REPORTAGE ESCLUSIVO

Huawei Enterprise vuole crescere e punta sui Cloud “verticali” per l’Internet of Things

Al Cloud Congress 2015 – organizzato a Shanghai con 10.000 partecipanti – il numero uno Xu ha svelato che l’impegno sarà sempre più convogliato verso le infrastrutture IT, le piattaforme software e i servizi cloud di classe enterprise, per creare un ecosistema aperto alla collaborazione, con soluzioni personalizzate e basate su OpenStack. Ambiziosissimi gli obiettivi di crescita per la divisione business. Cozzi: «Siamo agli esordi dell’era dell’Industrial Internet»

Pubblicato il 03 Ott 2015

eric-numero-uno-150919091147

Solo creando infrastrutture altamente flessibili, in grado di adattarsi in modo rapido ed economico alle esigenze di ogni specifica industria, si potrà dare quell’accelerazione che finora manca al mondo dei cloud privati. Il futuro della nuvola, quindi, è la modularità, unica possibilità per rendere economicamente sostenibile lo sviluppo di “cloud verticali”. Sì perché la personalizzazione richiede risorse e tempi di implementazione che le aziende, calate nell’attuale scenario competitivo, non possono permettersi. Questo, in summa, quanto emerso dallo Huawei Cloud Congress 2015 (HCC) organizzato a Shanghai dal gigante cinese del networking.

Spinto dall’utilizzo sempre più diffuso di sensori intelligenti, in grado di raccogliere in continuo i dati relativi a produzione, distribuzione, utilizzo e conservazione di un bene, nonché dalla capacità di gestire i big data (grazie a software e server sempre più potenti), e dall’uso sempre più ampio del cloud, l’Internet delle cose (IoT, Internet of Things) sembra essere la vera tendenza del momento nel segmento enterprise.

«Il 90% degli oggetti intelligenti da qui al 2020 sarà di tipo enterprise-driven – esordisce Alessandro Cozzi, Enterprise Business Group Director Italy and Western Europe di Huawei –. Siamo agli esordi dell’era dell’Industrial Internet, di quella che io amo definire Industry 4.0».

Applicazioni, infrastruttura, connettività e hardware convergono sempre più e questo porta in dote una maggior complessità degli ambienti IT. Se prima si trattava di migliorare i singoli processi, oggi l’idea è di trasformare completamente l’azienda. Cambia, quindi, l’approccio alla gestione delle tecnologie informatiche e di quelle digitali in particolare, tanto che in molte grandi aziende italiane, a detta del manager, «si sta diffondendo la figura del Chief Digital Officer, un manager che ha il compito di coordinare e supervisionare le attività digitali dell’azienda, definendone piani e strategie, imprimendone una direzione e assicurandone una visione d’insieme».

In realtà, le competenze digitali non dovrebbero essere appannaggio di una sola figura professionale, ma essere diffuse in tutta l’organizzazione. Il ruolo del CDO dovrebbe essere quello di ponte tra il marketing tradizionale e il nuovo marketing, per definizione digitale, multimediale e social, che non si basa più sulla trasmissione unilaterale di messaggi al pubblico quanto sull’interazione con i consumatori, per arrivare a costruire insieme più valore per tutti.

L’internet of Things cambia lo scenario

«Oggi le aziende hanno finalmente compreso che l’IT non investe solo l’ufficio ma anche le attività produttive, la fabbrica, i trasporti, il magazzino – prosegue Cozzi –. Grazie all’IoT l’azienda intera sarà rivoluzionata e il digitale sarà sempre più pervasivo. L’unico modo per giocare un ruolo fondamentale in questo ambito è quello di saper scomporre la tecnologia per poterla ricomporre sulla base delle singole esigenze manifestate dal cliente».

Complici l’uso esteso dei social media e la tecnologia mobile, che hanno trasformato le aspettative di consumatori e utenti, così pure la diminuzione dei costi di sensori, connettività e capacità di calcolo, l’Internet of Things (IoT) è diventato un progetto attuabile da un maggiore numero di aziende. Che spazino dai servizi finanziari al manifatturiero, molte organizzazioni stanno, infatti, iniziando a utilizzare l’IoT seguendo una roadmap tesa a migliorare l’interazione con il cliente, accelerare la crescita e creare nuovi modelli di business utili a favorire l’innovazione al proprio interno.

Eric XU, numero uno di Huawei

E Huawei è certa di riuscire a giocare un ruolo chiave in questo nuovo mondo, forte della sua capacità di creare infrastrutture di rete, apparati di comunicazione, storage e middleware e, soprattutto, di farlo in un modo che sia il più possibile aperto e trasparente o, come si dice in gergo, “open”. Collaborazione e dinamismo portati ai massimi livelli, quindi, perché si possa implementare con facilità quello che il rotating CEO dell’azienda, Eric Xu, definisce Industry Cloud.

Per spiegare meglio il suo concetto di “nuvola”, la società ha riunito a Shanghai oltre 10.000 tra partner, clienti, analisti e giornalisti (80 le nazioni rappresentate) in una due giorni interamente focalizzata sul cloud e sulle infrastrutture utili ad abilitare l’Internet of Things (IoT). A livello globale, nel 2020, il numero di connessioni IoT business-to-business aumenterà di circa 5,4 miliardi, quadruplicando il proprio valore rispetto al 2014. Lo dicono i dati di una ricerca realizzata nei mesi scorsi da Abi Research, il che lascia ben sperare…

«Il nostro impegno sarà sempre più convogliato verso le infrastrutture IT, le piattaforme software e i servizi cloud di classe enterprise, con l’idea di creare un vero e proprio ecosistema cloud – esordisce Xu nel corso del keynote di apertura della kermesse –. La cooperazione con le altre aziende è al centro di questa visione, mentre l’acquisizione e lo sviluppo di talenti specifici ne costituiscono le fondamenta».

In pratica, l’idea è di creare dei “mattoncini” di middleware basati su OpenStack, di modo che i partner siano in grado di sviluppare ed eseguire con facilità applicazioni industry-specific, senza che sia necessario apportare alcuna modifica, in modo veloce ed economico. TLC, Pubblica Amministrazione centrale e locale, trasporti e finanza sono i primi obiettivi, per poi allargarsi anche al settore manifatturiero e, perché no, alle PMI.

La divisione Enterprise in accelerazione

«Siamo piccoli e relativamente giovani in questo business – esordisce Yan Lida, a capo dell’Enterprise Business Group – ma vediamo che il mercato enterprise ci dà fiducia, non solo per quel che riguarda la creazione ex novo di datacenter e ambienti cloud, ma anche nella sostituzione di ambienti storage e CED obsoleti».

L’obiettivo dichiarato da Lida è “diventare big” nel segmento enterprise. Il core business di Huawei, infatti, è rappresentato dalle infrastrutture di rete per il mercato dei carrier (67% del giro d’affari che, nel 2014, è stato pari a 46,5 miliardi di dollari). A seguire, la produzione e vendita di smartphone e tablet (26%) e, in coda, le soluzioni di storage software-defined e Infrastructure-as-a-service (IAAS) per il segmento enterprise. Queste ultime pesano al momento per un 7% sul fatturato ma, nelle parole di Xu, dovrebbe arrivare a superare i 10 miliardi di dollari in valore entro i prossimi 5 anni.

Come intende riuscire nell’impresa è presto detto. Anzitutto, con il rilascio di nuovi layer software e middleware sempre più aperti e modulari per la rapida implementazione di ambienti cloud verticalizzati e infrastrutture IoT. Ancora, spingendo sull’acceleratore dell’innovazione. Ecco perché la società, che investe annualmente circa 1/10 del proprio fatturato in ricerca e sviluppo e ha il 45% dei propri impiegati (80.000 su un totale di 170.000) focalizzati sull’R&D, si dice pronta a costruire 7 nuove facility dedicate alla sperimentazione (che si aggiungono alle attuali 31) e assumere diverse migliaia di ingegneri nei prossimi tre anni. «Siamo accesi sostenitori della open innovation e del cross licensing – conclude Xu –, tanto che lo scorso anno abbiamo investito 300 milioni di dollari nell’acquisto di brevetti e nell’utilizzo commerciale di tecnologie brevettate da altri. Solo collaborando potremo crescere tutti, noi e i nostri concorrenti».

Il cloud di Huawei? Modulare e sempre più aperto

Alla platea riunita a Shanghai in occasione dell’Huawei Cloud Congress 2015, il colosso cinese ha presentato l’ultima versione del sistema operativo FusionSphere (già in uso presso 800 clienti e 160 datacenter in 80 paesi del mondo), la 6.0. L’Internet delle cose (IoT) è, ormai, una realtà e FusionSphere permette di implementare le varie declinazioni della nuvola (cloud pubblici, privati, ibridi, desktop cloud), i server virtuali e le reti NFVI (Network Function Virtualization Infrastructure).

Il forte legame con la comunità opensource OpenStack è tangibile dai componenti all’architettura in toto e permette di offrire ai clienti finali un’ampia scelta di software implementabili. L’idea che sia possibile realizzare una nuvola privata “verticale”, cucita come un abito sartoriale per ciascuna industria, è resa possibile dal fatto che Huawei segue passo dopo passo i progressi della comunità OpenStack, supportandone nativamente le interfacce di programmazione applicativa e assicurando la conformità alle specifiche di ultima generazione.

Questo permette di risparmiare tempo e denaro, perché le terze parti sono in grado di sviluppare ed eseguire con facilità applicazioni di qualunque genere (purché basate nativamente su OpenStack) senza che si renda necessario apportare modifiche. Nel corso della kermesse la società ha presentato anche le novità apportate al software FusionInsight, volte a migliorare l’analisi rapida dei dati destrutturati. Annunciato, infine, il rilascio imminente di OceanStor DJ, un software per la gestione “su richiesta” delle risorse di memorizzazione che ottimizza l’efficienza operativa dei centri dati.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4