Mobile Advertising

Ad blocking, un problema crescente. Ora anche sugli smartphone: le mosse di Apple, Samsung e Tre

Non più solo App sviluppate da startup indipendenti. Ora scendono in campo anche i produttori di device e persino le telco. Una minaccia crescente per il mondo dell’advertising digitale e per i media, che di pubblicità vivono. Ma anche un’opportunità di dar vita a nuovi modelli di business e formati che avvantaggiano l’utente finale

Pubblicato il 17 Mar 2016

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La marcia del Mobile advertising avanza spedita (in questo articolo i numeri del mercato italiano), ma va ormai di pari passo con lo sviluppo di soluzioni che limitano il download dei messaggi pubblicitari che appaiono durante la navigazione on line. Nati per il Web, ora i sistemi di Ad blocking (o Ad filtering), sempre più raffinati, sono sbarcati su smartphone e tablet. Gli utenti, è chiaro, non amano formati pubblicitari intrusivi. E a calpestare i piedi degli inserzionisti non ci sono più solo sviluppatori indipendenti: alla crociata contro banner e pop-up si sono uniti i costruttori – Apple prima e Samsung poi – e anche gli operatori telefonici, con l’iniziativa appena annunciata di H3G in UK e in Italia.

«L’Ad blocking minaccia tutta la Rete per come la conosciamo, perché colpisce consumatori e aziende che dipendono da servizi remunerati con la pubblicità -, ha dichiarato l’Interactive Advertising Bureau Europe, commentando in una nota i recenti sviluppi. -Il rischio è che si mini alla base l’indipendenza e la diversità dei media nel Vecchio continente”. La verità è che si sta mettendo in discussione l’efficacia di un modello di business che sembrava inarrestabile. E che invece, con ogni probabilità, dovrà essere rivisto.

I numeri parlano chiaro: con una diffusione sui pc che arriva al 38%, Ad Blocking è un problema crescente in tutto il mondo (in questo articolo i dati recenti di diffusione). Ecco perchè uno dei principali trend attesi per il 2016 è proprio la crescita degli investimenti in Native Advertising, tendenzialmente in logica multi-piattaforma, efficace per by-passare i sistemi di ad-blocking. Ed ecco perchè anche a IAB Forum Milano quest’anno è emersa forte l’esigenza di favorire formati più rispettosi degli utenti.

Milioni di utenti usano il servizio: in Italia uno su tre. Ma c’è chi riesce ad aggirare il blocco… pagando

Ma che cos’è e chi usa il servizio ad-blocking? Cominciamo col dire che attualmente Adblock Plus, sviluppato dalla tedesca Eyeo, è una delle estensioni più installate sui browser Chrome e Firefox, con 300 milioni di download e più di 50 milioni di utenti attivi su base mensile. Secondo un’indagine firmata Research Now commissionata da Teads (gruppo specializzato nel video native advertising), in Germania addirittura il 72% del campione dichiara di aver installato un programma di blocco per gli annunci molesti. La stessa ricerca indica che in Italia il 38% degli utenti (soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni) ha installato un ad blocker sul proprio Pc, circa il 40% in più di chi invece ce l’ha sullo smartphone.

Aggirare il blocco si può. Basta entrare nella whitelist di Eyeo, in altre parole l’elenco dei banner consigliati agli utenti come non invasivi o dannosi per la user experience. Ci sono due modi per superare la barriera: dimostrare che il contenuto è dichiaratamente promozionale e che la modalità di visualizzazione rispetta i parametri dell’ad blocker, oppure… pagare. Il Financial Times ha recentemente rivelato che Google, Amazon e Microsoft sono in questo senso affezionati clienti di Eyeo, che sempre secondo il quotidiano economico arriverebbe a richiedere come contropartita fino al 30% delle revenue ottenibili con i banner sbloccati. I tre giganti, che come noto fanno la parte del leone nel mercato dell’Internet Adv, devono muoversi con diplomazia in un mondo che cambia rapidamente e che non tollera atteggiamenti radicali o di esclusione. Nulla infatti vieterebbe, in particolar modo a Mountain View, di estromettere dal proprio App Store Google Play tutte le applicazioni potenzialmente pericolose per il business dell’advertising. Un brivido gli sviluppatori lo hanno avuto con l’ultimo aggiornamento dei termini di servizio, che di fatto ha vietato le soluzioni di ad blocking di terze parti su Android e quindi su tutto il mondo delle mobile app (dove il deep linking sarebbe stato fortemente danneggiato), mentre sembrerebbe che i plug-in per i browser e i software con sistemi di blocco integrati siano per il momento salvi.

Apple e Samsung facilitano l’installazione dell’ad Block sugli smartphone

Google in realtà non ha potuto fare diversamente perché, come accennato, sia l’eterno rivale Apple sia Samsung hanno deciso di mettersi dalla parte degli utenti. Cupertino ha introdotto un supporto per le funzioni di ad blocking all’interno del browser Safari già nel corso del 2015, con il rilascio di iOS 9, mentre il produttore coreano ha reso disponibile per i propri device con sistema operativo Android – Lollipop o superiore – nuove API che semplificano l’integrazione di strumenti di ad blocking sul browser preinstallato sul dispositivo. Questo significa che se Google non avesse lasciato carta bianca agli sviluppatori su Chrome, molti degli utenti allergici al mobile advertising avrebbero potuto migrare sul software Samsung o peggio, abbandonare Android per scegliere un iPhone. Al momento col 41,57% di quota di mercato (fonte: NetMarketShare) Chrome è il browser più utilizzato in assoluto. Ma non bisogna dimenticare che, in ambiente iOS, Safari detiene un minaccioso 34,12%, mentre il browser Samsung è stato scaricato tra i dieci e i cinquanta milioni di volte. L’annuncio del colosso coreano dell’elettronica di consumo, che pesa per il 22% delle vendite globali di smartphone, ha comunque messo subito in moto gli sviluppatori, tant’è che Crystal e Adblock Fast hanno già reso disponibili i propri plug-in costruiti sulle nuove API di Samsung.

Scendono in campo anche le telco

La vera novità di queste settimane sul fronte ad blocking è però l’annuncio di H3G in Italia e in Gran Bretagna. Le due società locali della multinazionale stanno lavorando gomito a gomito con il gruppo israeliano Shine Technologies per costruire una piattaforma che potrebbe essere estesa agli altri network della multinazionale in Irlanda, Austria, Danimarca, Svezia, Hong Kong e Indonesia. Secondo H3G, addirittura il 20% del traffico dati in mobilità sarebbe generato dal download di materiale pubblicitario. “Non è giusto che i nostri clienti debbano pagare un servizio così fortemente influenzato dall’advertising”, ha detto Tom Malleschitz, Chief Marketing Officer di Three UK, precisando che la soluzione allo studio con Shine non contravverrà alle regole dell’Antitrust, visto che l’utente potrà disattivarla in qualsiasi momento.

Posizione e strategia di H3G sono condivise in pieno da Digicel Group, operatore giamaicano attivo in Centro e Sud America con circa 13 milioni di utenti. Anche Digicel Group ha avviato una partnership con Shine per sviluppare una tecnologia che blocchi direttamente sui propri network il mobile advertising.

Per conoscere i dettagli anche tecnici dell’operazione, bisognerà aspettare qualche mese. Ma in entrambi i casi, Shine sembrerebbe essere in grado di abilitare l’accesso alle reti di specifici tipi di annunci pubblicitari. Esattamente come Eyeo riesce a fare sul software. Nelle dichiarazioni di intenti, lo scopo delle parti in gioco è permettere ai clienti di ricevere solo comunicazioni non intrusive e rilevanti per i propri interessi. Il che evidentemente inaugurerebbe un nuovo modello di business.

E ora si cerca di accelerare i contenuti

Altre iniziative sono in campo, nella ricerca di un compromesso fra advertiser e utenti. Il vero problema percepito è che nel momento in cui ricevono forme di mobile advertising non è tanto doverle visualizzare, quanto dover sopportare i rallentamenti nell’esperienza di navigazione on line, soprattutto per quanto riguarda i contenuti editoriali. Da Google a Facebook, i laboratori di ricerca stanno correndo ai ripari. Mountain View sta lavorando al progetto AMP (Accelerated Mobile Pages) HTML, un framework aperto a cui partecipano anche editori e piattaforme di digital editing, che ha l’obiettivo di aumentare drasticamente i tempi di download delle pagine aperte via mobile. Allo stesso modo Facebook punta su Instant Articles, una nuova suite di strumenti che aiuta gli sviluppatori a creare contenuti che si caricano dieci volte più velocemente delle normali pagine mobile web. Ora bisogna vedere se queste nuove performance riusciranno a convincere gli utenti a non premere lo switch che – da browser a o livello di network – esclude dal proprio smartphone tutta la pubblicità indesiderata.

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