Ricerche

Digitale e lavoro: per l’80% dei dipendenti italiani un binomio ricco di potenzialità

L’Italia è al quarto posto nel mondo tra i Paesi che considerano positivamente il crescente impatto della tecnologia, collocandosi ben sopra la media globale pari al 79% e al primo posto in Europa. Per l’88% è però necessaria più formazione per tenere il passo con lo sviluppo tecnologico. Le rilevazioni dell’indagine Randstad Workmonitor

Pubblicato il 28 Apr 2016

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Il cambiamento c’è e si sente, ma gli italiani non lo vivono in modo traumatico. Sono anzi i più entusiasti dell’impatto che la rivoluzione digitale ha sul loro modo di lavorare, a tal punto che il 90% la vive come una opportunità per aumentare la produttività e l’efficienza, per avere nuovi strumenti di comunicazione e collaborazione e per superare barriere e vincoli che rendono più onerose le attività quotidiane. Lo rileva l’ultimo Randstad Workmonitor, l’indagine svolta in 34 Paesi nel primo trimestre 2016 su oltre 400 persone a Paese.

Per ottimismo sulle funzionalità del digitale siamo al primo posto in Europa e al 4° posto nel mondo, appena dopo India, Messico (96%) e Cile (95%), contro una media globale del 79%. Ma, al tempo stesso, l’88% riconosce di avere bisogno di più formazione per padroneggiare le nuove tecnologie e usarle al meglio: terzi al mondo a sentirne la necessità, dopo Malesia e India (69%). Le principali conseguenze di questo cambiamento epocale nelle modalità e relazioni di lavoro sono il bisogno di aggiornamento costante, il senso di inadeguatezza in chi non padroneggia gli strumenti informatici e il rischio di trasformare le interazioni in qualcosa di puramente virtuale.

Un rischio questo molto sentito dagli italiani, che più di tutti considerano ancora il faccia a faccia il modo migliore di interagire con gli altri (94%). Il 47%, in linea con la media globale, ammette di essere già meno in contatto con i propri collaboratori a causa di questa tecnologia pervasiva, che connette e allontana al tempo stesso, e il 50% estende questo effetto anche alle relazioni private (meno della media). Inoltre, uno su due (il 52%, che però è una delle percentuali più basse nel mondo) sostiene che si siano già ridotti gli incontri di persona con i clienti e il 42% ritiene di interagire meno con i suoi colleghi. Sempre il 44% afferma che la tecnologia renda la società meno umana (in questo siamo in fondo alla classifica), contro una media globale del 59%, ma il 65% la ritiene in grado di creare una società più umana, sopra la media del 59%.

Siamo degli inguaribili ottimisti?

«L’approccio degli italiani verso il possibile conflitto con una tecnologia ‘disumanizzante’ è quello giusto – commenta Marco Ceresa, Amministratore Delegato di Randstad Italia – Gli strumenti digitali costituiscono oggi un’opportunità per liberare tempo, energie e produttività tra i lavoratori, ma non possono e non devono sostituire completamente la relazione faccia a faccia, come pure la presenza fisica non può essere la regola in tutte le situazioni. Il giusto mix di innovazione tecnologica e relazioni ‘tradizionali’, in un equilibrio stabilito sulla base delle attività proprie di ciascun profilo, è in grado di garantire il necessario ‘tocco umano’ anche a interazioni che diventano sempre più digitali».


Ma serve formazione continua, come richiedono gli stessi lavoratori. «Dall’indagine emerge l’impegno dei lavoratori nel voler conciliare pro e contro della tecnologia nel mondo del lavoro – continua Ceresa – a partire dalla consapevolezza che la convivenza sia imprescindibile, perché l’impatto della digitalizzazione sul lavoro è notevole per quasi tutti. Questo non è sufficiente però a nascondere anche il senso di inadeguatezza che richiede una preparazione permanente: un segnale di vulnerabilità, ma anche un desiderio di apprendimento che l’impresa e il mercato del lavoro devono raccogliere fornendo strumenti e adeguata formazione».

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