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Analytics, il mercato in Italia cresce del 23% e raggiunge quota 1,7 miliardi di euro. I dati dell’Osservatorio del Polimi

Il mercato italiano dei Big Data Analytics è dinamico e sempre più maturo. Da un lato le organizzazioni hanno internalizzato le competenze e intrapreso un percorso complesso di sperimentazioni, con l’obiettivo di cambiare i processi in ottica data-driven. Dall’altro si concretizzano le prime inziative delle aziende neofite dei Big Data, prevalentemente con il supporto di competenze esterne

Pubblicato il 20 Nov 2019

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Nel 2019 il mercato Analytics ha toccato il valore di 1,7 miliardi di euro, registrando una crescita del 23% rispetto allo scorso anno, oltre il doppio rispetto al 2015 (790 milioni). Con un tasso medio annuo di crescita del 21,3% negli ultimi quattro anni, il mercato italiano si conferma dinamico e sempre più maturo: se da un lato ci sono imprese che mostrano un livello avanzato di utilizzo delle tecnologie, sperimentazioni complesse e competenze di Data Science, dall’altro le realtà che sono in ritardo stanno aumentando gli investimenti e puntano su progetti di integrazione dei dati.

A metterlo nero su bianco la ricerca 2019 dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano presentata al convegno “Strategic Data Science: time to grow up!”. Quest’anno l’analisi ha coinvolto oltre mille CIO, Responsabili Innovazione e Responsabili Analytics di organizzazioni di piccole, medie e grandi dimensioni ed executive delle principali aziende del mercato dell’offerta.

Analytics, le aziende richiedono competenze specifiche

La ricerca 2019 ha messo in luce che, in ambito Analytics, il vero punto di snodo siano ancora le competenze in Data Science, skill di cui le organizzazioni sentono sempre più l’esigenza di pari passo alla crescita degli investimenti.

Come ha sottolineato Carlo Vercellis, il Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence: «Il tema del recruiting di figure professionali dedicate è ancora molto sentito dalle aziende. Da un lato nel panorama italiano ci sono le organizzazioni più mature che hanno già internalizzato le competenze necessarie e stanno intraprendendo un percorso di sperimentazioni crescenti e di maggiore complessità – che ora li vede impegnate nella sfida di governare i progetti dal punto di vista organizzativo e cambiare i processi in ottica data-driven -. Dall’altro le aziende neofite dei Big Data iniziano a concretizzare le prime iniziative, prevalentemente con il supporto di competenze esterne. Tra le piccole e medie imprese, si registra un crescente interesse verso il tema e nuovi investimenti, seppur in uno scenario di complessivo ritardo dal punto di vista delle competenze. Anche per questo, la School of Management del Politecnico di Milano è stata una delle prime realtà ad attivare un Master internazionale su questi temi (International Master in Business Analytics And Big Data): nell’arco di quattro anni sono stati formati più di 160 Data Scientist provenienti da tutto il mondo».

Come si diceva quindi a una maggiore spesa corrisponde una più elevata richiesta di profili in grado di gestire i progetti. Guardando alle grandi aziende le figure più diffuse sono il Data Analyst (presente nel 76% delle aziende, +20%), il Data Engineer (51%) e il Data Scientist (49%), la cui diffusione sta subendo un rallentamento dopo il picco raggiunto nel 2017 (negli ultimi due anni si è registrata infatti una crescita solo del +6%).

Per quanto riguarda le PMI, invece, appena il 23% ha introdotto almeno un Data Analyst e il 16% un Data Scientist. È interessante notare che in queste aziende i risultati dei progetti sono percepiti come molto innovativi nel 40% dei casi, contro il 21% delle imprese che utilizzano solo collaboratori esterni.

«Storicamente, il freno principale dichiarato dalle aziende all’implementazione di progetti di Analytics è stata la mancanza di competenze e figure organizzative interne, accentuato dalle difficoltà a reperirle all’esterno – ha spiegato Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio -. Nel 2019, però, una grande impresa su due ha già inserito almeno un Data Scientist, le aziende che hanno già da tempo introdotto figure di questo tipo ne hanno incrementato il numero e una su tre lo ha addirittura raddoppiato. Grazie a questi profili, oggi riescono a elaborare progetti più complessi dedicati a machine learning, dati non strutturati, analisi in tempo reali. Chi non li ha, denuncia ancora difficoltà nel reperire le figure sul mercato. Anche per questo motivo, accanto al Data Scientist, nell’ultimo anno aumenta la diffusione di altre figure legate alla manipolazione del dato, come Data Analyst, il Data Engineer e il Data Visualization Expert».

A proposito delle realtà che ancora non hanno introdotto figure legate agli Analytics, una su tre ha dichiarato di voler assumere un Data Scientist entro il 2020, il 31% un Data Analyst, il 17% un Data Engineer e l’11% un Data Visualization Expert.

Su cosa investono le aziende?

Indicati dal 47% del campione, i software sono la principale voce di spesa in Analytics, seguita dagli investimenti sulle risorse infrastrutturali (20%) e da un residuale 33% che comprende i servizi per la personalizzazione del software, l’integrazione con i sistemi aziendali e la consulenza per la riprogettazione dei processi. Guardando più in dettaglio la voce software, la ricerca ha mostrato come gli investimenti più consistenti riguardino gli strumenti per la visualizzazione e le analisi dei dati (53%), mentre gli strumenti di gestione dei dati, integrazione, preparazione e governance sono stati indicati dal 47% del campione.

Tra grandi aziende e PMI, le prime investono decisamente di più (93% vs 62%), mentre guardando ai settori il primo gradino del podio è delle banche (28%), come d’altronde era plausibile aspettarsi, anche manifatturiero e telco e media dimostrano comunque un certo interesse (registrando reciprocamente il 24% e il 14%).

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