, avvocato esperto di diritto e nuove tecnologie.
«Il punto è che ci mancano le fondamenta. Ancora
non abbiamo identificato i cittadini con carte d’identità
elettroniche; non tutte le Regioni hanno carte dei
servizi
. E poi va fatto un censimento
dell’anagrafe degli indirizzi elettronici per
professionisti, imprese e cittadini. Non esiste ancora».
«Non si può avere un beneficio, se si fa
un’informatizzazione a pezzettini», aggiunge.

Sono richiesti tanti strumenti appunto perché non c’è
un’identità digitale unica e centralizzata, con cui
accedere ai servizi online. «In un mondo ideale immagino un
portale unico della PA, come quello dello Stato olandese, con cui
posso connettermi a 400 servizi amministrativi. Tutto tramite un
solo pin sicuro. Il cittadino deve fare quindi la fatica solo una
volta, per ottenere questo pin e, insomma, una forma di identità
digitale sicura. Adesso invece in Italia è come se avessimo un
pin diverso per ciascuna amministrazione…».
«Inoltre, per semplificare il processo, dobbiamo
reingegnerizzarlo. Ripensarlo in un’ottica digitale. Adesso
invece in Italia ci stiamo limitando a tradurre in digitale la
stessa trafila ideata per l’analogico
»,
aggiunge Belisario.

Concorda Carlo Maccari, che da metà aprile rappresenta le
Regioni all’interno della cabina di regia interministeriale
per l’Agenda, essendo già assessore alla Semplificazione e
Digitalizzazione della Regione Lombardia. «Errore tipico
degli enti locali: trasferire nel digitale la stessa sequenza dei
processi che prima erano cartacei. Il ruolo delle
Regioni
, che valorizzerò nella cabina, sarà
quindi di spingere i comuni a ripensare da zero il
processo
, per ottimizzarlo a un uso digitale».

Insomma, è necessaria una rivoluzione culturale per traghettare
la PA nel mondo digitale; norme singole cambieranno di poco la
situazione. Il governo ha recepito il problema, tramite la
cabina. Adesso bisognerà vedere se riuscirà davvero ad
avviare un piano che richiede certo un forte impegno
istituzionale e un grande accordo tra soggetti diversi
.
Ma anche la volontà di lavorarci per un lungo periodo di tempo.

di Alessandro Longo

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