Analisi

Diventare digital master: il momento è adesso

Una ricerca, realizzata con il supporto dell’MIT, ha passato al setaccio 400 imprese non hi-tech analizzando l’attitudine all’utilizzo delle tecnologie digitali e verificando che i comportamenti virtuosi hanno un impatto significativo sulle performance. «La trasformazione digitale è come una maratona, non si improvvisa e richiede leadership: ma non ci sono alternative»

Pubblicato il 17 Mar 2015

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Didier Bonnet, Global Practic e Leader e Executive Sponsor Capgemini Consulting

Nike, Burberry, Starbucks, Codelco e Asian Paints sono colossi di settori estremamente diversi. Cosa possono avere in comune? Il fatto di essere “digital master”, cioè “maestri della trasformazione digitale”.

Sono aziende capaci di trarre vantaggio dalle tecnologie digitali, nonostante il loro cambiamento continuo, raggiungendo progressi inimmaginabili nell’organizzazione delle proprie attività.

È proprio di queste organizzazioni che si parla nel libro “Leading Digital: Turning Technology into Business Transformation”, che ho scritto con i ricercatori George Westerman e Andrew McAfee del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Volevamo capire come la tecnologia digitale fosse stata adottata da quelle aziende – il 90% e più del mercato mondiale – che non producono tecnologia e individuare quali fra queste la utilizzino oggi per ottenere vantaggi strategici. Basandosi sull’analisi di oltre 400 imprese di tutto il mondo e di vari settori, Leading Digital identifica dunque principi e azioni per una digital transformation di successo.

In tutti i settori e ovunque nel mondo abbiamo trovato società che stanno facendo cose eccezionali grazie alla tecnologia. Abbiamo cercato di sistematizzare questo scenario attraverso due dimensioni principali. La prima è la “digital capability”, ovvero come si investe in tecnologia. Questa dimensione rappresenta il “che cosa” della digital transformation, l’investimento materiale da fare. La seconda è il “come”, la “leadership capability”, che rappresenta il modo in cui la tecnologia è introdotta nell’organizzazione per trasformare i processi, il modo in cui gli investimenti digitali abilitano il “vantaggio digitale”. Questa dimensione rappresenta la roadmap da seguire per la trasformazione.

Una classificazione

Per rendere le cose più semplici abbiamo creato una matrice con la digital capability e la leadership capability come dimensioni – e classificato le società in quattro categorie: i “beginners”, i “fashionistas”, i “conservatives”, i “digital master”.

I digital master hanno performance superiori agli altri, sia in termini di fatturato generato (9%) sia in termini di profittabilità (26%)

Nella prima categoria rientrano coloro che ancora non stanno facendo investimenti in tecnologia, o perché appartengono a settori con scarsa propensione al cambiamento, o perché sono vincolati da normative, o ancora perché si comportano da follower: aspettano che siano gli altri a fare da pionieri.

In netta contrapposizione ci sono i fashionistas, coloro che investono immediatamente sulle novità e in modo massivo. È quanto accade ad esempio nel settore B2C, alle banche e alle società di prodotti di largo consumo: si fanno esperimenti in ogni direzione del digitale, e il Mobile permea qualunque iniziativa. A volte anche esagerando.

Uno dei casi più interessanti è quello di una banca in cui abbiamo riscontrato la presenza di circa 70 applicazioni Mobile che grossomodo facevano la stessa cosa in differenti parti del mondo, provenienti da 5 o 6 fornitori diversi e del tutto incompatibili tra loro. In queste società manca ovviamente una vision d’insieme.

All’angolo opposto ci sono i “conservatives”, coloro che guidano bene il cambiamento, ma che si concentrano solo su una piccola parte del business. Asian Paints, una delle più grandi società asiatiche produttrici di vernici, che ho menzionato in apertura, ha iniziato con un piccolo investimento nella supply chain, con un atteggiamento decisamente conservatore. Ma quando ha visto gli ottimi risultati raggiunti, anche in termini di guadagni, ha esteso l’uso delle tecnologie digitali anche ad altri ambiti di business. I conservatori sono spesso frenati dalle regolamentazioni: pensate ad esempio alle società farmaceutiche che per investire dovrebbero ottenere l’approvazione da parte delle autorità e quindi sono frenate nel coinvolgere le varie aree di business nel cambiamento.

Infine ci sono i “digital master”, che riescono a trovare il giusto mix tra entrambe le componenti, sfruttando gli investimenti in tecnologia digitale per trasformare le proprie performance di business. Sono quelli che hanno trasformato le proprie attività attraverso precisi investimenti digitali e grazie a un’intelligente ed efficace leadership di cambiamento. Dal punto di vista finanziario poi abbiamo riscontrato che i digital master hanno in media performance superiori agli altri, sia in termini di fatturato (9%), sia in termini di profittabilità (26%).

Ma per inquadrare esattamente i digital master innanzitutto è necessario capire che cosa si intende esattamente con digital capability, in termini di miglioramento delle prestazioni. Le aree chiave che compongono questa dimensione sono tre: la “customer experience”, i “processi operativi” e il “business model”.

Il primo punto di forza delle aziende digital master è quindi la capacità di “migliorare la customer experience”, ridisegnandola a partire da dati affidabili sui clienti – partendo quindi dalla conoscenza dei comportamenti su cosa, come, perché e quando -, per arrivare poi a pensare ad applicazioni studiate ad hoc e facilmente fruibili. Questo non è affatto banale.

Nonostante i tanti soldi investiti nel CRM, tuttora molte aziende sono carenti in questo ambito. Tra i pochi casi d’eccellenza ci sono Burberry e Vail Resort, la società che gestisce la località sciistica di Vail, in Colorado, che conosce con esattezza chi arriva ai suoi impianti, quando e quanto scia, e quanto tempo passa al bar. Una volta consolidato il processo per conoscere il cliente, ci si può concentrare sul come migliorare il contatto con il mercato e individuare gli investimenti “smart” da fare in tecnologie digitali.

Starbucks, la grande catena internazionale di caffetterie, è un altro ottimo esempio di digital transformation: infatti ha capito bene come integrare le tecnologie nel proprio business e in quest’ambito sta facendo grandi cose, tra cui l’uso delle App per la fidelizzazione, l’adozione del mobile payment e l’uso spinto del wi-fi. Infine, se da un lato è necessario personalizzare, “targettizzare” i dati relativi ai clienti in modo da renderne l’analisi fondata, dall’altro è anche fondamentale integrare l’esperienza fisica e quella digitale con continuità. Chi entra da Burberry può ancora guardare dal vivo e toccare il soprabito, la giacca, la borsa, ma al contempo può anche contare su una shopping experience digitale, grazie all’utilizzo della realtà aumentata.

Il secondo punto di forza è la digitalizzazione dei processi operativi, le operation, che invece è ancora in fase embrionale, anche se sta crescendo abbastanza velocemente. L’aspetto interessante è che molti dei vincoli che valevano nel passato (tempo, carta, conoscenza personale, distanze fisiche) oggi non esistono più. È incredibile pensare ad esempio quante leve d’azione ha disposizione uno store manager di Seven Eleven – la catena che possiede il maggior numero di punti vendita al mondo – in termini di allestimento di negozio, di corner, di espositori. E il digitale esalta tutti questi margini d’azione, permettendo di superare i vincoli tradizionali, migliorando non solo l’efficienza e la produttività, ma anche la collaborazione tra le persone. Questa è quella che comunemente si definisce agilità di business.

Infine il terzo punto: per quanto ci risulta, appena il 15% delle aziende è riuscita a cambiare il modello di business attraverso le tecnologie digitali. È sicuramente più complicato intervenire su questa dimensione rispetto alla customer experience o alle operation.

Abbiamo individuato cinque scelte:

  • reinventare il settore – come ha fatto ad esempio Uber nei trasporti;
  • sostituire prodotti e servizi – come hanno fatto ad esempio le società postali;
  • inventare nuovi business digitali – Apple e Nike hanno creato rispettivamente delle App e nuovi ecosostemi di prodotti;
  • riconfigurare i modelli di delivery – come nel settore B2b, dove il digitale permette di connettersi direttamente al cliente finale senza danneggiare il canale di distribuzione;
  • ripensare la proposizione del valore. In quest’ultimo caso un buon esempio è la società assicurativa Tokyo Marine, che vende microassicurazioni attraverso la sua App

L’importanza della leadership

È curioso che molti analisti, esperti e studiosi che abbiamo interpellato ci hanno detto che la trasformazione in atto parte dal basso, con i giovani, la cosiddetta generazione Y, che stanno ridisegnando i modelli da zero. Ma nella ricerca non abbiamo trovato nessun esempio concreto di questo. In realtà i progetti di digital transformation sono sempre top down, e per avere successo devono essere trainati da un management forte.

In conclusione, la trasformazione digitale va affrontata ora, attivando un circolo virtuoso che comprende il supporto alla trasformazione, la definizione accurata della sfida digitale, la focalizzazione degli investimenti, e la “mobilitazione” dell’organizzazione. Questo circolo è attivo in tutti i casi di digital master.

Perché dico che va affrontata subito? Perché è come una maratona, non si improvvisa. Vediamo arrivare un’ondata di nuove tecnologie: non è solo innovazione, è innovazione in continua accelerazione, e le organizzazioni devono prepararsi a integrare continuamente nuove tecnologie, a gestire tempestivamente i cambiamenti tecnologici. E il problema è che probabilmente non ci sarà un’alternativa: occorrerà per forza fare così.

Articolo tratto dalla presentazione di Didier Bonnet tenuta all’Oracle OpenWorld a San Francisco lo scorso ottobre

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