Indagini e ricerche

Medie imprese, ROI più alti e più interesse verso Industria 4.0 per chi fa Risk Management

Una su 4 ha un sistema integrato di gestione dei rischi, ma un altro 27% non ha policy in questo campo. Le criticità più temute: passaggio generazionale, non-conformità normative, cyberminacce (attacchi hacker e difesa dell’integrità dei dati), difetti del prodotto, danni alla reputazione. I dati dell’Osservatorio Cineas-Mediobanca 2017 su 272 aziende italiane manifatturiere

Pubblicato il 29 Set 2017

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Nelle medie aziende italiane il risk management non è solo un costo, anzi addirittura è strettamente correlato con i profitti: chi ha un sistema di gestione dei rischi integrato ottiene in media un ritorno operativo dagli investimenti (ROI) del 31% più alto rispetto alle altre imprese.

Questo il responso più importante della quinta edizione dell’Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane che Cineas – Consorzio universitario non profit fondato dal Politecnico di Milano nel 1987 – realizza con l’Area Studi di Mediobanca.

«Non solo: le aziende che usano strumenti di risk management nei processi di governance d’impresa più globali e strategici dimostrano di avere più alta tendenza all’innovazione, in particolare nelle tecnologie industria 4.0», commenta il Presidente di Cineas, Adolfo Bertani.

L’Osservatorio si basa su un’indagine che ha coinvolto 272 medie imprese manifatturiere italiane, principalmente dei settori beni per casa e persona, meccanica, chimico farmaceutico, alimentare, carta e stampa, metallurgico. Tipicamente sono di proprietà familiare, con le prime due generazioni alla guida in gran parte dei casi. Il fatturato medio è di 61 milioni di euro, il personale di 153 dipendenti.

Competenze in famiglia, concorrenti esteri e perdita di clienti chiave: gli assilli ricorrenti

Una prima area di rischio è il passaggio generazionale: 3 aziende su 4 lo considerano ad alta criticità, il 40% teme la carenza di competenze altamente qualificate entro la famiglia. Le aziende con un board misto (famiglia proprietaria e manager esterni) risultano più performanti rispetto a quelle con solo una delle due componenti.

Quanto all’andamento del business negli ultimi tre anni, 7 imprenditori su 10 indicano la competizione sul prezzo dei concorrenti esteri e la recessione globale come i fattori più condizionanti. La perdita di un cliente chiave è l’elemento che ha influenzato nel modo più negativo gli affari (87% delle risposte); pesano molto meno le calamità naturali (5%), gli attacchi informatici (2%), la perdita di collaboratori fortemente qualificati e di fornitori chiave (rispettivamente 13% e 10%).

Industria 4.0: interessa soprattutto la robotica

Nei nuovi scenari di industria 4.0, secondo gli imprenditori l’area più interessante è la robotica/domotica (2 su 3 la considerano ad alta rilevanza), seguita a distanza da Internet of Things (37,4%) e stampanti 3D (26,3%). Le competenze più necessarie per la crescita del business invece sono nelle aree R&S, marketing e comunicazione, risk management. Il 78% delle imprese acquisirà queste competenze attraverso formazione specifica su personale già in azienda.

«Nel campione si evidenzia una correlazione positiva tra profittabilità operativa e peso assegnato alle life skills rispetto alle competenze tecniche», commenta il Direttore dell’Ufficio Studi Mediobanca, Gabriele Barbaresco. Sui temi del rischio si delinea uno scenario in cui modelli ingegneristici e serie statistiche sono indispensabili, ma non più sufficienti a interpretare l’attuale contesto a causa della sua incertezza. Anche per questo può essere un fattore critico di successo l’investimento in risorse dotate non solo di competenze tecniche specialistiche, ma anche di abilità trasversali evolute, come pensiero critico e flessibilità adattativa».

Il 25,3% delle imprese del campione presenta un sistema integrato di rischi (nel 2016 erano il 17,2%), mentre il 47,2% ha un approccio segmentato e il 27,5% non ne dispone affatto. «In termini di performance economiche si evidenzia un differenziale di ROI che supera il 30% a favore delle imprese con approccio di risk management più avanzato», sottolinea il Presidente Cineas. Più in dettaglio, chi ha un sistema di risk management integrato registra una redditività operativa media del 10,6%, chi gestisce i rischi in modo segmentato arriva al 9,8% e chi non gestisce i rischi all’8,1% medio.

Ma perché dotarsi di un sistema di risk management? La prima motivazione è l’esigenza di tutelare la continuità del business (55,8%). Per la gestione dei rischi, le aziende ricorrono oltre 3 volte su 4 ad un partner esterno, tipicamente una società di consulenza. Del 16,7% che invece si affida a risorse interne, solo il 5,2% ha un risk manager.

I rischi più temuti e presidiati si confermano quelli legati agli obblighi di legge (la sicurezza sul lavoro al primo posto) ma sale al secondo posto il rischio cyber (che include sia l’attacco informatico sia il mantenimento dell’integrità dei dati aziendali, e che era al terzo posto nel 2016 e all’ottavo nel 2015.  Al terzo posto c’è la difettosità del prodotto, e al quarto il rischio reputazionale (che nel 2015 non era neanche tra i primi 10 rischi).

«Man mano che ci si sposta verso la gestione di rischi meno legati a obblighi legali e più all’attivazione di leve competitive, si amplia il differenziale in termini di redditività a vantaggio delle imprese più attive con risk management più strutturato. E’ il caso delle competenze professionali (+8%), degli aspetti reputazionali (+10%), della sicurezza informatica evoluta e protezione dall’hackeraggio (14%) fino al presidio della qualità del prodotto e della sua non replicabilità (+21%)», spiega Barbaresco (qui si può scaricare la sua presentazione).

Il settore più virtuoso in materia di gestione del rischio risulta l’alimentare, seguito dal chimico-farmaceutico, dal meccanico e dai beni per la persona e la casa. In base al settore cambia anche la percezione del rischio degli imprenditori: nell’alimentare ci si sente più esposti all’imitazione del prodotto; per i beni per la persona e la casa in cima alla lista dei pericoli ci sono le calamità naturali; il chimico farmaceutico teme il rischio di disastro ambientale; per il meccanico a contare di più sono le competenze professionali, mentre nel metallurgico la sicurezza sul lavoro.

Se si considera che il giro d’affari delle medie imprese in Italia è di 154 miliardi di euro, e che la stima dell’Ufficio Studi Mediobanca è che la sola gestione del rischio valga lo 0,9% del fatturato, questo 0,9 corrisponde a un valore di 1,4 miliardi, di cui 0,7 miliardi sono costi assicurativi, 0,5 miliardi costo del personale specializzato (meno di 3 persone in media) e 0,2 miliardi costi di consulenza. Tenuto conto che il 27,5% delle imprese del campione non ha ancora implementato un sistema di gestione è ipotizzabile un mercato potenziale di oltre 0,2 miliardi di euro. Una sintesi dei risultati dell’Osservatorio è scaricabile a questo link.

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