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Il digitale al servizio del cambiamento: anche la terapia diventa “disruptive”

L’esperienza di due genitori alle prese con una diagnosi di ictus perinatale per loro figlio, che ha portato allo sviluppo della piattaforma Mirrorable, basata su edutainment, Internet of Things e stampa 3D. Intervista a Francesca Fedeli, fondatrice insieme al marito Roberto D’Angelo di FightTheStroke, e speaker al World Business Forum Milano

Pubblicato il 23 Ott 2015

Francesca Fedeli Fightthestroke terapia disruptive
Francesca Fedeli e Roberto D'Angelo, co-fondatori di fightthestroke.org

Quali insegnamenti di management si possono trarre dall’esperienza di una coppia di genitori alle prese con una diagnosi di ictus alla nascita per il loro bambino? Molti, in termini di “superamento” delle crisi, di spostamento del focus dal problema alla soluzione, di gestione del cambiamento e soprattutto di spinta alla ricerca di soluzioni inedite, “disruptive” e basate sulle tecnologie.

È per questo che Francesca Fedeli e Roberto D’Angelo sono stati invitati al World Business Forum 2015 di Milano, con un intervento incentrato sulla loro “nuova vita” iniziata nel 2011, quando è nato Mario, e portata avanti con un percorso di nuovi approcci e terapie sperimentali che li ha spinti a fondare l’associazione Fight The Stroke, e soprattutto a ottenere risultati insperati per il piccolo. Un percorso in cui le tecnologie digitali hanno avuto un ruolo «determinante rispetto a genitori che si fossero trovati nella nostra situazione solo 20 anni fa – ci spiega Francesca Fedeli, un passato nel Marketing e nella Corporate Social Responsibility, autrice del libro ‘Lotta e sorridi’ – e questo per tre motivi».

Il primo è la possibilità di raccogliere velocemente informazioni. «Molti associano la nostra storia a quella del film “L’olio di Lorenzo”, dove si vedono i due genitori che passano molte notti in biblioteca per studiare la malattia del figlio. Per noi tutto questo è stato molto più rapido e semplice: dal momento della diagnosi siamo andati a cercare sul web, su siti ma anche su forum e social media attraverso i quali siamo entrati in contatto con altri genitori che vivevano esperienze simili alla nostra. E non è solo un fatto di rapidità, ma di numero di persone e di ampiezza delle informazioni raggiungibili, abbattendo tutte le barriere geografiche».

Attivare i “neuroni specchio” attraverso il video

Il secondo motivo, molto legato al primo, riguarda la ricerca comune di soluzioni, che viene ottimamente supportata appunto dai social media. «Quando abbiamo capito che la nostra storia non era solo nostra, e che per fare passi avanti dovevamo allearci con altri, abbiamo creato un gruppo privato su Facebook, che oggi raccoglie circa 250 genitori. È stata una cosa spontanea, non ponderata, ma nel tempo ci siamo resi conto appunto della validità di questa modalità d’interazione sia per la condivisione di esperienze, il mutuo supporto e l’aiuto, sia per il “brainstorming” di idee che aiuta a trovare soluzioni – si va dalla cura e terapia, ai rimedi di piccoli problemi quotidiani – e poi a migliorarle e correggerle gradualmente, e a metterle a disposizione di tutti, accelerando il progresso rispetto a una ricerca scientifica che ha tempi lunghi».

Il terzo motivo è che la tecnologia può contribuire anche a migliorare la terapia, in questo caso di riabilitazione motoria. «I bambini che hanno subito ictus hanno bisogno di sedute frequenti di fisioterapia, e chiaramente farle in ambiente familiare invece che in ospedale dà migliori possibilità di recupero: oggi attraverso la tecnologia si può operare di concerto con il medico in remoto, con soluzioni di telemedicina, e nello stesso tempo “mettere in rete” il bambino con altri bambini. Come fondazione abbiamo sviluppato una terapia, supportata da una piattaforma interattiva, che si chiama Mirrorable, basata anche su questo principio: è più facile che il bambino metta in pratica cose che impara vedendo altri bambini, e oggi può vederne provenienti da qualsiasi parte del mondo, grazie a una connessione video».

Tra i temi toccati da Francesca e Roberto al World Business Forum ci sono anche edutainment, Internet of Things e stampa 3D. «La piattaforma Mirrorable prevede l’insegnamento attraverso il gioco. Non è un videogioco, fa leva sul funzionamento dei “neuroni specchio”, che si attivano quando un individuo compie un’azione e un altro lo osserva: è dimostrato che i neuroni usati dall’esecutore durante l’azione si attivano anche nell’osservatore».

Il trattamento si chiama Action Observation Therapy ed espone il paziente a una serie di video, coinvolgendolo in modalità di gioco all’imitazione. In questo modo i neuroni specchio si attivano e stimolano l’apparato motorio, facilitandone il recupero.

La stampa 3D per “fabbricarsi” i giochi

Quanto all’IoT, le video-storie della piattaforma Mirrorable sono fruibili attraverso vari device tra cui anche Kinect, il dispositivo della consolle Xbox di Microsoft che “cattura” i movimenti del corpo senza dover impugnare o indossare sensori. In questo modo è possibile registrare i dati di movimento e fornirli al medico.

Inoltre nella piattaforma si possono disegnare giochi e poi realizzarli con una stampante 3D. «Oggi c’è una carenza reale di oggetti quotidiani adatti a disabili: questo dimostra come una soluzione digitale possa ovviare alle disparità di disponibilità di terapie e supporti tra zona e zona geografica: si sa che a Milano sono accessibili strutture e cure che al Sud non ci sono».

Questo tipo di esperienza, conclude Francesca Fedeli, può insegnare molte cose anche in termini di change management: si supera uno shock focalizzandosi non sul problema, ma sulla soluzione; e si abilita il cambiamento lavorando su abitudini e obiettivi incrementali.

«Quando abbiamo appreso la diagnosi in un primo tempo ci siamo chiusi in casa, una cosa tipica delle sindromi post-trauma. Poi a un certo punto o si rimuove il problema o si combatte, e noi abbiamo preso questa seconda strada, ma rimanendo sempre “entro il contesto”, in alleanza con medici e istituzioni, come dimostra la collaborazione con il professor Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato di fama mondiale che ha scoperto i neuroni specchio e nel 2014 è stato insignito del Brain Prize. La nostra è una soluzione che libera gli ambulatori di fisioterapia territoriali, ma non toglie al medico la possibilità di fissare obiettivi e monitorare il paziente».

Quanto agli obiettivi incrementali, «ancora adesso siamo solo all’inizio, pensare alla guarigione di Mario è un traguardo troppo grande: abbiamo imparato che è fondamentale leggere la situazione e poi stabilire dei traguardi parziali e successivi, scomponendo il problema e affrontandolo per passi».

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