Lo scenario

Report EY: «Il settore del lusso punti su digitalizzazione ed experience»

Secondo lo studio “The luxury and cosmetics financial factbook”, per i brand del luxury e dei cosmetici le priorità sono le nuove tecnologie digitali e la luxury experience con un approccio omnicanale e con un occhio di riguardo all’eCommerce, in forte crescita. Una svolta indispensabile per continuare a crescere nel colossale mercato cinese e per bilanciare le iniziative delle società native digitali nei Paesi maturi

Pubblicato il 17 Ott 2016

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Lusso e digitale sono ormai un binomio inscindibile, specialmente per le griffe che vogliono farsi largo nei mercati emergenti, a partire dalla Cina. Lo dice la la sesta edizione dello studio condotto da EY, “The luxury and cosmetics financial factbook”, che ogni anno analizza lo scenario a livello globale registrando i trend e le trasformazioni innescati dai principali player del settore. Il 2015, per l’appunto, è stato all’insegna delle nuove tecnologie. Il mercato del luxury on line è cresciuto dieci volte dal 2005 e l’anno scorso ha generato il 7% delle vendite totali (in crescita nel complesso di un risicato 1%), in un contesto all’interno del quale i social media giocano un ruolo sempre più importante nella definizione delle piattaforme on line come strumento strategico per la promozione e la distribuzione dei prodotti.

Quella da sviluppare sul digitale è ormai una strategia prioritaria

«Il mercato dei beni di lusso nel suo complesso sta mostrando tassi di crescita marginali», ha commentato Roberto Bonacina, Partner EY TAS Fashion & Luxury, in una nota diffusa dal gruppo. «L’instabilità geopolitica, la minore crescita dei Paesi emergenti, Cina in particolare, e la progressiva saturazione dei mercati occidentali ne stanno inevitabilmente rallentando lo sviluppo. Non è più tempo di corsa al retail, ma di ridefinire i modelli distributivi che tengano conto della “digital disruption”, in atto in numerosi settori. Il consumatore si è evoluto: è diventato più attento, sofisticato, socialmente responsabile e interessato alla qualità di ciò che acquista. Sta alle aziende del settore creare un ecosistema fatto di qualità di prodotto, comunicazione e social media per assicurarsi l’attenzione dei consumatori e orientare le loro decisioni in termini di acquisto in un contesto competitivo in continua evoluzione».

La spinta alla digitalizzazione è in effetti la prima delle tre raccomandazioni che EY suggerisce alle società attive nel settore del lusso che hanno per obiettivo la fidelizzazione dei propri clienti nei prossimi 12 mesi. Addirittura il digitale è prioritario rispetto all’imperativo di mantenere il posizionamento di prezzo – cruciale per dare enfasi alla qualità e rarità dei prodotti e ridurre il rischio di erosione del proprio mercato da parte dei nuovi concorrenti – e di accompagnare il sogno del lusso con elementi portatori di benefici ed esperienze intangibili, come viaggi, arte e gastronomia di alta gamma. Nello stilare le motivazioni di una trasformazione irreversibile, lo studio si è soffermato sull’impatto che l’evoluzione del mercato cinese, che pesa per un terzo sulle vendite globali, ha generato sul comparto: dai pagamenti innovativi abilitati dai mobile device al modo in cui i consumatori interagiscono con i brand on line, fino alla sempre più elevata qualità del customer journey, all’assistenza post vendita passando per la consegna rapida dei prodotti acquistati – il tutto reso possibile ancora una volta dallo sviluppo delle piattaforme digitali – i consumatori dell’ex Celeste impero si stanno abituando a un modo completamente nuovo di conversare e interagire con le imprese.

Social media, e-commerce e logistica, ecco dove investono le griffe

Come stanno reagendo i brand del lusso occidentali a questi stimoli? Dopo qualche anno di riluttanza a entrare nell’arena digitale, oggi la continua crescita di marketplace internazionali ha portato a una presenza consistente di molte imprese, anche se è ancora netta la differenza tra chi considera l’on line uno dei tanti canali su cui predisporre l’offerta e chi invece sta affrontando con decisione gli investimenti per potenziare la propria rilevanza sulle piattaforme più innovative, specialmente per incontrare il favore dei millennials. Se i brand più maturi – tipicamente quelli che già posseggono flagship store nelle principali città cinesi – dichiarano di essere pronti a investire fino a 40 milioni di dollari nei prossimi tre anni per costruire tecnologie e strutture proprietarie per la promozione on line e l’e-commerce, i marchi più giovani punteranno dai quattro ai cinque milioni di dollari per aumentare la propria presenza sui social media e sui negozi digitali di terze parti. Del primo cluster, per esempio, fanno parte del primo cluster Chanel, che punta a produrre contenuti video per dare vita a un’identità di marca digitale, LVMH, con l’exploit di Bulgari, e il gruppo Kering, che ha registrato una crescita di fatturato dell’11,5% per il brand Gucci soprattutto grazie all’impegno sui social network – e in particolare su Instagram. La piattaforma dedicata alla fotografia è anche alla base della strategia di Olivier Rousteing, direttore creativo di Balmain, che è riuscito a trasformare una griffe percepita come inaccessibile in un brand di riferimento per i giovani amanti dello stile. Tutto questo pero è solo la punta dell’iceberg dello sforzo a cui devono sottoporsi le organizzazioni che vogliono diventare davvero rilevanti nell’era del consumatore omnicanale. Non bisogna infatti dimenticare che la disruption e la ricerca di continuità e trasparenza tra operazioni on line e attività off line deve coinvolgere anche la catena logistica, il customer care e naturalmente, per abilitare il tutto, la divisione IT. L’obiettivo primario è riuscire ad abbattere tutte le barriere che separano gli inventari dei prodotti disponibili in Internet e quelli che i consumatori possono acquistare negli store fisici, offrendo quindi un’esperienza di acquisto senza confini.

Dalle community on line alla super specializzazione, così si affronta la disruption

Secondo lo studio EY, d’altra parte, non ci sono molte alternative: soprattutto per quanto riguarda la cosmetica, i brand nativi digitali hanno già colonizzato gran parte degli spazi on line, facendo leva sui social network, sulle community di vlogger e sull’appeal dell’e-commerce. E in questo caso non si parla solo del mercato cinese. Negli Stati Uniti, per esempio, NYX Cosmetics, da poco acquisito da L’Oreal, è riuscito a diventare un marchio estremamente noto ingaggiando una squadra di youtuber per la creazione e la distribuzione di contenuti correlati ai suoi prodotti. Allo stesso modo, Sigma Beauty è riuscita a dare risalto ai propri accessori attraverso un programma di affiliazione che prevede il riconoscimento di commissioni ai vlogger i cui video dedicati al brand generano click e vendite. Amazon, che non ha bisogno di presentazioni, sta gradualmente diventando sul fronte del beauty il retailer on line per eccellenza, mentre Sephora, a propria volta, è ormai l’azienda che detta le tendenze sia rispetto ai social network che sui servizi digitali all’interno dei negozi che sull’e-commerce. Ci sono poi operatori che stanno puntando sulla specializzazione, come Beautylish per la cosmetica e The Perfume Shop sui profumi, con modelli di business peculiari. Ma il futuro del comparto passerà anche per i servizi di bellezza offerti attraverso i canali digitali. Piattaforme come Uala in Italia e Style Seat negli Stati Uniti stanno diventando sempre più importanti per i consumatori che vogliono vivere le esperienze offerte dai brand della cosmetica in ambienti esclusivi, affidandosi alle mani sapienti di esperti di make up e naturalmente acquistando, a prescindere dal canale, i prodotti migliori disponibili sul mercato.

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