DIGITAL ADVERTISING

Gen Z e advertising: come cambia la pubblicità sulla TV connessa



Indirizzo copiato

La Connected TV si afferma come nuovo terreno per l’advertising, ma le sfide sono molteplici: dalla Gen Z che rifiuta messaggi poco rilevanti, ai “solo streamer” che abbandonano la TV lineare. Creatività, personalizzazione e strategie data-driven diventano essenziali per ingaggiare pubblici eterogenei e superare la crisi di attenzione

Pubblicato il 17 set 2025



genzctv

La Connected TV (CTV) non è soltanto un nuovo mezzo di distribuzione dei contenuti: è un vero e proprio laboratorio comportamentale dove pubblicitari, broadcaster e piattaforme tech si confrontano con un pubblico eterogeneo, volatile e sempre più difficile da raggiungere. Tra i temi centrali emersi durante il tavolo di discussione tra Antonio Filoni (Partner e Head of Innovation and Digital, BVA Doxa), Davide Fiorentini (Director Italy & Spain, Comcast Advertising) e Simone Renna (Marketing & Partnership Manager, Mediaset Infinity), tenuto durante il convegno, “Video Everywhere: la strategia pubblicitaria oltre lo schermo”, dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano spiccano le sfide generazionali e il ruolo strategico dei “solo streamer”.

Gen Z e advertising: una relazione da ricostruire

Secondo i dati illustrati da Antonio Filoni, la Gen Z è la fascia di pubblico più critica nei confronti della pubblicità video. Il 70% degli utenti intervistati giudica le inserzioni “fastidiose”, e se questo dato è trasversale tra le generazioni, ciò che distingue la Gen Z è il motivo del rifiuto: “le pubblicità non sono rilevanti”. Questo gruppo, abituato a interfacce rapide, esperienze on demand e formati mobile-first, tende a rigettare messaggi che non parlano la sua lingua né rispettano i suoi tempi.

Inoltre, emerge una sensibilità accentuata per le interruzioni tecniche: contenuti che si ripetono, spot che fanno “saltare” la fruizione costringendo l’utente a riavvolgere o rivedere segmenti già visti. L’interruzione pubblicitaria viene vissuta come una rottura dell’esperienza e non come un momento di valore, rendendo fondamentale ripensare non solo i contenuti, ma anche il formato e la posizione degli annunci.

Per intercettare questa audience, suggerisce Filoni, non basta targetizzare meglio: è necessario reinventare le narrazioni e integrare creatività realmente in sintonia con l’identità culturale della Gen Z. Una pubblicità che non è percepita come tale – come nel branded content o nei formati interattivi e personalizzati – ha più possibilità di essere accettata e ricordata.

Millennial e over 50: le altre sfide creative della pubblicità video

La generazione Millennial, pur meno ostile della Gen Z, mostra altrettanta sensibilità ai formati pubblicitari. Il problema principale, in questo caso, è la durata degli spot: troppo lunghi, non skippabili, poco interessanti. Il suggerimento di Filoni è chiaro: serve uno storytelling efficace, che riesca a trattenere l’attenzione fin dai primi secondi, altrimenti il fastidio cresce esponenzialmente.

Tra gli over 50, il fastidio si concentra sulla ripetitività degli annunci e sull’eccessivo volume audio. Un dato curioso ma importante: anche se questo segmento appare spesso meno reattivo ai messaggi digitali, la componente audio – proprio come accade con la radio – potrebbe diventare un driver interessante di ingaggio se usata con intelligenza creativa.

Il problema dunque non è solo quanto si mostra, ma come si mostra e a chi. La pubblicità video, nella CTV come in altri ambienti digitali, non può più prescindere da una progettazione multiformato e multigenerazionale.

Chi sono i “solo streamer” e perché stanno ridisegnando l’advertising

Un altro gruppo chiave che sfida le regole dell’advertising tradizionale è quello dei “solo streamer”: utenti che non consumano più contenuti tramite la TV lineare e che utilizzano solo device alternativi – come console da gioco, smart TV senza antenna, app OTT o piattaforme on demand.

Simone Renna ha raccontato come Mediaset Infinity stia lavorando per intercettare proprio queste audience. Attraverso partnership con i TV Manufacturer e la presenza su piattaforme come Samsung o Amazon, il gruppo riesce ad attivare campagne pubblicitarie pensate specificamente per chi guarda contenuti esclusivamente in streaming.

«Possiamo raggiungere utenti che non vedrebbero mai i nostri contenuti sulla TV tradizionale – spiega Renna – e lo facciamo segmentando in base al tipo di device, di consumo e di abitudini d’uso». L’obiettivo non è solo aumentare gli utenti unici, ma anche aumentare il tempo speso sulla piattaforma, un indicatore sempre più rilevante in ottica monetizzazione pubblicitaria.

CTV: dove la creatività incontra la misurazione

Il tema centrale che emerge dal confronto tra i tre esperti è che non esiste un’unica forma di creatività pubblicitaria efficace su CTV. Ogni segmento generazionale, ogni modalità di fruizione e ogni contesto tecnologico richiede una strategia dedicata. Per questo, strumenti come i pre-roll o i post-roll – formati meno invasivi e percepiti come “giustificati” nel contesto del contenuto – risultano più accettabili, mentre le interruzioni forzate o mal inserite generano frustrazione.

L’efficacia, sottolinea Filoni, non va più cercata solo nella memorizzazione del messaggio – che risulta alta per tutti i formati, fino al 90% nei panel intorno alla TV – ma nella qualità dell’esperienza vissuta durante la visione. La pubblicità può essere accettata se è rilevante, se è ben posizionata e se si integra naturalmente con l’ecosistema di fruizione dell’utente.

Anche Davide Fiorentini, parlando delle tecnologie programmatiche offerte da Comcast Advertising, ha sottolineato quanto la capacità di federare piattaforme e dispositivi diventi un vantaggio strategico. La vera sfida per gli investitori oggi, spiega, non è presidiare ogni singolo canale, ma avere una visione unificata della propria audience.

Dati, targeting e tecnologie: gli strumenti per uscire dalla crisi di attenzione

I numeri parlano chiaro: nonostante il fastidio espresso, il ricordo pubblicitario resta alto, anche tra le fasce più giovani. Questo significa che la pubblicità funziona, ma a patto che sia calibrata. Un dato che fa riflettere è la richiesta di maggiore personalizzazione espressa dalla Gen Z, pronta anche a condividere dati pur di ricevere messaggi rilevanti. Un segnale forte verso strategie data-driven, ma anche una chiamata alla responsabilità sul fronte privacy.

La Connected TV, come emerso dal tavolo del Politecnico di Milano, non è un canale da conquistare con le stesse logiche della TV lineare o dei social. È un territorio da progettare, un ecosistema dove ogni pubblico ha la sua grammatica pubblicitaria. Comprenderla è il primo passo per parlare davvero con la Gen Z e con tutte le generazioni che vivono, quotidianamente, in modalità streaming.

guest

0 Commenti
Più recenti
Più votati
Inline Feedback
Vedi tutti i commenti

Articoli correlati

0
Lascia un commento, la tua opinione conta.x