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Jeremy Rifkin: uscire dalla crisi con l’Internet of Things

Nella visione dell’economista, intervenuto di recente a un convegno a Cernobbio, la risposta per ricominciare a crescere e creare occupazione è la digitalizzazione delle tre infrastrutture chiave del sistema economico – comunicazioni, energia e trasporti – e la loro integrazione in una piattaforma IOT. «Con questo progetto potremmo creare lavoro per due generazioni: Germania, Danimarca, Cina lo stanno facendo. E l’Italia ha tutte le competenze necessarie»

Pubblicato il 30 Apr 2015

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Jeremy Rifkin, Economista

Viviamo tempi difficili. La disoccupazione è alta, mentre il PIL è in calo in tutto il mondo – inclusi USA e Cina – e la produttività continua a scendere. Il mondo dipende dal petrolio, ma il prezzo del barile subisce oscillazioni imprevedibili e potenzialmente devastanti, come è già più volte accaduto in passato. Come uscire da questa situazione?

Secondo l’economista Jeremy Rifkin, «la digitalizzazione e la Internet Of Things sono la risposta: possiamo recuperare efficienza perchè il modello avrà costi marginali tendenti allo zero».

Quella dei costi marginali pari a zero è il punto di arrivo della teoria che Rifkin espone nel suo ultimo libro, dove tratteggia il futuro del mondo digitale e ipotizza un’infrastruttura unica alla base dei tre cardini intorno a cui ruotano tutte le economie: comunicazione, energia e trasporti. Secondo l’economista, stiamo vivendo la terza rivoluzione industriale, in grado di creare occupazione e crescita e di preservare le risorse del Pianeta. Ma bisogna agire subito.

Rifkin ne ha parlato di recente intervenendo a un convegno dedicato alla Digital Transformation e organizzato da Sap a Villa d’Este a Cernobbio, sul lago di Como, davanti a un “parterre de roi” di top manager di alcune delle più importanti imprese del Paese. «So che l’Italia può essere al fianco della Germania e della Francia per guidare l’Europa nel viaggio verso la Digital Europe – ha detto -. Ho incontrato il primo ministro italiano, che è quasi un nativo digitale, a Digital Venice l’anno scorso, durante il semestre di guida della UE. Gli ho detto che l’Italia digitale non dipende solo dalla banda larga, dal free wifi e dai Big Data. L’obiettivo deve essere digitalizzare le comunicazioni, l’energia e i trasporti».

Ma Rifkin, che conosce bene l’Italia, è uno dei tanti stranieri che si domanda come mai un popolo di inventori, che eccelle da sempre in creatività, che arriva primo in tante occasioni, nella scienza come nell’arte e nel business, fatica a sviluppare progetti e a portarli a compimento. Non ha perso dunque l’occasione per una strigliata: «Gli italiani sono sempre i primi, ma poi non riescono a crescere e rimanere in testa – ha detto -. È frustrante».

IOT, alla base di energia, comunicazione e trasporti

Nella visione di Rifkin, le tre infrastrutture chiave, comunicazioni, energia e trasporti avranno un cuore comune in una piattaforma Internet of Things. «Metteremo sensori ovunque, in ogni device, in ogni macchina, lungo tutta la value chain, al fine di restituire dati in real time nei tre componenti di ogni sistema economico. E questo in tutti i settori, nell’agricoltura, come nel retail o nell’industria». Tra quindici anni, ogni macchina sarà connessa dando vita a una sorta di “cervello globale esterno”. Secondo Rifkin, «è un enorme passo avanti per l’umanità ».

Ma come garantire che i governi o le multinazionali non sfrutteranno le informazioni? Cosa possiamo fare per assicurare la sicurezza? «Queste sono sfide enormi, che ci terranno occupati in battaglie sociali e politiche per numerose generazioni». Si tratta infatti di un sistema aperto: «Chiunque, attraverso la piattaforma dell’IoT, può entrare e osservare con trasparenza ciò che sta succedendo nel sistema economico. La trasparenza permette un’apertura dei mercati e una crescita dello spirito imprenditoriale. Tutti noi abbiamo una value chain, come individui, come parte di una famiglia, come proprietari, come lavoratori. Significa che possiamo connetterci a questa emergente piattaforma IoT e guardare i dati, collegare la nostra value chain, incrementare in maniera importante la produttività e l’efficienza. Così, in una società completamente digitalizzata, i costi marginali, quelli per creare un’unità aggiuntiva di bene, andranno ridotti per essere competitivi e arriveranno anche a zero».

Tra Sharing Economy e Capitalismo

Un altro grande tema è quello della sharing economy, che oggi è ibrida, perchè nata in seno all’economia capitalistica, con cui oggi convive. «Il capitalismo è il padre che cresce il figlio, ma in questo processo sarà il figlio a trasformare il padre: il capitale sarà totalmente riconfigurato e dovrà trovare nuovi modelli». È proprio la sharing economy a ridurre i costi marginali. «Il processo è iniziato 15 anni fa con Napster, il primo sistema peer-to-peer per la condivisione dei file a larga diffusione, e oggi oltre 3 miliardi di persone sono diventate “prosumer”: producono e consumano, condividendo ciò che producono tra loro: musica, video, corsi online… Si tratta di beni a costi marginali molto bassi, o nulli: non cambia nulla se vengono prodotti e condivisi con una sola persona o con un milione».

Inoltre non c’è possesso ma uso. Con il car sharing, per ogni auto condivisa 15 sono eliminate dalla catena di produzione. Si prevede che arriveremo a eliminare l’80% delle auto, con un grande impatto sull’ambiente. «Nell’arco di tre generazioni nessuno più possiederà un’auto e sarà l’elettricità a farle muovere. E tra dieci anni le auto saranno prodotte con le stampanti 3D con materiali riciclati. La prima auto già esiste ed è una macchina italiana, creata da un’azienda locale».

Sappiamo che ci sono aziende che hanno subito un duro colpo con la sharing economy, come l’industria della musica e della televisione, l’editoria .«Ma dalla sofferenza delle industrie tradizionali ci sono molte opportunità che emergono», ha ricordato.

Un nuovo modello per l’energia: Power to the people

La Germania è arrivata a produrre il 27% dell’energia da fonti rinnovabili, fra solare, eolico e geotermico; arriverà al 35% entro il 2020 e forse, entro il 2040, al 100%. «Milioni di persone producono energia elettrica per se stessi e la condividono, con notevoli risparmi, come avviene con i contenuti digitali». I costi di pannelli solari e turbine eoliche scendono con la stessa Legge di Moore, che vale per i processori. E sono costi una tantum. «Una volta ripagati gli investimenti iniziali, il costo marginale per produrre quell’energia è vicino allo zero. Il sole, il vento, il calore geotermico non presentano il conto. Certo, bisognerà sostenere il costo di infrastruttura per lo storage: ci sarà molto lavoro per le aziende».

Sarà la fine delle Utility o delle grandi industrie automobilistiche? No, ma dovranno lavorare in un modo nuovo. La domanda ora è: chi aggregherà i servizi? L’industria tradizionale? O forse Amazon o Google? Sarà una battaglia piuttosto accesa.

L’Europa ha le risorse: è una questione di priorità

Dovremo necessariamente costruire questa nuova infrastruttura. Ma con quali soldi? «Sono andato più volte a Bruxelles a parlare con Juncker e altri funzionari dell’UE e mi hanno detto che l’idea che in Europa non ci sono soldi è un mito. Nel 2012 nella UE sono stati spesi 741 miliardi in infrastrutture, investimenti sia pubblici che privati. Il problema è dove si investe. Basterebbe cambiare la priorità, indirizzando una quota pari al 25% verso le nuove infrastrutture, e potremmo ottenere la Digital Europe in 25 anni. L’intero sistema italiano può essere aggiornato in 25 anni portando elettricità da energie rinnovabili in ogni angolo del Paese, ammodernando ogni business e ogni edificio. Tutta la rete elettrica italiana deve diventare digitale. Questa è una grande opportunità di business ed anche di occupazione».

Anche la rete di trasporti si deve trasformare: invece che sui combustibili fossili, deve essere basata sull’elettricità, creando in ogni distributore di benzina lungo la rete sistemi in grado di erogare ricariche elettriche. La stessa possibilità dovrà esserci in ogni parcheggio per auto ma soprattutto per camion; andranno messi anche sensori lungo tutta la catena logistica.

«Riqualificare ogni azienda e ogni edificio comporterebbe innumerevoli opportunità lavorative: con un progetto di questo genere potremmo creare lavoro per due generazioni già domani. Germania, Danimarca, Cina lo stanno facendo: stanno già avviando la terza rivoluzione industriale. La Cina ha già speso 82 miliardi di dollari. Anche l’Italia ha tutte le competenze e le risorse necessarie: del resto, ad esempio, è seconda solo alla Germania per la produzione di acciaio».

Preservare le risorse del pianeta

Ultimo grande tema è quello del cambiamento climatico, un problema che terrorizza tutti, dice Rifkin: c’è il rischio di esaurimento dell’acqua dolce conseguente all’innalzamento della temperatura, e abbiamo visto i danni causati da fenomeni atmosferici sempre più estremi.

E qual è il nesso con la digitalizzazione dell’Italia, dell’Europa e del mondo? «Se possiamo digitalizzare l’economia intera e la value chain in modo da arrivare a utilizzare in tempo reale i dati provenienti dall’ambiente e dal sistema economico, e se questi dati possono essere inseriti nei sistemi di comunicazione, energia e trasporto, ogni azienda, ogni famiglia, ogni quartiere, ogni casa potrà sviluppare la propria value chain e vedere un reale guadagno, utilizzando algoritmi e analytics per incrementare la loro efficienza aggregata e la loro produttività e al contempo ridurre il costo marginale ».

Anche per tutelare l’ambiente, dunque, l’obiettivo ultimo è arrivare a produrre a costi marginali quasi pari a zero. «In questo modo saremo talmente efficienti da ridurre l’utilizzo di risorse del pianeta».

Chi è Jeremy Rifkin

Laureato in economia alla Wharton School della University of Pennsylvania, e in affari internazionali alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University, Jeremy Rifkin è presidente della Foundation on Economic Trends e autore di 19 libri sugli impatti economici, ambientali e sociali dei cambiamenti scientifici e tecnologici, alcuni dei quali – come ‘L’era dell’accesso’, ‘Economia all’idrogeno’ e ‘La fine del lavoro’ – sono best seller internazionali tradotti in oltre 30 lingue.

Nell’ultimo decennio è stato consulente dell’Unione Europea e di capi di Stato come Sarkozy, Merkel, Socrates e Zapatero durante le rispettive presidenze dell’European Council, e lo è tuttora per la Commissione e il Parlamento Europeo. E’ l’ideatore del concetto di Terza Rivoluzione Industriale, che è stato adottato nel 2007 come piano d’azione dal Parlamento Europeo, presidente della società di consulenza TIR Consulting Group, nonché fondatore e chairman della Third Industrial Revolution Global CEO Business Roundtable, che comprende i CEO di cento multinazionali dei settori energia, costruzioni, edilizia, IT, trasporti e logistica.

Dal 1994 è senior lecturer alla Wharton School della University of Pennsylvania, e tiene rubriche fisse su alcuni dei principali quotidiani e periodici mondiali, tra cui Los Angeles Times, Guardian, Handelsblatt, Le Soir, L’Espresso, El Mundo ed El País.

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