Digital Transformation

Veloci, incrociati, aperti: i percorsi di innovazione nell’era della disruption

I nuovi modelli di innovazione e digital transformation delle imprese fotografati dagli Osservatori del Polimi: agili, collaborativi, aperti al mondo esterno e alle startup, in grado di portare risultati concreti nel breve periodo. Nello studio anche le priorità di investimento in ICT per il 2018 e le azioni mirate a stimolare la creatività e lo spirito imprenditoriale dei dipendenti

Pubblicato il 09 Feb 2018

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L’innovazione, specie quella digitale, assume un ruolo sempre più centrale nelle strategie delle aziende italiane. Si tratta, perlopiù, di un’innovazione incrementale, che si propone di migliorare o trovare nuovi casi d’uso per prodotti o servizi tradizionali. Ma sono numerose le grandi aziende che negli ultimi anni hanno spalancato le porte a una modernizzazione più dirompente, discontinua e “di frontiera”.

«L’ innovazione, al giorno d’oggi, è spesso guidata dall’invenzione scientifica e tecnologica – commenta Stefano Mainetti, CEO di PoliHub e Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano –. I cicli di sviluppo dei nuovi prodotti si accorciano e le organizzazioni si sono rese conto che i tradizionali modelli di governance dei progetti sono anacronistici rispetto alla rapidità con cui si muove il mercato. Il risultato è un’innovazione più agile, collaborativa e aperta all’esterno. La direzione ICT, che in passato era un silo, oggi è un hub, il centro nevralgico su cui convergono e da cui si dipanano gli sforzi innovativi delle LOB (Line of Business) e dei partner esterni, ormai sempre più coinvolti nei processi di rinnovamento».

A conferma di questo trend arrivano i risultati della ricerca dell’Osservatorio Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano, che fotografa l’interesse crescente delle realtà nostrane verso l’Open Innovatione il ricorso a fonti di innovazione finora poco utilizzate come startup, centri di ricerca, università, clienti e aziende non concorrenti. «In Italia, quasi un’azienda su 4 fa Open Innovation– commenta Alessandra Luksch, Direttore dell’Osservatorio –. Il 38% delle imprese collabora con le startup e il 7% lo fa da più di 3 anni. Per il 37% delle aziende le partnership riguardano l’area della ricerca e sviluppo, mentre per il 19% quella commerciale». A cambiare, però, non è solo l’ecosistema degli interlocutori, ma soprattutto la modalità con cui si realizza l’innovazione,veicolata attraverso nuovi modelli operativi e culturali.

Come rimuovere gli ostacoli all’innovazione

Cresce e si rafforza la cultura dell’innovazione e parallelamente aumenta la necessità di rivedere l’organizzazione in termini di ruoli, competenze e processi. L’obiettivo è migliorare la capacità di assorbire conoscenza dall’esterno, “scovare” opportunità e talenti e aumentare il coinvolgimento del top management. Gestire l’innovazione non è facile. La principale sfida organizzativa è legata al coordinamento e alla corretta gestione dei processi che coinvolgono più LOB. Il 39% delle aziende interpellate nell’ambito dell’Osservatorio lamenta, infatti, la difficoltà di definire strutture, ruoli e meccanismi di coordinamento tra diverse direzioni. A frenare i processi di modernizzazione in azienda è, poi, soprattutto la necessità di reperire, valutare e sviluppare le competenze digitali (33%), il bisogno di coinvolgere i dipendenti nei processi di innovazione (29%) e la difficoltà di definire nuove forme di collaborazione con i fornitori tradizionali (27%).Più di un’azienda su 2 (il 55%) ha già avviato azioni utili a favorire l’attitudine imprenditoriale del proprio staff. Le più praticate sono la formazione (citata nel 40% dei casi), gli innovation lab interni (28%), i contest e gli hackathon (14%), lamentorship di dipendenti (7%) e le startup (4%). Dalla ricerca Polimi emerge, però, come di fatto non esista un modello organizzativo dominante per la gestione dell’innovazione, ma si rivela fondamentale la capacità di interiorizzare una nuova cultura di imprenditorialità diffusa e pervasiva,che coinvolga tutti i dipendenti.

Con la Corporate Entrepreneurship il dipendente diventa imprenditore

I dipendenti, infatti, rappresentano un asset critico per imprimere un’accelerazione ai processi innovativi delle aziende, specie se queste operano in business consolidati. Il loro atteggiamento o stile può compromettere la riuscita di progetti anche ben strutturati. Al contrario, il management che coinvolge e incentiva i dipendenti sovente riesce a “scovare” e far emergere i talenti nascosti: inventori e innovatori che, altrimenti, difficilmente potrebbero dimostrare le proprie capacità, frenati dai processi eccessivamente strutturati e dai ruoli consolidati tipici delle aziende tradizionali. Negli ultimi anni si sta affermando un nuovo approccio organizzativo e gestionale che mira a coinvolgere il dipendente per trasformarlo in un imprenditore di se stesso, e stimolarlo a rischiare ed esprimere al meglio la propria creatività: la Corporate Entrepreneurship. Questo modello consiste nell’applicare le logiche e i processi tipici delle startup all’interno delle organizzazioni tradizionali, sostituendo con approcci Agile e Lean processi di sviluppo del business altrimenti troppo “ingessati” e anacronistici, che mal si adattano alla velocità degli ambienti competitivi moderni. La Corporate Entrepreneurship promette di favorire il cambio di rotta dei modelli di business tradizionali, spingendo i dipendenti a sperimentare l’ignoto (ed esorcizzando anche il rischio del fallimento), e accelerando il corso di progetti innovativi dirompenti che guardano a nuovi mercati o trasformano completamente l’offerta esistente. «Sviluppare la Corporate Entrepreneurship, ricorrere all’Open Innovation e collaborare con le startup – conclude Alessandra Luksch –: queste sono le prossime sfide che le aziende italiane dovranno affrontare per migliorare la propria attività e favorire lo sviluppo del sistema economico nel suo complesso, facendo leva su un nuovo approccio al lavoro ispirato all’imprenditorialità e all’innovazione».

Azioni adottate per favorire l’attitudine imprenditoriale in azienda

Budget ICT in crescita: ecco le tecnologie su cui investiranno le aziende nel 2018

Crescono i budget ICT per l’anno appena iniziato, a conferma del maggior peso che la digital transformation si ritaglia all’interno dei processi innovativi delle aziende italiane. È l’Osservatorio Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano a confermare un incremento degli stanziamenti in tecnologie informatiche per quasi 4 aziende su 10 (il 36%), con un tasso stimato fra un +1,8% e un +1.9% (l’anno scorso la previsione oscillava tra un +0,5% e un +0,6%). In particolare, il 22% delle aziende prevede un aumento contenuto entro il 10% mentre il 14% addirittura superiore. Il 52% delle imprese lascerà invariate le risorse, mentre soltanto il 12% prevede di ridurre gli stanziamenti ICT nel 2018.

Gli investimenti saranno convogliati soprattutto nelle aree Big Data/Analytics (citata dal 43% degli intervistati), digitalizzazione e dematerializzazione (34%),consolidamento e aggiornamento delle applicazioni (29%), sicurezza e compliance (28%), Industria 4.0 (23%). L’importanza crescente degli investimenti in innovazione digitale è dimostrata dal fatto che in quasi 4 imprese su dieci (il 39%) esiste un budget dedicato a queste tecnologie anche al di fuori della direzione ICT – in prevalenza all’interno delle direzioni Marketing eBusiness Development. Gli stanziamenti sono inferiori a quelli della Direzione ICT nel 29% dei casi, mentre sono comparabili o superiori nel 10%.

Le priorità di investimento in ICT per il 2018

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