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Open innovation: cos’è, come farla in azienda ed esempi pratici di innovazione aperta

Per creare valore, la ricerca fatta all’interno dei confini dell’impresa non basta più. Si afferma invece un modello aperto alle contaminazioni esterne, che coinvolge le startup, le università e più in generale chiunque possa portare idee e arricchire il patrimonio di competenze e strumenti

Pubblicato il 14 Dic 2023

open innovation

Il paradigma dell’open innovation è ritenuto sempre più imprescindibile per tenere il passo con la digital disruption. 

Ma cosa significa esattamente open innovation?

Cos’è l’open innovation (innovazione aperta)

È un modello di innovazione secondo il quale le imprese, per creare più valore e competere meglio sul mercato, non possono basarsi soltanto su idee e risorse interne ma hanno il dovere di ricorrere anche a strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno, in particolare da startup, università, istituti di ricerca, fornitori, inventori, programmatori e consulenti.

Quando nasce l’open innovation?

Il termine è stato coniato dall’economista statunitense Henry Chesbrough, che nel saggio The era of open innovation (2003) rifletteva sul fatto che la globalizzazione avesse reso sempre più costosi e rischiosi i processi di ricerca & sviluppo, perché il ciclo di vita dei prodotti era diventato più breve. Secondo Chesbrough il paradigma della “closed innovation”, ovvero la ricerca fatta all’interno dei confini dell’impresa, non poteva più bastare nonostante i timori delle aziende di non essere più gli unici “proprietari” delle invenzioni e i legittimi tentativi di tutelare le proprie proprietà intellettuale con brevetti e altri strumenti.

Differenze tra innovazione chiusa e aperta: i vantaggi di open innovation

L’innovazione chiusa non era più sufficiente perché da una parte le conoscenze e i talenti viaggiavano (e viaggiano tuttora) a una velocità sempre maggiore a causa delle reti e della facilità negli spostamenti. Perciò, è diventato più difficile trattenerli in azienda a vita. Dall’altra parte, i mercati dei capitali, come insegna il caso delle startup della Silicon Valley, hanno cominciato a concentrarsi anche su aziende basate su modelli di business e approcci completamente nuovi e disruptive rispetto al passato. Non attingere a questi nuovi saperi collaborando con altre aziende, magari più avanzate dal punto di vista digitale, può rivelarsi uno svantaggio significativo: chi non lo fa rischia di ritrovarsi non al passo con i tempi. E di perdere un sacco di denaro, visto che secondo un’indagine condotta da Accenture stimolare la collaborazione tra aziende e startup (o altri soggetti innovatori) può generare in tutto il mondo una potenziale crescita di circa 1,5 trilioni di dollari, pari al 2,2% del Pil globale, e solo in Italia può valere un incremento di 35 miliardi di euro (l’1,9% in più del Pil).

Il modello dell’open innovation prevede che un’azienda possa accedere alle innovazioni “in vendita” sul mercato integrandole con il proprio modello di business. E un processo del genere consente anche un più rapido time to market, ovvero un tempo minore per passare dalla fase di ideazione del prodotto o servizio o alla sua immissione sul mercato: di alcune di queste fasi, come per esempio la prototipazione di alcuni manufatti, possono occuparsi in taluni casi anche realtà esterne come le startup.

Come si fa a fare open innovation in azienda

Le modalità concrete attraverso le quali si realizza l’open innovation possono essere molteplici, che possono essere scelte in base al settore dell’azienda, alle sue dimensioni, quindi anche alle capacità economiche, e alla propensione a coinvolgere attori esterni.

Ecco 9 modi per fare open innovation in azienda:

  • Accordi interaziendali: per cui un’impresa delega a un’altra, di solito più piccola, la creazione di determinate innovazioni o la produzione di specifici manufatti.
  • Challenge per idee e innovazioni: eventi organizzati dalle aziende per raccogliere idee innovative. Possono essere pubblici o privati e mirano a risolvere problemi specifici o a promuovere l’innovazione generale. Offrono opportunità per raccogliere nuove idee e aumentare la visibilità del marchio.
  • Hackathon: le gare di programmazione, sono eventi simili alle challenge, per cui le aziende chiedono a gruppi di developer e innovatori di inventare soluzioni digitali innovative in 24 ore in un determinato settore. Favoriscono la comunicazione e aumentare la visibilità dell’azienda e facilitano l’individuazione di talenti.
  • Partnership tra startup e aziende: offrono vantaggi reciproci, consentendo di combinare le competenze e i punti di forza di entrambe le parti. Le startup possono migliorare la proposta di valore, interagire con i clienti e ampliare la loro rete di contatti, mentre le aziende corporate possono ottenere soluzioni personalizzate senza utilizzare risorse interne.
  • Acquisizione, da parte di grandi corporation, di startup innovative: per integrare nel proprio organico dei talenti digitalie di rilevare alcune delle principali innovazioni realizzate da questi ultimi. È utile quando l’impresa identifica un’opportunità ma non ha abbastanza risorse, tempo e capacità per sfruttarla al meglio.
  • Incubatore o acceleratore di startup: è un’organizzazione che stringe una partnership con nuove aziende e allo stesso tempo investe capitale nell’attività in via di sviluppo. Questa collaborazione spesso coinvolge un team interno dell’azienda incubatrice che lavora insieme alla startup, offrendo supporto e consulenza per aiutare i fondatori a prendere decisioni strategiche e adottare le migliori pratiche.
  • Imprenditorialità: incoraggia i dipendenti a pensare in modo innovativo e ad agire con intraprendenza, permettendo alle aziende di sfruttare l’innovazione aperta. I leader aziendali possono sostenere questa cultura offrendo incentivi per le idee innovative, riconoscendo i meriti dipendenti e promuovendo la ricerca di opportunità di crescita.
  • Co-creation Labs: ambienti collaborativi in cui le persone si riuniscono per discutere e sviluppare idee innovative in modo creativo. Le aziende possono utilizzare questi laboratori per sviluppare prodotti, servizi e programmi che portino benefici ai clienti e all’azienda stessa. Inoltre, questi laboratori forniscono l’infrastruttura tecnica necessaria e un ambiente stimolante che favorisce la collaborazione tra clienti e dipendenti.
  • Partnership con università, centri di ricerca e incubatori: servono a innovare su specifici temi e spesso sono sostenute da fondi pubblici.

Esempi di open innovation: Google e Samsung

Che l’interesse per l’open innovation sia forte lo dimostrano le politiche messe in atto da molte delle più grandi aziende del mondo. La prima regola dell’innovazione per Google è, per esempio, “Innovation comes from anywhere”, l’innovazione può venire da qualunque parte. E in base a questo principio, incoraggia gli scambi con altre startup, alcune delle quali sono acquisite direttamente o finanziate attraverso Google Ventures. Samsung, per menzionare un altro big player, ha aperto diversi open innovation center, tra cui uno proprio in Silicon Valley, nel cuore dell’innovazione mondiale.

Anche in Italia, l’attenzione per l’open innovation sta crescendo. E alle dichiarazioni di principio fanno seguito anche i fatti.

I numeri dell’open innovation in Italia

Secondo i dati rilevati dall’ultima ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2023 l’86% delle grandi aziende italiane ricorre a iniziative di open innovation spinto dalla necessità di stimolare l’innovazione e lo fa accostandosi a diversi attori, anche meno tradizionali. L’approccio più utilizzato è quello Inbound, basato sull’assorbimento di opportunità dall’esterno al fine di arricchire il patrimonio di innovazione interno. Le iniziative Outbound invece sono meno frequenti ma vedono la diffusione di nuovi modelli di innovazione e di venturing per la creazione e lo sviluppo di startupo spin-off, per accelerare l’innovazione e sfruttare le opportunità di mercato.

Un dato signficativo rivela che più della metà delle grandi aziende italiane ha un budget dedicato ad iniziative di open innovation (il 32% di queste ne ha uno autonomo e specifico e il 68% lo include in un budget più ampio dedicato all’innovazione).  Il rapporto tra aziende e startup si fa sempre più frequente: il 58% delle grandi aziende collabora con startup (+25% rispetto al 2018) e, considerando anche quelle che hanno in programma di farlo, la percentuale sale all’80%. Le PMI che già collaborano con startup sono l’11%.

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