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Imprese familiari, passaggio generazionale e “patti di famiglia”: i casi Riso Gallo e Bauli

In Italia 2 aziende su 3 sono familiari, ma di esse il 25% è guidato da un ultra70enne, e il 18% dovrà gestire la successione entro 5 anni. Un passaggio ancora più critico dopo la crisi economica e in piena trasformazione digitale. Le testimonianze di Emanuele Preve (Riso Gallo) e Michele Bauli al Top Management Forum

Pubblicato il 23 Feb 2017

imprese familiari

Tra le imprese italiane con fatturato oltre 20 milioni di euro, ben 2 su 3 sono familiari, cioè controllate almeno al 50% (se non quotate) o almeno al 25% (se quotate) da una o due famiglie. Durante la crisi economica (2007-2015) queste realtà sono cresciute molto più di quelle “non familiari” (45% contro 32%) ottenendo nel 2015 oltre un punto in più di redditività operativa (ROI): 8,6% contro 7,5%.

Sono dati dell’edizione 2016 dell’Osservatorio AUB, promosso da AIdAF (Associazione Italiana delle Aziende Familiari), Cattedra AIdAF-EY di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi, UniCredit e Camera di Commercio di Milano. E sono l’ennesima conferma dell’importanza di questo tipo di realtà per l’economia italiana. A conclusioni simili arriva anche il rapporto Mediobanca-Unioncamere 2016 sulle medie imprese industriali italiane, di cui abbiamo parlato qui.

Sempre secondo il report AUB, nel 25% delle imprese familiari il leader ha oltre 70 anni: una situazione in cui le performance reddituali scendono sotto la media. E in quasi una su 5 (18%) è in vista un passaggio generazionale entro 5 anni.

I 7 consigli di Assolombarda per una successione senza problemi

Gli stessi imprenditori riconoscono il passaggio generazionale come una storica criticità per le imprese familiari, ancora più complessa negli ultimi anni per gli impatti della crisi economica e della digital transformation. In effetti sempre secondo AidAF, solo il 30% delle imprese familiari italiane sopravvive al fondatore, e solo il 13% arriva alla terza generazione.

E non a caso si stanno moltiplicando in Italia i corsi, master, libri e practice di consulenza dedicati al passaggio generazionale. In particolare qualche mese fa Assolombarda, insieme a Università Bocconi e AidAF, ha presentato un “manuale” sulla successione aziendale, che in estrema sintesi evidenzia 7 condizioni per un passaggio generazionale di successo: distinguere l’impresa dalla famiglia, applicare un sistema di governance moderno, premiare le competenze, definire un quadro di regole condivise, prepararsi all’imprevisto, privilegiare una prospettiva di processo, coinvolgere attori terzi.

«Le imprese familiari sono di fronte a cambiamenti radicali: la rivoluzione digitale sta sconvolgendo modelli di produzione, rapporti con i clienti e gestione delle persone – ha sottolineato alla presentazione del manuale l’amministratore delegato di EY Italia, Donato Iacovone -. C’è sempre più bisogno di saper coniugare la spinta innovativa del digitale con i valori fondanti della propria impresa, aprendosi anche a collaborazioni sinergiche e multidisciplinari per dare origine a nuovi modelli di sviluppo. Le nuove generazioni possono facilitare e spingere questo cambiamento, indispensabile per continuare a crescere».

Un contributo importante sui temi del passaggio generazionale è venuto qualche settimana fa al Top Management Forum 2016 da due imprese familiari di primo piano nel panorama economico italiano: Riso Gallo e Bauli.

Riso Gallo, le regole di entrata: laurea, 3 lingue, esperienza all’estero, e ruolo vacante

Emanuele Preve, Managing Director di Riso Gallo International

Emanuele Preve, Managing Director di Riso Gallo International, ha significativamente intitolato il suo intervento “Impresa e famiglia, programmare il futuro per garantire la continuità”. Dopo la laurea in Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano, Preve ha fatto esperienza per 3 anni all’estero in alcune realtà internazionali, poi è tornato in Italia lavorando sia nell’industria sia nel bancario, ed è entrato nell’azienda di famiglia solo a 39 anni, nel 2013.

«Si sa che solo il 13% delle imprese familiari arriva alla terza generazione: noi siamo alla sesta, siamo arrivati a 160 anni di attività», ha detto il Managing Director di Riso Gallo. Che ha continuato citando le fasi del ciclo di vita in un’azienda familiare secondo l’Associazione Cerif: la prima è esclusivamente padronale, poi c’è quella padronale allargata, quella pseudo-manageriale, quella manageriale evoluta, e quella manageriale sofisticata. «In ciascuna di queste transizioni c’è sempre un momento di discontinuità anche dello sviluppo aziendale. Il punto è come coniugare il consolidamento dell’impresa con le dinamiche familiari, che a volte sono emotive, e comunque molto importanti, da valutare attentamente: occorre capire ogni volta cosa succede, perché, e cosa si può fare».

Nel caso di Riso Gallo per esempio, Emanuele Preve definisce “traumatico” il passaggio da quinta a sesta generazione. «È successo circa 25 anni fa, in pratica un gruppo internazionale presente con impianti produttivi e uffici in 5 Paesi si è diviso in tre gruppetti di cui uno (attivo solo in Argentina) è stato poi venduto».

La quarta generazione era una persona sola, un padre con 3 figli, ma poi, si sa, mogli e figli cambiano lo scenario. «Mio padre ha vissuto una situazione conflittuale con la famiglia, a un certo punto è stato estromesso, e poi quando è rientrato ha fatto in modo che la cosa non si ripetesse per i suoi 4 figli».

«Mai pensare: questo a noi non può accadere»

Il prezzo per la pace è un “Patto di Famiglia”, per garantire il passaggio generazionale e la continuità dell’impresa. È un tema da affrontare per tempo, con l’aiuto di consulenti esterni e un approccio assolutamente non emotivo. Non si tratta chiaramente di una sorta di “giuramento” sottoscritto in una cena, ma di un vero e proprio contratto, che richiede mesi di preparazione e formalizza tutti gli aspetti del ruolo della famiglia nell’impresa. E tra questi, i criteri per l’accesso di familiari in azienda, per i percorsi di carriera, la politica (e i limiti) dei compensi, dei dividendi e dei benefit, i meccanismi di distribuzione di quote, azioni e dividendi.

Negli ultimi anni, centinaia di imprese hanno stipulato un patto di famiglia. Quello di Riso Gallo è stato tra i primi, definito circa vent’anni fa con l’aiuto di Studio Ambrosetti. «Tra l’altro prevede – spiega Preve – che per entrare in azienda occorre laurearsi, parlare almeno tre lingue, lavorare in altre aziende, e che il ruolo che si va a ricoprire entrando sia vacante o necessario. Condizioni che ovviamente ho rispettato anch’io».

La proprietà si può ereditare, la capacità imprenditoriale no, ha sottolineato Preve citando l’economista Schumpeter, e inoltre non bisogna mai pensare “questo a noi non può succedere”. «E quando nasce un problema occorre tener conto che esistono interessi diversi, nell’ambito di una confusione dei ruoli nella famiglia e nell’impresa. Non esistono buoni e cattivi».

Alla fine comunque, ha concluso Preve, un leader determinato è necessario, meglio se familiare, ma a quel punto i fratelli devono essere considerati “soci”, e non parenti.

Bauli: operatività delegata totalmente ai manager e rigoroso controllo di gestione

Michele Bauli, Director di Bauli

Sempre al Top Management Forum 2016 come accennato è intervenuto anche Michele Bauli, Director di Bauli. «Sono convinto che delega e pieno coinvolgimento siano ingredienti chiave per rimanere competitivi – ha detto Bauli, che appartiene alla terza generazione dell’azienda, fondata nel 1922 -: certe aziende hanno una marcia in più grazie a orgoglio di appartenenza, imprenditorialità, dedizione, e voglia di migliorarsi. E nel nostro caso buona parte del senso d’appartenenza viene proprio dalla delega: fin dagli anni ‘80 mio padre e i suoi fratelli decisero di affidare molte decisioni a manager esterni».

Un passaggio, sottolinea Bauli, favorito dalla grande attenzione per il controllo di gestione, che ha permesso alla famiglia appunto di delegare al management l’operatività quotidiana, e di concentrarsi su strategia e piani di sviluppo. «L’analisi dei dati aziendali per noi è sempre stata cruciale, mentre spesso anche aziende di marca non hanno numeri precisi: ci è capitato in una “due diligence” di riscontrare che un’impresa non conosceva il costo industriale del suo prodotto».

Essendo in un settore caratterizzato da lunghissimi lead time, da sempre Bauli analizza molto attentamente i suoi dati, ma con la strategia di acquisizioni varata 10 anni fa per ridurre la dipendenza dalla stagionalità (qui parliamo del progetto di adozione di un sistema ERP in corso in Bauli per supportare questa strategia, ndr), ha dovuto cambiare anche l’approccio a quest’attività, per accelerare il processo e avere sempre un’unica versione del dato rispetto alle varie funzioni aziendali.

«Il circolo virtuoso – ha concluso Bauli – si compone di quattro fasi: definizione degli obiettivi, delega, controllo, analisi dei numeri. All’interno di questo la delega è piena. Parlo di delega per obiettivi, con libertà entro limiti definiti, autonomia della persona, e autorealizzazione».

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