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Marketing multicanale ed eCommerce, ecco cosa fa perdere fiducia ai clienti

Monitorando l’esperienza di 12,5 milioni di italiani “heavy e-shopper” (chi acquista online almeno una volta al mese), emerge la frequente percezione di ostacoli (pop up, banner…) che aumentano i rischi di abbandono del carrello e del sito. Gli utenti sono sempre più intolleranti: a creare i maggiori fastidi sono i “dark pattern”, caratteristiche dell’interfaccia di navigazione che inducono determinate azioni (call to action)

Pubblicato il 03 Ago 2017

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Cosa fa perdere la fiducia degli italiani negli acquisti online? Quali ostacoli vengono percepiti alla navigazione? Come reagiscono gli italiani a questi ostacoli? Quali sono gli impatti sulle performance aziendali? Sono le domande alle quali si è voluto dare una risposta attraverso un’indagine, la prima in Italia, che affronta la convergenza fra marketing multicanale e design.

La ricerca, condotta nell’ambito progetto Experience Matters da Personalive [azienda incubata al Polihub che combina ricerche di mercato, advisory di marketing e business model multicanale, progetti di customer analytics e CRM, basandosi su un approccio personalizzato e proprietario per l’analisi e interpretazione dei profili di individui in uno scenario multicanale e multidimensionale – ndr], ha preso in esame un migliaio di utenti, rappresentativi di 12,5 milioni di italiani identificabili come “heavy e-shopper” (perché negli ultimi 12 mesi hanno fatto acquisti online almeno 1 volta al mese), e ha fatto emergere molto chiaramente i “fastidi” che molti di questi utenti (ben il 95%) subiscono durante la navigazione in Internet e sui siti di eCommerce. Ne abbiamo discusso con Andrea Boaretto, Founder & CEO di Personalive: «Si tratta spesso di “pratiche fastidiose” che vanno a minare la fiducia degli e-shopper e che per le aziende si traducono in seri rischi di perdita del cliente».

L’importanza degli “heavy e-shopper” per l’eCommerce italiano

Stando alla fotografia tracciata da realtà come Netcomm, Audiweb e Istat, in Italia ci sono circa 30 milioni di utenti Internet (dai 18 anni in su); di questi, 20,7 milioni sono e-shopper e poco più della metà (12,5 milioni di consumatori maggiorenni) possono essere classificati appunto come “heavy e-shopper”.

Andrea Boaretto, Founder & CEO di Personalive

Secondo Boaretto, gli “heavy e-shopper” hanno un peso molto importante per il mercato dell’eCommerce (e di quelli affini, come marketing multicanale e design), «non solo per la frequenza di acquisto, più alta rispetto ad altri “internauti”, ma soprattutto perché hanno generalmente una maggiore capacità di spesa online e sono “digital addicted” lungo tutto il processo di acquisto (pre-acquisto, acquisto, post-acquisto)».

Dei 12,5 milioni di “heavy e-shopper” italiani, ben 2,8 milioni (il 22%) fanno acquisti online a cadenza almeno settimanale e ben il 47% fa almeno 2-3 acquisti al mese. Dall’indagine emerge inoltre che 9,2 milioni di italiani acquistano almeno una categoria di prodotto esclusivamente online scegliendo tra viaggi, biglietti per eventi e concerti, servizi di telefonia, libri, musica e addirittura servizi di assicurazione, preferendo metodi di pagamento digitale come Paypal (82%), carta prepagata (47%) e carta di credito (41%).

Fiducia a rischio: gli utenti iniziano a percepire troppi “fastidi” alla navigazione

«A fronte di tale fiducia degli “heavy e-shopper” nell’eCommerce e, più in generale, nella navigazione online (non dimentichiamo che la maggior parte degli utenti che fanno acquisti online navigano sul web anche per informarsi/confrontarsi prima dell’acquisto o per avere supporto post-acquisto), sembra però non corrispondere la soddisfazione della customer experience», fa presente Boaretto portando alla luce altri dati emersi dall’indagine. «C’è una percentuale elevatissima, addirittura il 95%, che sostiene di avere incontrato durante la propria navigazione o esperienza d’acquisto diversi meccanismi per indurre, più o meno consapevolmente e in modo invadente, un’azione da parte dell’utente (quella che comunemente viene chiamata “call to action”)».

Si tratta dei cosiddetti “dark pattern”, ovvero le strategie adottate durante la progettazione di un’interfaccia di navigazione per indurre gli utenti ad attuare comportamenti inconsapevoli o determinate azioni, come cliccare su un banner o scaricare un documento, che «molto spesso gli utenti percepiscono come ostacoli alla navigazione – aggiunge Boaretto – tali da peggiorare addirittura la reputazione di un sito o di un brand».

Queste strategie e tattiche oltre a non passare inosservate impattano sia sul comportamento degli individui che percependo fastidio la prima volta, prestano maggior attenzione le volte successive (45% dei casi) o addirittura decidono di non utilizzare successivamente il sito in questione (28% dei casi) sia su performance di business (come la reputazione).

I dati emersi dalla ricerca parlano chiaro: quasi 3 milioni si dichiarano completamente intolleranti ai fenomeni imprevisti durante la navigazione (banner, pop-up, richiesta di dati personali per accedere a un contenuto, pubblicità a tempo, ecc.); l’83% degli italiani heavy e-shopper rinuncia alla fruizione di un contenuto perché la navigazione è risultata fastidiosa (il 34% dice di rinunciare spesso proprio per queste ragioni) e il 32% ha innalzato le difese contro gli ostacoli alla navigazione come l’advertising, installando un ad-blocker su almeno un dispositivo (PC, smartphone, tablet).

«La reputazione delle aziende oggi è particolarmente a rischio anche per effetto dei social che possono fare da cassa di risonanza di consumatori poco tolleranti», invita a riflettere Boaretto. «Se la via primaria per ridurre certi rischi è lavorare sulla user experience fin dalla progettazione di un sito o di una piattaforma eCommerce, la strategia più efficace è quella che ha come obiettivo la fidelizzazione dei clienti, cosa molto difficile da ottenere se le “call to action” dei propri siti diventano eccessive e percepite come fastidiose dagli utenti. L’ideale sarebbe riuscire a lavorare sulla profilazione corretta degli utenti per poter indirizzare i pattern in modo strategico e mirato: per esempio proponendo un banner per l’acquisto promozionale di un libro solo a quegli utenti che hanno mostrato interesse per la lettura, l’autore o quel genere di narrativa. In questo modo l’utente si sente meno “aggredito” e crescono le probabilità di successo della “call to action” (dato che all’utente viene proposto qualcosa che a lui con ogni probabilità già interessa e quindi sarà più propenso a “rispondere” alla chiamata compiendo un’azione)”.

Curiosità: la fotografia completa degli “heavy e-shopper”

Parlare genericamente di “heavy e-shopper” è limitativo e non consente alle imprese di cogliere appieno le peculiarità specifiche dei comportamenti online per progettare le corrette azioni di marketing e di design dell’esperienza. Interessante allora scoprire quali sono i profili identificati e tracciati dall’indagine realizzata da Personalive. Quattro le figure rilevate:

1) sprovveduti (4,1 milioni), ovvero coloro che sono “heavy e-shopper” da poco (con una frequenza di acquisto inferiore rispetto agli altri profili) e hanno un processo d’acquisto, seppur altamente multicanale, più tradizionale (prevalentemente attraverso l’uso del PC). Essendo neofiti provano molto fastidio quando incontrano fenomeni interruttivi nella loro navigazione online rinunciando spesso alla fruizione di contenuti. Presentano una bassa esposizione ai dark pattern, in quanto acquistano meno online, ma quando ne sono esposti e li riconoscono, la reputazione del sito/brand ne risente lievemente;

2) opportunisti (5,5 milioni), sono coloro che acquistano online spinti dalla ricerca della convenienza (intesa non solo come prezzo ma anche come risparmio di tempo e possibilità di organizzarsi al meglio la vita). Provano molto fastidio quando s’imbattono in fenomeni interruttivi di navigazione e si dotano di strumenti per “proteggersi”, come l’ad-blocker. Hanno un’elevata esposizione ai dark pattern che abbassa notevolmente la reputazione del sito/brand, con una elevata capacità di interagire sui social media in maniera attiva;

3) indifferenti (1,4 milioni), coloro che acquistano con alta frequenza online per relax e abitudine. Non provano fastidio quando incontrano fenomeni interruttivi per i quali non rinunciano alla fruizione di contenuti; anche i dark pattern non alternano la reputazione del sito/brand;

4) tolleranti (1,5 milioni), il profilo più evoluto da un punto di vista digitale e di acquisti online, con un’elevata adozione di ad-blocker. Si tratta d’individui che provano fastidio nei confronti di fenomeni interruttivi e dark pattern in cui si imbattono spesso, ma tutto sommato li tollerano.

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