ARTIFICIAL INTELLIGENCE

False piste e limiti dell’AI nel marketing B2B: come non compromettere la reputazione del brand



Indirizzo copiato

L’uso dell’Intelligenza Artificiale nel B2B sta accelerando, ma non tutte le applicazioni producono valore. L’automazione tramite bot e agenti generici può compromettere la reputazione del brand e ridurre l’efficacia. La chiave è adottare l’AI con un approccio strategico, puntando su trasparenza e valore a lungo termine

Pubblicato il 2 ott 2025



shutterstock_773045284
773045284

L’uso dell’Intelligenza Artificiale nel marketing sta conoscendo una fase di grande accelerazione, ma non tutte le applicazioni producono valore. Nel podcast B2B Marketing, condotto da David Rowlands, Jake Bird – direttore di JI Marketing ed esperto di applicazioni AI per le imprese – ha messo in guardia contro alcune derive che rischiano di compromettere la reputazione dei brand. Secondo Bird, il problema non è tanto la tecnologia in sé, quanto il modo in cui viene interpretata e applicata. L’AI nel marketing B2B offre strumenti potenti, ma se usata come scorciatoia rischia di allontanare prospect e clienti invece che avvicinarli.

Quando l’automazione diventa controproducente

La prima “falsa pista” individuata da Bird riguarda l’uso di bot per attività di vendita. «La quantità di bot che vedo in giro, ad esempio per email automatizzate, InMail o commenti su LinkedIn, è enorme», spiega. L’automazione permette di inviare un numero molto più alto di messaggi personalizzati solo in apparenza, ma la conseguenza è un drastico calo nella qualità dell’engagement.

Secondo Bird, gli utenti hanno ormai sviluppato una sensibilità nel riconoscere contenuti generati artificialmente: «Riusciamo tutti a sentirlo da un miglio di distanza. Anche quando navighi su LinkedIn, la tua reazione immediata è chiederti se quel testo sia stato scritto dall’AI». Il rischio principale è l’impatto negativo sul brand: un messaggio che appare impersonale o artificiale compromette la fiducia e riduce l’efficacia delle attività di marketing.

L’apparente efficienza quantitativa – mille email inviate invece di cento – si traduce in realtà in un peggioramento dei tassi di click e di risposta. Bird sottolinea come il dato immediato possa sembrare positivo, ma il danno alla reputazione nel lungo periodo è significativo: un prospect che percepisce un approccio automatizzato e impersonale difficilmente svilupperà una relazione solida con il brand.

Il mito degli agenti generici

Un secondo errore frequente è la corsa a sviluppare agenti virtuali privi di reale efficacia. Negli ultimi anni la parola “agente” è diventata centrale nel dibattito sull’AI, ma secondo Bird molte aziende hanno frainteso il concetto. «Se stai creando un agente che deve scrivere contenuti per te, stai sbagliando. È semplicemente disinformato», afferma.

Gli agenti funzionano bene in ambienti chiusi, con input e output prevedibili, come la gestione dei ticket di assistenza. Un sistema che riceve una richiesta può instradarla correttamente a IT, risorse umane o vendite, migliorando con l’esperienza grazie a dati strutturati e ripetitivi. Ma il B2B marketing non funziona così: ogni account, ogni settore e ogni buyer persona richiedono un approccio personalizzato, che difficilmente può essere standardizzato da un agente generico.

«L’AI è uno strumento predittivo. È molto brava a imitare l’intelligenza, ma nel B2B la generazione di contenuti richiede un livello di personalizzazione impossibile da replicare con un agente», sottolinea Bird. L’effetto finale è spesso quello di costruire un sistema costoso e inefficace, che non va oltre una versione annacquata di ChatGPT.

Limiti dell’Intelligenza Artificiale: il rischio di moltiplicare vecchi errori

Oltre ai bot e agli agenti generici, Bird individua un rischio più ampio: usare l’AI per potenziare modelli di lavoro superati. «Suppongo che il pericolo sia usare l’AI per continuare a lavorare nei vecchi modi, ma potenziati del 100%», osserva David Rowlands durante l’intervista, trovando l’accordo del suo ospite.

Molti professionisti si lasciano influenzare dalle narrazioni sui social, dove vengono raccontate implementazioni miracolose sviluppate in poche ore e capaci di trasformare radicalmente un business. Bird mette in guardia: «Sono bugie, disinformazione. Questi sistemi non sono sicuri, non sono scalabili e non sono costruiti in modo efficiente». L’AI può accelerare processi già esistenti, ma non sostituisce l’innovazione metodologica o la creatività necessaria per differenziarsi.

La conseguenza di questa impostazione è che molte aziende misurano l’impatto dell’AI solo in termini di risparmio immediato, perdendo di vista gli obiettivi strategici di crescita e fidelizzazione.

Un impatto sul lungo periodo

L’intervista evidenzia come i benefici più rilevanti dell’AI non siano immediati. Nel B2B, un ciclo di vendita può durare fino a dodici mesi: è in questo arco temporale che le nuove pratiche mostrano il loro valore. Secondo Bird, bisogna guardare a metriche più sostanziali: il tempo risparmiato dai team, la qualità dei contenuti, la possibilità di scalare attività che prima erano limitate dalle risorse disponibili.

Non si tratta quindi solo di generare più output, ma di liberare tempo e competenze da destinare ad attività di maggior valore strategico. L’AI nel marketing B2B deve essere vista come un abilitatore, capace di supportare i professionisti nelle decisioni, non come un sostituto dei processi creativi.

L’importanza della trasparenza

Un filo conduttore delle riflessioni di Bird è l’onestà nell’uso dell’AI. Se un’azienda decide di impiegare sistemi automatici, deve farlo con chiarezza, spiegando che si tratta di strumenti per facilitare il processo e non per sostituire l’interazione umana. «Penso che o sei onesto sul fatto che stai usando l’AI solo per far progredire la situazione, o non farlo affatto, perché avrà un impatto maggiore sul tuo brand» afferma.

La trasparenza diventa quindi una condizione imprescindibile per preservare la fiducia e differenziare l’uso intelligente dell’AI dalle pratiche percepite come spam o manipolazione.

Una questione di approccio culturale

Le osservazioni emerse dal dialogo tra Bird e Rowlands rimandano a una questione più ampia: il modo in cui le aziende interpretano l’AI. Da un lato c’è la tentazione di utilizzarla per aumentare il volume di attività a parità di logica; dall’altro, la possibilità di rivedere processi, metriche e obiettivi in ottica di medio-lungo termine.

Il successo dell’AI nel marketing B2B non dipende dalla tecnologia in sé, ma dal livello di consapevolezza con cui viene adottata. Usare bot e agenti generici può sembrare un vantaggio immediato, ma rischia di compromettere la relazione con i clienti. Investire tempo e risorse per integrare l’AI in strategie di valore, invece, permette di creare basi solide per una crescita sostenibile.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati

0
Lascia un commento, la tua opinione conta.x