All’AI Week 2025 non si è parlato solo di tecnologia. L’Intelligenza Artificiale è stata protagonista in un modo diverso dal solito: non come innovazione astratta o insieme di soluzioni sperimentali, ma come strumento già integrato – e, in molti casi, indispensabile – nelle strategie di marketing più evolute. Il cambio di paradigma è netto. L’AI è uscita dai laboratori, dai demo center e dagli articoli di tendenza per entrare nella sala operativa dei brand, nelle scelte quotidiane dei CMO, nella routine dei team marketing.
L’evento milanese ha mostrato con chiarezza che l’AI è oggi una leva strategica che attraversa l’intero funnel: dalla creazione di contenuti alla personalizzazione del dialogo con il cliente, dalla raccolta dati alla Customer Experience predittiva. Ma, soprattutto, ha offerto una visione concreta di come le aziende italiane stiano affrontando questa trasformazione. Tra casi di successo, testimonianze aziendali e applicazioni verticali, ciò che emerge è una consapevolezza crescente: l’Intelligenza Artificiale non sostituisce il lavoro dei team di marketing, ma ne cambia la grammatica. E in questa nuova grammatica, competenze, visione e creatività restano più centrali che mai.
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Dalla sperimentazione all’adozione strategica: lo stato dell’AI nel Marketing
Per anni, l’applicazione dell’AI nelle strategie di comunicazione e relazione col cliente è rimasta sospesa tra promesse future e progetti pilota. Ma il tempo della teoria è finito. Oggi l’Intelligenza Artificiale è parte integrante dell’operatività quotidiana delle aziende, non più relegata a sperimentazioni di nicchia, ma progressivamente incorporata nei processi core di comunicazione, analisi, produzione e Customer Engagement.
A fotografare con lucidità questo cambiamento è Massimo Veutro, CTO di Base Digitale Platform, che ha presentato l’evoluzione della piattaforma Wasabi: «Il rischio, oggi, è fermarsi alla superficie: chatbot scintillanti ma privi di profondità. L’AI va progettata a partire dall’ascolto e dalla relazione, non dal codice». Un’affermazione che racchiude un punto fondamentale: la maturità tecnologica non si misura più sulla base delle funzionalità disponibili, ma sull’effettiva integrazione nei flussi aziendali e nella cultura operativa.
Anche Jorge Bestard, Head of Sales & Success EMEA di Canva, ha evidenziato questa transizione portando sul palco dei numeri chiari: «Il 94% dei leader marketing ha già previsto budget dedicati all’AI, e il 78% la considera essenziale per la strategia di lungo periodo. Tuttavia, il 64% dichiara difficoltà a orientarsi nella scelta degli strumenti e il 61% fatica a integrarli nei processi esistenti. È il segnale di un’adozione spinta da urgenze reali, ma ancora priva — in molti casi — di un framework decisionale strutturato».
L’impressione generale, confermata da numerose testimonianze, è che il marketing stia entrando in una fase di consolidamento: si passa dall’entusiasmo per la novità alla costruzione di una vera governance dell’Intelligenza Artificiale. Non è più il tempo delle demo spettacolari: è il tempo delle piattaforme robuste, dell’interoperabilità, della continuità operativa e della capacità di scalare. In questa fase, il ruolo dei team marketing cambia radicalmente: da esploratori curiosi a orchestratori competenti di sistemi intelligenti.
Customer Experience potenziata: oltre la personalizzazione
Negli ultimi anni, la personalizzazione è diventata un mantra nel marketing. Ma oggi, grazie all’Intelligenza Artificiale, si sta affermando un nuovo livello di relazione: più che personalizzare, l’obiettivo è anticipare, interpretare e guidare i comportamenti dei clienti, sia online che in store. È questa l’idea che emerge con forza all’AI Week 2025: l’AI non si limita più a “rispondere”, ma ridefinisce le dinamiche dell’esperienza d’acquisto, rendendola più fluida, predittiva e adattiva.
A testimoniarlo con concretezza è il caso del Gruppo Teddy, raccontato da Leonardo Gianessi, Operations Manager, e Marina Paolanti, docente e ricercatrice presso il VRAI Lab dell’Università di Macerata. Due mondi apparentemente distanti – impresa e accademia – che si incontrano in un progetto congiunto, volto a integrare dati, algoritmi e visione strategica nella trasformazione del retail fashion. Il risultato è una Customer Experience che unisce fisico e digitale, estetica e analisi, innovazione tecnologica e comprensione culturale.
Il progetto parte dai social: grazie all’iniziativa “Social for Fashion”, il VRAI Lab ha sviluppato una metodologia per analizzare immagini e interazioni da Instagram in modo sistematico. Non si tratta di semplici metriche di vanity: le reti neurali sono state addestrate per riconoscere oggetti, distinguere modelli, identificare colori, funzioni e perfino la geolocalizzazione dei post. Il tutto alimentato da un approccio curatoriale, dove l’expertise del mondo moda dialoga con i dataset e contribuisce a definire nuove taxonomie visive. Una “grammatica” del fashion digitale che, come sottolinea Paolanti, «richiede competenze trasversali tra marketing, etica e diritto».
La frontiera successiva è l’esperienza in-store. Gianessi ha raccontato come il Gruppo Teddy stia utilizzando telecamere stereoscopiche per mappare le traiettorie dei clienti nei punti vendita Calliope e Terranova. «L’obiettivo non è solo il conteggio, ma la comprensione qualitativa dei comportamenti: dove si fermano i clienti? Quali pareti tematiche funzionano? Come cambia il flusso dopo una modifica al layout? I dati raccolti vengono utilizzati per ottimizzare l’ambiente fisico, migliorare la redditività al metro quadro e costruire una Customer Journey dinamica anche offline. Ma la vera ambizione è andare oltre l’osservazione e arrivare alla predizione. Il passo successivo è correlare i pattern di movimento con dati comportamentali e transazionali, per attivare azioni proattive: suggerimenti personalizzati, promozioni localizzate, automatismi intelligenti. Un cliente ad alta spesa entra nel negozio. Dobbiamo riconoscerlo e offrirgli un trattamento adeguato». È il concetto di personalizzazione fisica in tempo reale, resa possibile dall’AI.
Gli AI Agent: i nuovi alleati nella relazione brand-cliente
L’evoluzione dell’AI nel marketing si gioca oggi sulla crescente autonomia degli AI Agent: sistemi intelligenti in grado di dialogare direttamente con il cliente, interpretare il contesto, adattare il linguaggio e – sempre più spesso – compiere azioni per suo conto. Dall’assistenza al supporto commerciale, dalla vendita al post-vendita, questi agenti stanno trasformando il Customer Journey in un’esperienza guidata, dinamica e coerente con l’identità del brand. Veri e propri rappresentanti digitali, capaci di incarnare tono di voce, valori e tempestività del marchio.
Un primo esempio viene da Dante, l’assistente AI omnicanale sviluppato da Labitech e integrato nella piattaforma proprietaria COMSy Platform. «Dante non è un chatbot – ha spiegato Simone Cannito, Sales Account dell’azienda – ma un assistente capace di operare su più canali, di parlare lingue diverse e di adattarsi al tono comunicativo di ogni cliente».
Dante gestisce flussi complessi, automatizza i task ripetitivi e dialoga fluidamente con CRM e sistemi aziendali. Grazie all’uso di LLM e architettura RAG, fornisce risposte contestualizzate e coerenti, migliorando produttività e accessibilità. Il caso della Via Francigena è emblematico: Dante ha supportato i pellegrini lungo il percorso con informazioni logistiche, prenotazioni, suggerimenti culturali e interazioni multilingue, dimostrando come un AI agent possa accompagnare l’utente in esperienze ibride, tra fisico e digitale.
Ma l’evoluzione non si ferma qui. Come ha mostrato Giovanni Bennato, CEO di Aimage, l’integrazione tra AI Generativa e WhatsApp sta trasformando l’interazione con i clienti in una conversazione continua, fluida e naturale. «A partire dal rilascio delle API ufficiali da parte di Meta, WhatsApp è diventato un canale aziendale a tutti gli effetti, capace di sostituire l’email nelle comunicazioni asincrone, aumentando tassi di apertura e soddisfazione». La GenAI non si limita a rispondere: scrive messaggi, elabora preventivi, riconosce i segnali di intenzione e reingaggia i lead inattivi.
Il punto più avanzato di questa trasformazione è rappresentato da GAIA, la piattaforma di AI sviluppata da Esosfera per Covisian. A differenza di molti agenti conversazionali, GAIA non è una “voce che risponde”, ma un operatore virtuale a tutti gli effetti. «GAIA non è un software, è parte del team» – ha dichiarato Francesco Rienzi, CEO di GAIA.
E Paola Cavallero, Chief Commercial Officer di Covisian, ha chiarito il senso del progetto: «L’obiettivo non è ridurre il personale, ma aumentare la qualità delle interazioni, accelerare la first contact resolution, e potenziare il ruolo umano». In pratica, si passa da un modello di sostituzione a uno di co-orchestrazione. Gli operatori non vengono rimpiazzati, ma potenziati. Da un lato GAIA è in grado di gestire autonomamente prenotazioni, informazioni e dialoghi standard, mentre l’intervento umano viene riservato ai momenti critici, dove servono empatia, discernimento e valore aggiunto. Il risultato? Un nuovo equilibrio tra scalabilità e personalizzazione.
Creatività aumentata: Generative AI e nuovi flussi di produzione
Se il marketing è anche – e soprattutto – narrazione, allora la creatività resta il cuore pulsante di ogni strategia. Ma in un mondo dove i canali si moltiplicano, i contenuti devono adattarsi in tempo reale e i team operano spesso sotto pressione, la creatività non può più essere solo manuale. Deve diventare scalabile, coerente, reattiva. È qui che l’Intelligenza Artificiale generativa mostra il suo potenziale più dirompente: non tanto nel “creare al posto di”, ma nell’amplificare la capacità produttiva, comunicativa ed estetica dei brand.
Jorge Bestard, Head of Sales & Success EMEA di Canva, ha portato sul palco dell’AI Week una visione chiara e concreta: la nascita di una vera “visual economy”, in cui la comunicazione visiva diventa il linguaggio operativo delle organizzazioni. Non si tratta solo di “fare grafica”: significa tradurre valori, dati e strategie in immagini comprensibili, memorabili e coerenti con il brand. Secondo una ricerca condotta da Canva su oltre 4.000 manager della comunicazione, il 92% ritiene oggi fondamentale che anche chi non è designer sappia comunicare visivamente. Un cambiamento epocale, se si considera che ogni secondo vengono creati oltre 360 nuovi progetti sulla piattaforma.
Nel contesto del green retail, questa tendenza assume un significato ancora più profondo. La sostenibilità, infatti, non è solo un attributo di prodotto: è una promessa che va raccontata, dimostrata, visualizzata. Etichette digitali, infografiche ambientali, storytelling sui materiali: la trasparenza deve diventare tangibile. E l’AI Generativa aiuta proprio in questo. Come ha osservato Bestard: «AI is saving time, AI is giving focus, AI is accelerating everything we do». Una frase semplice, che riassume bene la logica di fondo: meno tempo su operazioni meccaniche, più spazio per progettare, testare, evolvere.
Ma il vero valore si manifesta quando l’efficienza incontra la coerenza. Il caso Tecnocasa, raccontato durante l’evento, è emblematico: una rete di oltre 4.000 agenzie immobiliari ha adottato Canva come piattaforma centrale per la produzione di materiali grafici, riuscendo così a mantenere l’identità visiva a livello nazionale, pur permettendo personalizzazioni locali. Questo modello – centralizzazione strategica, localizzazione operativa – è cruciale anche per i retailer che vogliono comunicare il proprio impegno ambientale senza cadere in generalizzazioni o greenwashing.
In parallelo, si fa strada un altro concetto chiave: la AI literacy. Se l’AI Generativa è una leva potente, è anche uno strumento che va compreso e governato. Bestard ha sottolineato l’urgenza di diffondere competenze minime per l’utilizzo consapevole di questi strumenti. Non basta “sapere usare Canva” o “scrivere un prompt efficace”: serve una cultura del design, della sostenibilità, della comunicazione visuale strategica. Solo così l’Intelligenza Artificiale potrà davvero contribuire a costruire un marketing migliore, più autentico e più rilevante.
Decisioni data-driven e marketing predittivo: l’intelligenza che anticipa
In un contesto dove le scelte marketing devono essere sempre più rapide, informate e misurabili, l’AI diventa molto più di uno strumento analitico: si trasforma in un motore decisionale. Il passaggio cruciale non è solo dall’intuizione al dato, ma dal dato all’azione predittiva, capace di anticipare comportamenti, bisogni, segnali di rischio o opportunità latenti. L’Intelligenza Artificiale, in questo quadro, diventa una vera e propria estensione della capacità strategica delle imprese.
Lo ha raccontato con precisione Massimo Veutro, CTO e Managing Director di Base Digitale Platform, presentando l’evoluzione della piattaforma Wasabi, una soluzione SaaS nativa per il Customer Value Management. «Il nostro obiettivo – ha spiegato – non è solo automatizzare, ma dare agli utenti il controllo dei processi, anche complessi, senza scrivere codice. Il cuore della piattaforma è IFlow, un motore workflow no-code che consente di progettare flussi personalizzati, integrando dati, API e modelli cognitivi in un’unica architettura modulare e scalabile».
Questo approccio democratizza l’uso dell’AI: non servono più data scientist per costruire una regola di ingaggio o un’azione correttiva. Basta conoscere il processo, avere gli obiettivi chiari e modellare la risposta. È un cambio radicale: il marketing non subisce più l’analisi dei dati, la governa. E può orchestrare journey automatizzati, campagne reattive, segmentazioni dinamiche e micro-targeting su base comportamentale, tutto in tempo reale.
Ma la potenza di Wasabi si manifesta appieno nella gestione multicanale. L’intelligenza predittiva si applica non solo ai dati digitali, ma anche alle conversazioni vocali: grazie alla diarization, ogni telefonata viene trascritta, analizzata, archiviata e trasformata in contenuti strutturati. Ciò consente di estrarre KPI comportamentali evoluti, come il rischio di churn o le opportunità di upselling, e di attivare notifiche o flussi automatici in risposta.
In questo ecosistema, l’AI non è più solo “reportistica intelligente”: diventa un partner proattivo, capace di suggerire azioni prima ancora che i sintomi siano visibili. È una forma di intelligenza relazionale, che mette al centro la voce del cliente non solo per ascoltarla, ma per interpretarla, contestualizzarla, anticiparla.
Il paradigma è chiaro: l’AI predittiva non deve sostituire la strategia, ma deve potenziarla, rendendola scalabile e reattiva. Non basta più sapere cosa è successo: serve sapere cosa succederà e quale leva attivare per influenzare quel futuro in modo concreto e misurabile.















