scenari

Energie ‘green’ e Internet: la terza rivoluzione industriale è qui

Jeremy Rifkin, noto economista statunitense e consulente della UE, spiega i capisaldi del suo modello di sviluppo sostenibile, basato su meccanismi di gestione collaborativa delle reti energetiche e di comunicazione: l’edificio come micro-centrale di generazione e una ‘smart grid’ per la distribuzione intelligente dell’energia. «Una regione come la Lombardia ha tutto ciò che serve per trainare l’Italia all’avanguardia di questa rivoluzione»

Pubblicato il 21 Ott 2013

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Jeremy Rifkin, Economista

Jeremy Rifkin è forse il più autorevole ‘guru’ dello sviluppo sostenibile: economista e consulente dell’Unione Europea, di Capi di Stato e di multinazionali, è autore di libri, tra cui “L’era dell’accesso”, “Economia all’idrogeno” e “La fine del lavoro”, che sono best seller mondiali. Recentemente è stato a Milano, dove ha illustrato in due incontri organizzati dal MIP-Politecnico di Milano e da Assolombarda i principi della Terza Rivoluzione Industriale, tema del suo ultimo libro. Un messaggio – di cui pubblichiamo qui un resoconto – molto dibattuto nel mondo ma estremamente potente per la capacità di proporre una soluzione eco-compatibile ai più grandi problemi dell’umanità: fabbisogno energetico, crisi economica, disoccupazione, inquinamento.

La seconda rivoluzione industriale, basata sui combustibili fossili come fonte di energia, ha permesso all’umanità una grandissima evoluzione, ma ora è al tramonto. Molti sono i segnali che ce lo indicano, vi cito soltanto due fatti avvenuti negli ultimi 5 anni ed estremamente emblematici.

Il primo è la quotazione record raggiunta dal petrolio nel luglio 2008: 147 dollari al barile. Questo ha provocato la crescita dei prezzi di tutti i beni e servizi e un crollo generalizzato del potere d’acquisto dei consumatori, ed è stato uno dei fattori d’innesco della grande crisi economica iniziata proprio nel 2008. Il problema è che il prezzo di tutti i beni e servizi che utilizziamo dipende, direttamente o no, da quello del petrolio: dai materiali da costruzione ai farmaci, dall’abbigliamento a servizi primari come elettricità, trasporti e riscaldamento. Quei 147 dollari del luglio 2008 hanno segnato un punto di non ritorno, e ora ogni volta che cercheremo di spingere la crescita ai livelli del 2008 la quotazione del petrolio tornerà a 120-150 dollari al barile, facendo collassare l’economia.

Il secondo evento è il summit sul cambiamento del clima tenutosi a Copenhagen nel dicembre 2009. Quasi duecento capi di Stato non sono riusciti a trovare un accordo di fronte a una situazione in cui è evidente che il clima sta cambiando, e che la causa è l’uomo.

Le emissioni provocate dai combustibili fossili provocano un effetto serra che aumenta la temperatura media, e ogni grado in più di temperatura media significa 70% di assorbimento in più dell’umidità a terra da parte dell’atmosfera. Bastano tre gradi in più per devastare il mondo e provocare un’estinzione di massa di piante e animali: l’ecosistema avrebbe bisogno di 10 milioni di anni per ritrovare un equilibrio. Ma già ora vediamo gli effetti permanenti sul clima: gli eventi estremi – dai cicloni alle alluvioni – sono molto più frequenti. Il problema è che il 99,5% delle specie apparse sulla Terra si è estinta, e niente garantisce alla razza umana un trattamento speciale.

Reti che crescono lateralmente

La conclusione di tutto questo è che abbiamo bisogno di un nuovo modello economico, di una terza rivoluzione industriale che, come le due precedenti, si deve fondare sulla convergenza di nuove forme di produzione e distribuzione dell’energia da una parte, e delle comunicazioni dall’altra. La prima rivoluzione industriale si è basata sul motore a vapore, che ha messo in moto treni e industrie, ma anche le macchine da stampa, permettendo la scolarizzazione di massa. La seconda rivoluzione industriale si è basata sul motore a scoppio e sulle reti a controllo centralizzato per elettricità, telefono, radio e TV.

La terza invece si baserà da una parte su mezzi di comunicazione Internet-based, cioè reti distribuite e collaborative che crescono con meccanismi di lateral scaling, e non più di vertical scaling come appunto le reti elettriche o telefoniche, e che hanno ridotto il costo marginale dell’informazione praticamente a zero. Dall’altra su modelli di produzione e distribuzione delle energie rinnovabili, e anche questi basati su meccanismi di gestione collaborativa e lateral scaling.

Passeremo quindi dai combustibili fossili, che sono fonti elitarie, perché si trovano in quantità finita solo in siti ben precisi, e richiedono investimenti sempre più forti per essere sfruttate, a fonti distribuite che si trovano in quantità tendenzialmente infinita e a costo marginale praticamente zero in ogni angolo della Terra: sole, acqua, vento, geotermico, biomasse e maree.

Cinque pilastri per la rivoluzione

Questa terza rivoluzione industriale ha bisogno di cinque pilastri su cui poggiarsi. Il primo è l’obiettivo, che è quello di incentivare e spingere la transizione verso le energie rinnovabili. L’Unione Europea per esempio, che si è data un piano per realizzare la Terza Rivoluzione Industriale, ha l’obiettivo di coprire il 20% del suo fabbisogno energetico con fonti rinnovabili entro il 2020.

Il secondo pilastro riguarda il metodo con cui ricaviamo energia dalle fonti rinnovabili. Qui il punto è: perché concentrare il processo in alcune centrali, quando le fonti si trovano dappertutto? Rendiamo capillare il processo, trasformando ogni edificio in una centrale energetica. In Unione Europea ci sono quasi 200 milioni di edifici: dobbiamo darci la missione di trasformare ciascuno in una mini-centrale che raccoglie l’energia solare sul tetto, quella eolica sulle facciate, quella geotermica nel terreno sotto le fondamenta, quella delle biomasse dalla conversione della spazzatura, e così via. Questa trasformazione richiederà 40 anni e può dare un’enorme spinta al settore edilizio e a tutti quelli correlati, creando milioni di posti di lavoro a livello locale.

Il terzo pilastro è il metodo con cui immagazzineremo l’energia prodotta, e si baserà su diverse tecnologie, ma soprattutto sull’idrogeno. Quando il sole batterà sul tetto dei nostri edifici e i pannelli fotovoltaici produrranno energia, potremo immagazzinare tutto il surplus che non useremo nell’idrogeno contenuto nell’acqua, conservando quest’ultima in semplici serbatoi. Poi quando sarà notte potremo ritrasformare l’idrogeno nell’acqua in energia, al solo prezzo di una piccola perdita termodinamica.

Il quarto pilastro è il modo con cui condivideremo l’energia prodotta: lo faremo attraverso una rete intelligente, una smart grid che possiamo chiamare anche ‘energy Internet’, che raccoglierà e smisterà l’energia da e verso milioni di edifici secondo le esigenze del momento, permettendo anche scambi peer-to-peer, proprio come Internet oggi ci permette di raccogliere e smistare informazioni, file e documenti.

Infine il quinto pilastro è il modo in cui gestiremo i trasporti nella terza rivoluzione industriale: viaggeremo su veicoli elettrici, che potranno rifornirsi presso qualsiasi edificio, perché qualsiasi edificio produrrà energia.

Big Data dalla rete per aumentare la produttività

Questi cinque pilastri che abbiamo visto sono solo dei componenti. È la loro sinergia che farà la differenza, attraverso la piattaforma tecnologica con cui interagiranno, che è la ‘smart grid’ di cui ho parlato. Sarà la prima infrastruttura intelligente della storia, una rete che potrà apprendere e misurare moltissimi parametri, dalla produzione al consumo dell’energia ai comportamenti dei consumatori, generando enormi volumi di dati, Big Data che potremo analizzare con appositi algoritmi per aumentare i rendimenti dell’utilizzo dell’energia, e quindi la produttività generale.

Siemens, IBM, Cisco, General Electric: tutti questi parlano di Internet of Things, Smart City, e concetti similari, ma il punto è che questa smart grid ci permetterà di misurare continuamente cosa sta succedendo, e di analizzare le informazioni con soluzioni analitiche Big Data per aumentare la produttività.

Ma l’elemento più dirompente della terza rivoluzione industriale è che la natura distribuita delle reti di comunicazione e delle fonti di energia rinnovabili presuppone meccanismi di controllo collaborativi invece che gerarchici come quelli a cui siamo abituati.

Questo apre la strada a un nuovo capitalismo “distributivo” in cui le barriere all’ingresso nei nuovi mercati e i costi transazionali praticamente si annullano, con effetti dirompenti che abbiamo già visto nell’industria della musica e in quella dell’informazione, ma che presto potrebbero evidenziarsi nell’intero settore manifatturiero, grazie a tecnologie come la stampa tridimensionale.

La stampa 3D per la ‘democrazia del manufacturing’

La stampa 3D può rivoluzionare la concezione di supply chain gerarchica e verticalmente integrata tipica della seconda rivoluzione industriale. Una qualsiasi piccola o piccolissima azienda può in teoria stampare componenti di prodotti complessi e assemblarli, azzerando gli investimenti in macchinari e gli scarti di produzione, utilizzando energia autoprodotta per le lavorazioni e per alimentare i veicoli elettrici usati per le consegne. Può anche fare pubblicità e vendere via Internet, anche qui abbattendo i relativi costi.

Questa è la democratizzazione del manufacturing, questo è il ‘lateral power’ che dà alle PMI, per esempio quelle della Lombardia, le stesse possibilità di visibilità e costi delle grandi imprese. Non sto dicendo che le grandi imprese scompariranno: le più avanzate sapranno reinventarsi in ruoli di aggregatori, di coordinatori, di gestori delle tantissime reti di imprenditori e piccole realtà che nasceranno.

Il concetto con cui vorrei concludere in questa sede però è che una regione come la Lombardia, una delle più avanzate e ricche di piccole e medie imprese dell’Unione Europea, ha tutto ciò che è necessario – competenze, università, capitali, tecnologie, business expertise – per trainare l’intera Italia all’avanguardia della terza rivoluzione industriale. Non vi manca niente per raggiungere i livelli per esempio della Germania, che già oggi produce il 20% del fabbisogno energetico da fonti rinnovabili, e ha oltre un milione di edifici che producono qualche forma di energia ‘green’.

*****DA SAPERE*****

*Chi è Jeremy Rifkin
Laureato in economia alla Wharton School della University of Pennsylvania, e in affari internazionali alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University, Jeremy Rifkin è presidente della Foundation on Economic Trends e autore di 19 libri sugli impatti economici, ambientali e sociali dei cambiamenti scientifici e tecnologici, alcuni dei quali – come “L’era dell’accesso”, “Economia all’idrogeno” e “La fine del lavoro” – sono best seller internazionali tradotti in oltre 30 lingue.

Nell’ultimo decennio è stato consulente dell’Unione Europea e di capi di Stato come Sarkozy, Merkel, Socrates e Zapatero durante le rispettive presidenze dell’European Council, e lo è tuttora per la Commissione e il Parlamento Europeo.

È l’ideatore del concetto di Terza Rivoluzione Industriale, che è stato adottato nel 2007 come piano d’azione dal Parlamento Europeo, presidente della società di consulenza TIR Consulting Group, nonché fondatore e chairman della Third Industrial Revolution Global CEO Business Roundtable, che comprende i CEO di cento multinazionali dei settori energia, costruzioni, edilizia, IT, trasporti e logistica.

Dal 1994 è senior lecturer alla Wharton School della University of Pennsylvania, e tiene rubriche fisse su alcuni dei principali quotidiani e periodici mondiali, tra cui Los Angeles Times, Guardian, Handelsblatt, Le Soir, L’Espresso, El Mundo ed El País.

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