Scenari

Supply Chain Management, cinque consigli per sfruttare i Big Data

Le aziende manifatturiere sono solo all’inizio del percorso per sfruttare i grandi volumi di dati non strutturati al fine di ottimizzare la catena produttivo-logistica. I suggerimenti della società di analisi Supply Chain Insights

Pubblicato il 17 Ott 2013

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Il mondo delle nuove tecnologie è sempre stato caratterizzato da “tormentoni” di cui in un certo periodo tutti parlano, e almeno in ambito di Business ICT i Big Data sono certamente una delle mode del momento. Tutti ne parlano, e non c’è dubbio che le opportunità che quest’area tecnologica offre siano estremamente promettenti, ma realizzarle nella pratica non è semplice. Lora Cecere, fondatrice della società di ricerca Supply Chain Insights, fa un’interessante analisi partendo dal presupposto che le architetture IT tradizionali non siano adatte per recepire i nuovi flussi di dati provenienti da sensori, social network, macchine e così via.

In particolare le applicazioni di Supply Chain Management (SCM) tradizionali, scrive Cecere su data-informed.com, sono state pensate per utilizzare dati strutturati provenienti da database relazionali. Questo comporta che l’avvento dei Big Data renderà obsoleti entro i prossimi dieci anni molti investimenti già effettuati. Questo è un problema o un’opportunità? La risposta è abbastanza scontata ed è frutto di un’indagine di Supply Chain Insights su 123 responsabili IT e di SCM, secondo la quale il 76% degli intervistati la considera un’opportunità.

I Big Data infatti offrono alle aziende manifatturiere nuovi strumenti di monitoraggio e ascolto, possibilità di effettuare test di mercato, avere e dare risposte in tempi rapidi. Tutto questo però se le aziende cambieranno i loro processi. Le maggiori opportunità, concordano molti analisti, sarebbero sul fronte della domanda, cioè nell’utilizzo dei Big Data per migliorare la conoscenza di clienti e consumatori. Tuttavia, al momento, gran parte degli investimenti nei Big Data riguardano la Supply Chain. Secondo Cecere però questo è un trend positivo, perché la disponibilità di volumi e varietà molto maggiori di dati sulla domanda, e l’evoluzione delle tecniche di analisi della domanda, determineranno una ridefinizione dei processi e delle applicazioni software di SCM.

Dall’indagine di Supply Chain Insights emerge che le aziende sono solo all’inizio del cammino che porta a un’efficace sfruttamento dei Big Data in ambito Supply Chain. Solo il 28% delle aziende manifatturiere intervistate, infatti, è partita con un’iniziativa di questo tipo e solo il 15% possiede un database che può gestire oltre un petabyte di dati, che è il limite minimo per cui secondo Cecere si può parlare di volumi Big Data. Come definire meglio quindi questo cammino? L’analista suggerisce cinque passi, con il denominatore comune di andare oltre l’organizzazione “tecnologica”dei flussi di dati e di mantenere allineate le iniziative agli obiettivi di business.

Andare oltre la tecnologia, puntando sempre sugli obiettivi di business

Il primo consiglio è di creare un team di progetto interfunzionale, con un leader in grado fare lavorare assieme le diverse anime dell’azienda con un focus particolare sui processi end-to-end. I componenti devono provenire sia dall’IT che dalle linee di business, per vedere tutte le opportunità dei Big Data e non limitarsi a vederne problemi e difficoltà.

Il secondo suggerimento è di non discutere sulla definizione di Supply Chain. In alcune aziende la Supply Chain è una funzione molto circoscritta, limitata a logistica e magazzini, in altre è un insieme di processi end-to-end, che parte dalla creazione delle opportunità e termina con la dismissione dei prodotti. Non bisogna farne una “guerra di religione”, dice Cecere, discutendo su dove comincia e finisce la Supply Chain, l’importante è capire come sfruttare i Big Data per migliorare la catena produttivo-logistica, comunque siano classificati processi e funzioni.

Il terzo consiglio è procedere iterativamente per piccoli progetti, imparando l’uso degli strumenti di analisi in ambiti limitati con iniziative molto veloci e utilizzandone i risultati positivi per farsene finanziare altre. Cecere cita come esempi diversi casi di piccoli progetti di in-memory reporting e data discovery/visualization, raccomandando di imparare a separare le decisioni sulle soluzioni analitiche da quelle sull’ERP. «L’ERP è solo una delle fonti di dati, e nel tempo diventerà una fonte sempre meno importante in ambito Supply Chain».

Il quarto consiglio è di finanziare, nei limiti del possibile, il lavoro del team interfunzionale, dandogli anche un certo margine di “prova ed errore”, e infine il quinto è di consolidare i centri di eccellenza di Business Intelligence e le iniziative di Master Data Management in grandi progetti Big Data con obiettivi strategici di business. «Alcune delle nuove tecniche di advanced analytics – conclude Cecere – permettono attività di data enrichment e data parsing che prima non erano gestibili a livello di software. Le organizzazioni più abili nell’utilizzo dei dati riusciranno a sfruttare meglio e prima le opportunità legate ai Big Data: l’obiettivo ultimo è sempre quello di risolvere problemi di business».

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