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Video advertising e KPI: oltre le vanity metrics per misurare il ritorno sugli investimenti



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La misurazione delle performance video sta evolvendo, superando le tradizionali vanity metrics. Gli investitori cercano KPI che colleghino direttamente le attività media ai risultati di business, come vendite e comportamento dei consumatori. L’obiettivo è integrare metriche avanzate per una misurazione più precisa e strategica del ROI

Pubblicato il 18 set 2025



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La misurazione delle performance pubblicitarie sta vivendo una fase di ridefinizione profonda. Non basta più contare click, impression o viewability: gli investitori cercano indicatori che colleghino direttamente le attività media ai risultati di business. In questo scenario, i KPI delle campagne video diventano lo snodo decisivo per misurare non solo l’attenzione generata, ma soprattutto l’impatto sulle vendite e sul comportamento dei consumatori. Il tema è stato al centro del Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2025 del Tavolo di Lavoro Retail Media del Politecnico di Milano, dove diversi operatori hanno sottolineato la necessità di un salto di qualità.

Dal CTR alle metriche di vendita

Stefano Ghidoni, Direttore Internazionale di Médiaperformances, ha richiamato due elementi fondamentali: «Standardizzazione e trasparenza sono requisiti indispensabili, non solo in fase di misurazione ma anche di targetizzazione».

Secondo Ghidoni, occorre superare gli indicatori tradizionali, spesso definiti vanity metrics, e concentrarsi sull’impatto reale delle campagne. «Bisogna sempre misurare il target quando si lancia una campagna, ma soprattutto l’impatto. E oggi, nella maggior parte dei casi, questo può essere misurato con le vendite reali».

Le campagne di brand awareness mantengono naturalmente obiettivi diversi, ma per la maggior parte delle attivazioni è ormai possibile misurare uplift di vendita o ritorno sugli investimenti pubblicitari. Médiaperformances, ad esempio, ha condiviso i risultati di due campagne integrate: una che ha coinvolto Connected TV, segnaletica digitale in-store e canali digitali, registrando un incremento di vendite del 33%; un’altra che ha unito CTV e attivazioni a scaffale con un aumento del 22% nei pezzi venduti.

La domanda dei brand: più chiarezza e comparabilità

Dal lato dei brand, le aspettative sono precise. Angelo Laino, Country Manager di Valiuz Italia, ha sintetizzato le richieste in due direttrici: «Accesso a un’inventory standardizzata e misurabilità attendibile e cross-canale». Gli inserzionisti chiedono cioè di non dover reinventare ogni volta creatività, formati e sistemi di tracciamento, ma di poter contare su parametri comuni e confrontabili.

Valiuz ha sviluppato una rete di retailer in Europa e in Italia per garantire misurazioni paragonabili a quelle dell’online, applicandole però anche al mondo fisico. Il punto, ha sottolineato Laino, è fornire un dato rilevante per il brand, capace di dimostrare il contributo di visibilità e vendite. La convergenza tra online e offline, resa possibile dalla digitalizzazione degli store e dall’uso dei dati di prima parte, apre alla possibilità di adottare KPI più concreti.

Il ruolo dei dati proprietari nella misurazione

Un passaggio chiave è legato alla qualità e alla granularità dei dati. Luca Marmo, Key Client Director di Beintoo Italy, ha spiegato che i dati proprietari del retailer consentono un livello di precisione che pochi altri canali possono offrire. «Questi dati ci dicono chi è il consumatore, cosa acquista, quando acquista e con che frequenza. Questo ci permette di agire sulla pianificazione pubblicitaria in tre aree decisive: targeting, timing e misurazione».

Nel dettaglio, il targeting non è più basato su audience probabilistiche ma su comportamenti effettivi; il timing sfrutta il momento in cui l’acquisto è imminente; e la misurazione chiude il cerchio collegando il messaggio digitale con la verifica dell’acquisto in-store. Secondo Marmo, questo approccio consente di sostituire KPI come il CTR con indicatori più solidi come ROAS e Sales Uplift, ormai diventati standard di mercato.

Beintoo utilizza proprio questi parametri per rispondere alle richieste dei clienti. «I brand ci chiedono di poter controllare un ricavo tangibile per ogni euro investito, e nuove opportunità di comunicazione, come la possibilità di creare messaggi one-to-one direttamente con il consumatore».

Il framework del Politecnico di Milano

Le riflessioni emerse trovano riscontro anche nella ricerca del Politecnico di Milano. Valentina Palummeri, ricercatrice senior del Tavolo di Lavoro Retail Media, ha presentato un framework di misurazione che punta a rispondere alla frammentazione attuale e all’assenza di standard condivisi.

Secondo i dati raccolti, il 58% dei brand considera la mancanza di metriche comuni un freno agli investimenti, mentre il 60% dei brand e il 35% dei retailer la ritengono un’urgenza strategica. Le componenti individuate per un sistema evoluto comprendono principi generali di trasparenza e sicurezza, metriche condivise (dall’esposizione alle vendite), e modelli avanzati come incrementalità, Multi-Touch Attribution e Marketing Mix Modeling.

Il framework distingue anche tra metriche media (impression, viewability), attribuzione (ROAS, lookback window), insight (sales uplift, iROAS) e advanced insight (CLTV, digital shelf ranking). L’obiettivo non è abbandonare i KPI tradizionali, ma integrarli con parametri capaci di validare l’impatto reale.

Superare la frammentazione

Un punto ribadito da più interlocutori riguarda la necessità di armonizzare le pratiche di misurazione tra i diversi attori. Ghidoni ha sottolineato che «se si sente troppo parlare solo di click, impression e visibilità, il partner sta misurando la propria efficacia ma non il successo del brand». La sfida è dunque creare un linguaggio comune, che permetta a retailer, brand e agenzie di confrontare campagne e canali su basi comparabili.

Anche Palummeri, presentando i risultati della ricerca, ha indicato la triangolazione tra diversi modelli come metodo preferibile per compensare i limiti di ciascun approccio. Una misurazione affidabile deve infatti integrare più metodologie, adattandole ai dati empirici disponibili e agli obiettivi specifici di ogni campagna.

Dal consumatore ai boardroom

La trasformazione dei KPI delle campagne video non riguarda solo le agenzie o i team media, ma arriva fino ai board delle aziende. Come evidenziato nella ricerca, il 41% dei brand richiede strumenti più solidi per misurare le fasi di upper funnel, come awareness e consideration. Questo significa che la capacità di dimostrare un legame tra video advertising e vendite non è più un tema tecnico, ma una condizione strategica per sbloccare budget.

Il collegamento diretto tra messaggi digitali e scontrini di vendita, reso possibile dai dati di prima parte, sta quindi ridefinendo il valore della pubblicità video. Gli esempi condivisi in sede di convegno mostrano come la misurazione possa finalmente superare il gap storico tra attività media e risultati di business, aprendo la strada a un uso più esteso e consapevole dei video come leva full-funnel.

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