Pagamenti da smartphone

Mobile Payment: la corsa a ostacoli di Apple Pay

A due anni dal lancio, i piani di espansione al di fuori degli USA appaiono rallentati dalla reticenza di banche e retailer, oltre che dalla agguerrita concorrenza nel mercato smartphone e dal proliferare di nuovi sistemi di pagamento digitali. In Europa la piattaforma di mobile payment è disponibile solo in UK, Svizzera e Francia. L’Italia, per ora, può attendere

Pubblicato il 05 Set 2016

Apple

Cresce l’attesa per la presentazione ufficiale dell’iPhone 7 e delle nuove caratteristiche di iOS 10 (è ormai dato per scontato che avverrà dopodomani, il 7 settembre, durante l’evento speciale al Bill Graham Civic Auditorium di San Francisco), una nuova tappa del percorso che sta portando l’azienda di Cupertino a espandere il proprio raggio d’azione ben oltre i confini dell’IT propriamente detto. Tra le principali scommesse di Tim Cook c’è infatti anche il progetto Apple Pay che, partito con gran fanfara proprio due anni fa, di fatto inaugurando il mercato dei mobile proximity payment di massa, si trova oggi a fronteggiare un contesto competitivo sempre più ostico, con player agguerriti nei settori dell’Hi tech (con il recente ingresso di Huawei e Xiaomi nella partita in cui si erano già lanciati Samsung e LG), del Finance e, non ultimo, del Retail. In più, come fanno notare gli esperti dell’Osservatorio Mobile Payment del Politecnico di Milano, “le soluzioni di pagamento offerte ai consumatori sono tante (anche a parità di tipologia di acquisto) e sinora – in generale nel mondo – nessuna è riuscita a prevalere decisamente sulle altre”.

Il debutto in Europa: UK e Francia. E in Italia?

È piuttosto indicativo che, a dispetto di quanto si potesse immaginare all’inizio, a 24 mesi dal lancio la piattaforma di pagamento sia stata introdotta solo in altri otto Paesi. Agli Stati Uniti, dove ha per l’appunto debuttato Apple Pay, si sono aggiunti Regno Unito, Cina, Australia, Canada, Singapore, e a partire da luglio, Svizzera e Francia (dove è già accettato da catene come Bocage, Le Bon Marché, Cojean, Dior, Louis Vuitton, Fnac, Sephora, Flunch, Parkeon, Pret). L’ultimo mercato entrato nel circuito, ad agosto, è Hong Kong, mentre sembrerebbe che entro la fine del 2016 tocchi alla Spagna.

E l’Italia? Alcuni recenti rumor, anticipati in realtà nei mesi scorsi dai blog specializzati, parlano di incontri tra uomini di Cupertino e rappresentanti dei principali istituti bancari italiani per la creazione di una roadmap che dovrebbe culminare con la commercializzazione del servizio a metà 2017. Ma nulla è ancora confermato ufficialmente: non si conoscono i nomi delle banche che sarebbero disposte ad aderire alla piattaforma né tanto meno si possono ipotizzare i merchant che la accoglieranno. L’incertezza sull’arrivo di Apple Pay in Italia è del resto giustificata. La scelta dei mercati da includere segue una rotta ben precisa, sintetizzata dalla numero uno di Apple Pay Jennifer Bailey: «Teniamo conto della diffusione dei nostri prodotti nel Paese, di quella delle carte di credito e di debito e della copertura dei pagamenti contactless». La Penisola in questo senso, pur essendo dotata di un’infrastruttura di tutto rispetto sotto il profilo dei Pos di nuova generazione, non brilla sicuramente per la propensione alle transazioni cashless (si veda qui la recente analisi dell’Osservatorio Mobile Payment del Politecnico di Milano). Nel 2015 l’uso del contante in Italia si è mantenuto infatti saldamente superiore al 50 per cento, molto al di sopra dei Paesi con cui siamo soliti confrontarci, e i pagamenti digitali con carta – di poco superiori al 20 per cento – hanno rallentato la loro crescita rispetto al 2014.

L’opposizione dei retailer

Ma le difficoltà per il team di Bailey non mancano nemmeno nei mercati più maturi. In America, ormai, come ha spiegato Tim Cook, il 75% delle transazioni contactless avviene tramite Apple Pay, generando la gran parte dei 10,9 miliardi di dollari che secondo la società di ricerca Timetric rappresentano il transato complessivo della piattaforma nel 2015 a livello globale. Ma il sistema incontra ancora fiera resistenza da parte di alcuni retailer. In particolare CVS, la seconda catena di farmacie degli States con circa 7.600 punti vendita in 47 Stati e titolare della gestione dei negozi presenti all’interno dei centri commerciali Target, si è unita ad altre insegne (a partire da Walmart, a cui CVS era legata nello sviluppo della piattaforma CurrentC, poi naufragata) nella guerra totale a Cupertino. Il gruppo, infatti, dopo aver ribadito il no all’adozione di Apple Pay, ha annunciato il lancio negli Stati di New York, New Jersey, Pennsylvania e Delaware di CVS Pay, una mobile app (sviluppata anche per Apple Watch e disponibile pure per Android) che integra prescrizione e pagamento dei farmaci alla cassa attraverso la scansione di un codice a barre che appare sul touch screen e che non necessita dunque della tecnologia NFC (Near Field Communication).

Ma le difficoltà non mancano nemmeno in un altro mercato estremamente avanzato sotto il profilo del digital payment: l’Australia. I principali retailer e le associazioni che raggruppano gli istituti di pagamento locali hanno fatto quadrato intorno alle banche che stanno boicottando Apple Pay. Si parla di Commonwealth Bank of Australia, National Australia Bank and Westpac Banking Corp (a cui si sono poi aggiunte Bendigo e Adelaide Bank), che avevano proposto a Cupertino un accordo per permettere ai possessori di iPhone di integrare la funzione di mobile payment via NFC con i loro wallet. Ma Apple, che non ha concesso simili condizioni in nessun altro mercato, ha rifiutato la proposta, vedendosi per tutta risposta chiudere l’accesso alle carte di credito emesse dalle maggiori banche della Regione. Ha fatto eccezione solo ANZ (Australia and New Zealand Banking Group), quarto gruppo finanziario australiano, che ha sfruttato la singolare circostanza per lanciare una campagna pubblicitaria del servizio tutta improntata sull’ironia (in basso il video). Non ha invece alcuna voglia di scherzare Cupertino, che ha inviato una lettera all’Antitrust australiano (Australian Competition & Consumer Commission, ACCC) per denunciare il comportamento anticoncorrenziale degli istituti che, secondo Apple, stanno ostacolando lo sviluppo del servizio danneggiando il mercato e i propri clienti.

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