Burocrazia

36 giorni l’anno persi per seguire le vicende fiscali

A tanto ammontano le giornate lavorative che le imprese italiane dedicano al fisco. Il 76% in più della media UE. In un libro bianco, la Confcommercio denuncia la “bulimia normativa e la proliferazione dei centri decisionali”.

Pubblicato il 14 Nov 2012

36 giorni l’anno persi per seguire le vicende fiscali

Secondo la Banca Mondiale, per seguire le proprie vicende fiscali le imprese italiane impiegano mediamente 36 giorni lavorativi l’anno: il 76% in più della media UE e, per allargare il confronto, il 46% in più dei paesi OCSE.

E’ uno dei dati presentati nel libro bianco “Credito e burocrazia: il gattopardo delle imprese” presentato al Forum dei giovani imprenditori di Confcommercio, secondo il quale aprire un’attività in Italia costa il 18,6% del reddito pro-capite, contro una media OCSE del 5,6%.

“Ma è tutta la complessa Babele degli adempimenti – non solo fiscali – cui è soggetta l’impresa, epifenomeno di una bulimia normativa e di una proliferazione di centri decisionali spesso contraddittoria e quasi sempre farraginosa, a denunciare il gap tricolore: solo gli adempimenti fiscali sono in media 120 all’anno per azienda”, scrive il rapporto.

Antonio Catricalà, ex presidente Antitrust, ha stimato in almeno 61 miliardi di euro i costi “attaccabili” della burocrazia: proponendo una riduzione del 25% che comporterebbe immediatamente una crescita del PIL dell’1,7%.


Oltre la burocrazia, il credit crunch
Ma quello della burocrazie non è l’unico problema. C’è anche il credit crunch. Secondo un’indagine dell’Osservatorio sul credito di Confcommercio, nel terzo trimestre 2012 è stato registrata una diminuzione delle aziende che si sono rivolte alle banche per chiedere o rinegoziare affidamenti e prestiti.

Si tratta del 15,7% su un campione di 1.443 aziende del terziario (5% in meno rispetto al secondo trimestre). Che molto probabilmente sanno già che è inutile chiedere soldi alle banche.

A settembre Bankitalia ha stimato un calo dei prestiti del 3,2% su base annua e in 12 mesi in termini assoluti si parla di 42 miliardi di euro in meno erogati a imprese e famiglie.

Secondo l’associazione dei commercianti solo il 31,5% delle aziende del terziario si vede accogliere le richieste di credito, mentre a fine 2009 il via libera arrivava ad oltre sette aziende su dieci.

Ancora sul fronte del credito. Se per un prestito da un milione di euro in 5 anni le imprese italiane sborsavano mediamente a luglio 2012 il 6,24%, quelle francesi e tedesche pagavano oltre due punti in meno, rispettivamente solo il 4,14% e 4,04%.

Senza dimenticare che in un anno, da luglio 2011 ad agosto 2012, i tassi medi sui prestiti di grandi dimensioni si sono appesantiti di oltre mezzo punto percentuale.

Se poi l’importo del finanziamento scende e l’impresa che lo richiede ha dimensioni modeste, quelle del 90% delle aziende italiane, ecco che il conto può diventare molto più salato: per un prestito da 15mila euro da restituire in 72 mesi, difficilmente una PMI o una start-up potrà scontare tassi inferiori al 10%. Semmai è molto probabile che il TAEG si avvicini al 15%.

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