Tendenze

Cloud, primi segni di aumento dei prezzi. Corso (Polimi): «Ma è una buona notizia»

Alcune mosse di grandi provider come Microsoft e IBM fanno pensare a un’inversione di tendenza. «È una naturale conseguenza della qualificazione della domanda: il Cloud tende sempre più a gestire aspetti importanti del business e, maturando, l’offerta tende a diventare personalizzabile, ossia ad adattarsi meglio alle caratteristiche reali delle aziende»

Pubblicato il 21 Lug 2015

cloud-prezzi-longo-150721145428

L’era dei continui tagli di costi Cloud sembra ormai finita, e persino si vedono i primi segnali di senso opposto: un aumento dei prezzi. Molti analisti internazionali hanno considerato emblematico, infatti, l’annuncio di Microsoft che aumenterà i prezzi del Cloud (Iaas) nell’eurozona del 13 per cento, a partire dal primo agosto. Negli stessi giorni, i prezzi australiani di Windows Azure aumentano del 26 per cento.

Alcuni esperti, come l’analista Owen Rogers di 451 Research, e il consulente indipendente Aidan Finn, attribuiscono almeno parte degli aumenti a questioni di valuta. Finn però nota che un aumento così consistente non è giustificabile solo in questo modo, anche considerato che in Europa (dove Microsoft sta localizzando i propri data center per i servizi offerti ad aziende europee) i prezzi dell’energia sono diminuiti.

Anche IBM sta cambiando i prezzi in questo periodo: in una nota ha annunciato quelli che descrive come “sconti” per l’offerta SoftLayer. A un’analisi più approfondita, però, si è notato che il prezzo del prodotto entry-level in realtà è aumentato molto. In passato, l’utente pagava 35 dollari per 5 terabyte di banda in uscita sul server virtuale; adesso, per avere quella quantità, ne dovrebbe spendere 615.

«L’era dei servizi Cloud super low cost è finita», sentenzia David Linthicum, di Cloud Technology Partners. Altri aumenti arriveranno nel 2015 e nel 2016, perché i provider Cloud sono sotto pressione per fare profitti e non possono più limitarsi a conquistare quote di mercato, aggiunge Linthicum. «I margini sono sottilissimi, quindi i rincari sono il solo modo per aumentare il cash flow, adesso che la domanda di Cloud cresce ormai stabilmente». Secondo Linthicum, un ruolo nei rincari ce l’ha anche la pratica del vendor lock-in, comune in molti servizi Cloud. Gli utenti sono scoraggiati dal cambiare provider perché farlo è scomodo e ha controindicazioni. I provider possono quindi permettersi di aumentare il prezzo senza temere una rapida fuga degli utenti.

Non c’è accordo degli esperti su questa previsione. Chi potrebbe davvero inaugurare l’era dei rincari dovrebbe essere Amazon, il soggetto che per primo ha portato il Cloud sul mercato di massa e ha spinto in basso i prezzi. Ma al momento questa sembrerebbe una mossa suicida, per le caratteristiche strategiche di Amazon. D’altro canto, la diffusione del Cloud, con l’aumento delle economie di scala, e il naturale crollo dei prezzi dell’hardware sono fattori che dovrebbero favorire sconti futuri.

Mariano Corso, School of Management, Politecnico di Milano

Tuttavia, sembra almeno possibile convenire che qualcosa è cambiato: super sconti non ce ne dovrebbero più essere, nel Cloud. Ed era prevedibile che fosse così. «È naturale conseguenza della qualificazione della domanda: il Cloud diventa più complesso; tende sempre più a gestire aspetti importanti del business», dice Mariano Corso, Responsabile dell’Osservatorio Cloud del Politecnico di Milano.

«Considerate Salesforce.com: adesso è diventato il punto di riferimento aziendale per il CRM. Cioè in quest’ambito la prima opzione a cui si pensa, quella mainstream, è ora di tipo Cloud, invece che tradizionale. Ed essendo l’opzione principale non è certo quella più a basso costo», aggiunge Corso. «Sta succedendo lo stesso in altri ambiti: nel disaster recovery e nella gestione delle risorse umane. Maturando, vediamo che le offerte Cloud tendono a diventare personalizzabili, ossia a adattarsi meglio alle caratteristiche reali delle aziende», continua.

È una svolta rispetto alle formule con cui il Cloud pubblico è diventato di massa in passato, quelle del “one fits all”, di fordiana memoria. Ecco: potremmo dire che stiamo entrando nel Cloud post-fordista, dove personalizzazione e differenziazione dei servizi la fanno da padrone. E la differenziazione può trovare strade numerose per esprimersi, non solo quelle basate su prezzi e tecnologia: «Per esempio alcune aziende europee non piccole possono preferire il Cloud di Microsoft a quello di Google, per la presenza di data center regionali e una maggiore trasparenza sulla gestione dei dati», dice Corso.

Forse, presto il punto non sarà più nemmeno se i prezzi aumentino o diminuiscano. La maturazione del mercato Cloud significa in fondo questo: che l’attenzione si sposterà dai prezzi a qualcosa di più strettamente connesso con la produzione di valore per l’azienda.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4