APPROFONDIMENTO

Reverse engineering nel marketing: ripensare la strategia e trasformarla in un processo adattivo e condiviso



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Attraverso il reverse engineering, le imprese possono smontare le proprie decisioni, comprendere ciò che genera valore e prototipare strategie adattive capaci di evolvere con il contesto e con le persone

Pubblicato il 29 ott 2025

Chiara Palamà

Human & Strategy Designer, Associata AISM



Reverse engineering

Le aziende non hanno bisogno di un’altra strategia: hanno bisogno di imparare a pensare strategicamente, ogni giorno.
Il punto non è avere un piano, digitalizzarlo o dotarlo di AI, ma saperlo mettere in discussione mentre si agisce — sapere chi si vuole diventare come impresa.
Questo è il marketing strategico oggi: partire dal risultato, con il coraggio di smontare per capire e prototipare nuovi modelli adattivi.

Il piano è morto. Viva il sistema

Molte PMI continuano a lavorare come se il contesto fosse stabile: piano pluriennale, budget vincolanti, roadmap fisse.
Ma in mercati dinamici, dove le tecnologie emergono, i clienti cambiano e i competitor pivotano, quel piano diventa presto una gabbia.
Se un driver cambia — una normativa, un comportamento del cliente, un’innovazione — spesso l’azienda reagisce rincorrendo, aggiustando l’esecuzione, senza mettersi in discussione.
Eppure, una strategia davvero efficace sa evolvere mentre viene eseguita. Solo così rimane rilevante.

Reverse engineering strategico: smontare ciò che genera valore

Non si tratta di analizzare campagne o tattiche, ma di applicare il principio del reverse engineering alla strategia stessa: capire quali scelte, dinamiche e relazioni la rendono efficace.

Un metodo possibile:

  1. Partire dall’effetto osservabile
    Individuare un risultato strategico – ad esempio, crescita in un segmento emergente, ingresso in un nuovo mercato o un rebranding – e chiedersi: quali scelte l’hanno reso possibile?
  2. Mappare le decisioni chiave
    Ripercorrere le azioni rilevanti degli ultimi anni: alleanze, scelte di canale, investimenti in competenze, aperture di mercato.
  3. Analizzare relazioni e trade-off impliciti
    Non basta isolare singole leve: serve cogliere i legami tra le scelte — per esempio, “abbiamo scelto un posizionamento premium → ci siamo alleati con partner selezionati → abbiamo ridotto la gamma entry-level”.
  4. Estrarre pattern e ipotesi strategiche
    Dal quadro complessivo emergono le ipotesi su cosa genera davvero valore — quali leve attivare, quali relazioni presidiare, quali rischi mitigare.

Un caso guida

Un’azienda che opera in un settore B2B ad alta competenza tecnica ha scalato il mercato quando ha affiancato alla vendita del prodotto servizi di consulenza ad alto valore, stabilendo partnership con centri di ricerca e diventando punto di riferimento tecnico.
Smontando quella strategia — collaborazioni, pricing per valore, modello ibrido prodotto-servizio — emergono ipotesi replicabili e testabili, anziché ripartire da zero.

Questa idea — smontare strategie riuscite per comprendere decisioni di alto impatto — è sostenuta anche da Elevated Marketing Solutions

Smontare per capire, costruire per evolvere

Dalla comprensione dei pattern strategici nasce la fase di prototipazione, in cui si costruiscono versioni testabili della strategia per verificarne la validità prima di estenderla.
Ogni strategia efficace nasce infatti dalla capacità di osservare e interrogare ciò che già esiste.

Nelle PMI questo significa fare un passo indietro — non per rallentare, ma per comprendere:

  • Perché certi clienti restano e altri no?
  • Perché alcune partnership generano valore e altre dissipano energie?
  • Perché un posizionamento, che sembrava chiaro, perde forza nel tempo?

Osservare a ritroso non è nostalgia: è metodo.
È il modo più lucido per identificare le scelte che creano valore e quelle che lo frenano.

Prototipazione strategica: testare, non solo pianificare

Una volta ricavate le ipotesi strategiche, entra in campo la prototipazione: costruire versioni ridotte e sperimentali della strategia per verificarne l’efficacia.

Ecco cosa può rappresentare un prototipo strategico:

  • una campagna pilota di posizionamento su un micro-segmento per testare la promessa di valore;
  • un’alleanza sperimentale con un partner “pilota” per valutare relazioni e sinergie;
  • un modello commerciale ibrido in un’area geografica limitata per testare margini, processi e reazioni del mercato;
  • un format di innovazione interna (workshop o challenge tra team) per generare micro-strategie co-progettate.

In questo modo la strategia non è un vincolo da seguire, ma un laboratorio vivente: osservi come reagisce, raccogli feedback, correggi in corsa.

L’intelligenza strategica è una pratica collettiva

L’intelligenza strategica non è una skill individuale, ma una pratica collettiva.
Le imprese non diventano strategiche per competenza, ma per cultura: per la capacità di far dialogare le persone e mettere in relazione decisioni, intuizioni e visioni diverse.

Quando i reparti dialogano, la strategia smette di essere un file e diventa un linguaggio condiviso.
Quando la direzione ascolta il mercato attraverso le persone che lo vivono ogni giorno, l’analisi si trasforma in intuizione condivisa.
E quando i dati non restano nei report ma vengono discussi, nasce una comprensione nuova: quella che trasforma i numeri in scelte.

Secondo Gartner, il 70% delle strategie aziendali fallisce non per errori di analisi, ma per mancanza di allineamento e apprendimento interno.
La vera innovazione, dunque, non è tecnologica, ma organizzativa: una strategia vive solo se le persone possono riconoscersi in essa.

Parlare di strategia come prototipo significa proprio questo: uscire dall’idea che la pianificazione debba essere rigida e progettare con la stessa logica con cui si disegna un prodotto — osservando, ipotizzando, testando e correggendo, attingendo al sapere già presente in azienda.

I team multifunzionali diventano così l’asset più prezioso per capitalizzare punti di vista diversi.
La strategia non è solo responsabilità del marketing management, ma è il driver di crescita dell’intera organizzazione.
Per farlo servono strumenti e mindset capaci di connettere intuizione, dati e dialogo continuo.

Queste pratiche trovano fondamento in metodi visuali e human-based come il Design Thinking, il Business Design, il Business Design Marketing®, la facilitazione strategica e i processi agili: strumenti che non servono a compilare piani, ma a rendere la strategia visibile, dialogica e viva.

Esempio: una PMI del settore servizi professionali che ha co-progettato la propria strategia con workshop di team ha ridotto del 30% i tempi decisionali e aumentato la coerenza percepita del brand. La differenza? Non ha pianificato un piano marketing, ma ha prototipato un sistema decisionale fondato su ascolto, apprendimento e visione condivisa.

Fare strategia oggi significa progettare un processo che impari

Una strategia non è più un prodotto finito: è un processo che apprende.
Prototipare la strategia significa costruire un sistema che sappia osservare, correggere, adattarsi.

Le strategie non falliscono perché contengono errori, ma perché non prevedono spazi per intercettarli.
Un’impresa strategica non è quella che evita gli errori, ma quella che sa leggerli.

Progettare strategie come processi che imparano significa:

  • trasformare le riunioni in momenti di confronto reale;
  • far emergere le incoerenze prima che diventino problemi;
  • dare alle persone la libertà di osservare e migliorare insieme.

Cosa significa per i marketer e i manager che guidano le imprese oggi

Per chi guida un’organizzazione, tutto questo si traduce in una sfida chiara:
non basta pianificare, serve un cambio di mindset e l’introduzione di metodologie che alimentino la consapevolezza strategica.

  • Non partire da un foglio bianco, ma da ciò che funziona davvero, decostruito con consapevolezza.
  • Co-creare strategie non per essere eseguite immutabili, ma per essere modulate, testate e aggiustate.
  • Usare strumenti di co-design con chi opera ogni giorno (direzione, vendite, operations, R&D) non come esecutori, ma come co-autori della strategia.
  • Trasformare la strategia in un sistema adattivo, non in un vincolo statico.
  • Individuare direzioni di senso e risultati, non solo KPI economici.

In un contesto dove cambiare direzione può essere il vero vantaggio competitivo — e dove il sapere condiviso diventa il vero asset di differenziazione — la strategia più potente non è quella che predice, ma quella che impara e reagisce insieme, creando modelli di marketing unici.

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