Oggi il marketing funziona davvero quando sa leggere i segnali del mercato e contribuisce alle scelte strategiche dell’organizzazione. Per essere davvero efficace, deve anticipare, guidare, influenzare. Deve interpretare gli input provenienti dall’esterno, comprenderne le evoluzioni, trasformarli in scelte concrete per l’azienda. E Gartner lo spiega bene, annunciando che è iniziata l’era del “market shaping” per chi guida il marketing. Ne scaturisce una figura nuova, non più un gestore operativo, ma “market shaper” – appunto -, un protagonista chiave che contribuisce a definire la direzione dell’impresa.
Le aziende guidate da CMO – spiega la società di ricerca – con una mentalità orientata al mercato sono 2,6 volte più performanti in termini di ricavi e profitti rispetto alla media. Il motivo è semplice: chi sa orientare le strategie di marketing in funzione delle forze di mercato diventa un attivatore di crescita. Non solo un esecutore.
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Le ragioni di un mancato riconoscimento
Tuttavia, nella realtà quotidiana, questo ruolo strategico fatica ancora ad affermarsi. Gartner ha coinvolto 125 CEO e CFO per capire come viene percepito oggi il contributo del marketing ai risultati aziendali. Il quadro è tutt’altro che rassicurante: solo un terzo dei leader aziendali si sente realmente allineato con il proprio CMO su come il marketing genera valore. Ancora meno – appena il 22% – dichiara di avere chiaro l’ambito di responsabilità del marketing, mentre solo il 38% ritiene che il direttore marketing collabori in modo efficace con gli altri executive.

Queste fratture non sono solo relazionali. Hanno effetti concreti: budget ridotti, minor peso nelle decisioni chiave, difficoltà a entrare nei board. In alcuni casi, persino la sostituzione della figura stessa del CMO. Secondo i dati, le tre principali motivazioni che spingono a un cambio sono: risultati non raggiunti (69%), mancanza di credibilità interna (58%) e incapacità di comunicare una visione strategica (22%).
Chief Marketing Officer in prima linea (ma con meno risorse)
Nel frattempo, le aspettative verso il marketing non smettono di crescere. Il perimetro si è esteso ben oltre la comunicazione e il brand positioning: oggi si parla di customer insight, digital strategy, esperienza del cliente, valore percepito dal mercato. Tutti ambiti su cui il CEO si aspetta leadership da parte del CMO.
Il problema è che, mentre le responsabilità si moltiplicano, le risorse si contraggono. Gartner parla apertamente di un paradosso: al marketing si chiede di essere sempre più incisivo, ma con budget sempre più compressi. Questo mette in crisi la possibilità di misurare l’efficacia delle attività, di giustificare gli investimenti e – in ultima analisi – di dimostrare il valore reale del marketing. Non sorprende quindi che solo il 54% degli executive ritenga il proprio CMO in grado di provarlo.
L’acquisizione come leva primaria
In questo contesto complesso, una priorità emerge su tutte: l’acquisizione di nuovi clienti. Il 91% dei CMO la indica come l’obiettivo numero uno. Seguono la crescita dei ricavi (77%) e la fidelizzazione (68%). Ma anche qui si nota una frizione interna: solo il 36% ha effettivamente la responsabilità diretta sulla Customer Experience, nonostante sia indicata dai CEO come la strategia più promettente per il futuro. Questo scollamento tra ruoli e priorità è il sintomo di un problema più profondo: la difficoltà, per molti CMO, di ridefinire il proprio mandato. Di spiegare in modo chiaro, condiviso e misurabile cosa significhi fare marketing oggi, e perché dovrebbe sedere al tavolo dove si decidono le sorti dell’impresa.
Il valore di un Chief Marketing Officer “stratega”
I CMO che partecipano in modo attivo alla pianificazione della strategia aziendale hanno sette volte più probabilità di soddisfare (e superare) le aspettative della leadership. Non si tratta solo di “esserci”, ma di esserci in modo rilevante. Di portare competenze analitiche, una visione esterna, la capacità di leggere il cambiamento e di tradurlo in scelte competitive.
Quando questo accade, il CMO diventa un alleato del CEO. E il marketing si trasforma da centro di costo a leva di crescita.
Oltre l’operatività: i due profili del CMO
Gartner individua due archetipi professionali tra i responsabili marketing di oggi:
- L’Enterprise Operator, orientato al funzionamento interno, capace di implementare le strategie aziendali e di guidare iniziative trasversali.
- Il Market-Shaper, proiettato verso l’esterno, attento ai segnali del mercato, capace di innovare l’offerta e costruire una differenziazione di valore.
I numeri non lasciano spazio a dubbi: chi eccelle nel secondo profilo ha l’88% di probabilità di superare le aspettative del top management, contro appena l’11% di chi resta ancorato a un approccio più operativo.
Le quattro capacità che contano
Sono 4 le competenze chiave che definiscono e identificano un vero “market-shaper”:
- Bridging – Saper connettere le esigenze emergenti del mercato con le possibilità dell’impresa;
- Describing – Comunicare con chiarezza e differenziazione il valore dell’offerta;
- Developing – Anticipare i bisogni futuri e favorire l’innovazione;
- Anticipating – Rilevare per tempo le dinamiche dirompenti e adattare la strategia.
Sono capacità che richiedono visione, ma anche concretezza. Intuizione, ma anche dati. Ed è proprio in questo equilibrio che il CMO può diventare una figura chiave nella trasformazione dell’impresa.
Ma non bastano le intuizioni: servono anche strumenti. Il CMO market shaper padroneggia le tecnologie analitiche e i modelli predittivi, sa integrare l’intelligenza artificiale nei processi decisionali e lavora a stretto contatto con i team finance, prodotto e tecnologia. Inoltre, è presente nei momenti in cui si definiscono le strategie di crescita: non solo per “allinearsi” agli obiettivi dell’azienda, ma per contribuire a definirli. Infine, deve guadagnarsi la legittimazione del board non tanto con risultati tattici, quanto attraverso una visione ben articolata, misurabile e condivisa, che dimostri come il marketing possa generare impatto tangibile su acquisizione, retention, innovazione e margini.
Cinque forze che stanno trasformando il marketing (e il ruolo del Chief Marketing Officer)
Non basta più padroneggiare strumenti e canali: il Chief Marketing Officer di oggi deve saper interpretare il contesto in cui opera, cogliendo i segnali di trasformazioni sistemiche che impattano modelli di consumo, tecnologie, cultura organizzativa e relazione con il cliente. La società di ricerca statunitense individua cinque trend chiave che nei prossimi anni ridisegneranno le priorità e le responsabilità del marketing. Non si tratta di mode temporanee, ma di mutazioni profonde e strutturali che ogni CMO deve conoscere e governare.
1. Trust Operations: la fiducia come asset strategico
In un mondo in cui l’intelligenza artificiale generativa moltiplica contenuti ma non sempre garantisce veridicità, la fiducia diventa una leva competitiva. La gestione proattiva della fiducia – definita appunto Trust Operations – implica la capacità di progettare esperienze trasparenti, verificabili, coerenti nel tempo. Il CMO deve collaborare con legal, compliance e IT per costruire un framework di reputazione basato su trasparenza dei dati, uso responsabile dell’AI, accessibilità e inclusività. La fiducia non è più un effetto collaterale della comunicazione, ma una metrica da presidiare con rigore.
2. La più grande transizione di ricchezza della storia
Nei prossimi vent’anni, circa 78.000 miliardi di dollari passeranno da una generazione all’altra, secondo le stime riportate nel report. Questo trasferimento epocale di capitale avrà effetti profondi sulle logiche di consumo, sui valori dominanti e sulle aspettative nei confronti dei brand. Le nuove generazioni – Millennials e Gen Z – ereditano non solo risorse economiche, ma anche potere decisionale. I CMO dovranno dunque ripensare target, messaggi, canali e linguaggi per entrare in risonanza con una base clienti culturalmente e valorialmente diversa, più attenta a sostenibilità, autenticità e impatto sociale.
3. Digital Humans: l’evoluzione delle interfacce relazionali
Chatbot, avatar conversazionali, assistenti vocali e agenti AI stanno cambiando il modo in cui le persone interagiscono con le aziende. Non sono più strumenti accessori, ma veri e propri touchpoint evoluti, capaci di influenzare l’esperienza complessiva del cliente e il posizionamento del brand. I “digital humans” permettono un’interazione personalizzata, scalabile e sempre attiva, ma richiedono progettazione attenta, coerenza narrativa e una regia integrata tra marketing, IT e customer service. Il CMO dovrà garantirne l’efficacia non solo tecnica, ma anche valoriale, per evitare derive disumanizzanti o inefficaci.
4. Il declino della narrativa autoritativa
L’epoca in cui bastava un messaggio veicolato dai grandi media per costruire consenso è finita. Oggi i consumatori non si fidano più (solo) delle fonti istituzionali, ma cercano esperienze, community, interazioni dirette. È il trionfo dell’“everywhere narrative”: diffusa, frammentata, co-creata. Per i CMO, questo significa ripensare la strategia dei contenuti abbandonando la logica top-down e abbracciando modelli partecipativi, capaci di attivare il pubblico attraverso testimonianze reali, creator credibili, dinamiche di coinvolgimento e dialogo. Il brand non è più detto: è dimostrato e vissuto.
5. L’impatto sociale dell’Intelligenza Artificiale Generativa
La diffusione della GenAI pone nuove responsabilità etiche e culturali. Non basta usarla per ottimizzare processi o generare contenuti: serve una governance che ne garantisca l’adozione consapevole, il rispetto dei bias, la trasparenza delle fonti e la coerenza con i valori del brand. Inoltre, l’Intelligenza Artificiale sta modificando la composizione e le competenze dei team marketing, creando il bisogno di figure ibride capaci di coniugare creatività, tecnologia e responsabilità. Il CMO deve guidare questo cambiamento, formando squadre all’altezza delle nuove sfide e promuovendo un uso inclusivo e strategico dell’AI.