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Procurement dell’innovazione della PA, gli strumenti innovativi sono poco utilizzati. Ecco perchè

L’analisi di Mauro Draoli, Responsabile servizio strategie di procurement e innovazione del mercato AgID, e Luca Gastaldi (foto), Direttore Osservatorio Agenda Digitale del Polimi, su quanto previsto dal nuovo Codice Appalti e dal Piano triennale AgID per gli acquisti di innovazione della PA. «La mancata conoscenza penalizza l’utilizzo e rallenta le gare»

Pubblicato il 06 Set 2017

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A che punto è il procurement dell’innovazione nella PA? Nei primi sei mesi del 2017 il legislatore e l’amministrazione hanno cercato di dare un nuovo quadro normativo e regolamentare più definito rispetto a un tema sempre più cruciale per la digitalizzazione del Paese. Nonostante però la messa a punto del Correttivo Codice Appalti e Piano triennale AgID, i nuovi strumenti rimangono ancora poco praticati, e se ne ricava l’impressione che esistano problemi di scarsa chiarezza e di difficile applicabilità da una parte, e di predisposizione alla pratica da parte degli enti pubblici. È quanto sottolinea Barbara Weisz in un articolo apparso su Agendadigitale.eu.

Interpellato sulla questione, Mauro Draoli, Responsabile Servizio strategie di procurement e innovazione del mercato AgID, spiega che «la propensione della PA a fare appalti innovativi non è cambiata, non è stata influenzata né dal vecchio né dal nuovo codice, perché è la pubblica amministrazione che deve avere capacità e voglia di comprare innovazione». Diverso il discorso per il Piano triennale, che invece è lo strumento corretto per intervenire, ma «è prevalentemente attento alla razionalizzazione della sistema, o riduzione della spesa, che non all’innovazione», trascurando un aspetto molto importante come quello organizzativo. Ci sono però anche aspetti positivi, come sottolineato da Luca Gastaldi, Direttore Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, che citando le nuove procedure di aggiudicazione per comprare innovazione digitale, non dimentica tuttavia «la mancata conoscenza di questi strumenti, che ne penalizza l’utilizzo e rallenta le gare».

Secondo Draoli c’è anche un vantaggio intrinseco legato al basso rischio di corruzione o scarsa trasparenza quando si parla di appalti ad elevato contenuto innovativo. «Sono meno soggetti a fenomeni corruttivi proprio perché sono sfidanti dal punto di vista tecnico funzionale, e dunque prevale l’aspetto qualitativo anche in considerazione del fatto che diventa più difficile tentare un’eventuale aggiudicazione guidata». Ovvero se in una procedura prevale il contenuto tecnico, il soggetto che tenta di aggiudicarsi l’appalto in maniera illegittima fa comunque più fatica, perché deve anche produrre un’offerta qualitativamente alta.

Gli strumenti ci sono, ma sono poco conosciuti

Gli strumenti per gli appalti di nuova generazione ci sono, a partire dal dialogo competitivo, dai partenariati per l’innovazione, dalle indedite procedure con negoziazione. Per Draoli il Codice Appalti di fatto ha introdotto un solo nuovo strumento, il partneriato per l’innovazione, che però è complesso e, spesso, sconosciuto, per cui l’adozione è lenta e complicata. Per Gastaldi sono tutti strumenti «potenzialmente sofisticati ed efficaci», ma «nella pratica ancora poco conosciuti, dall’offerta e dalla domanda. Anche perché non sono ancora stati specificati e analizzati fino in fondo». Si tratta quindi di una «novità che sulla carta funziona e produce benefici, ma nella pratica se non è ben accompagnata (con presentazione di buone pratiche, analisi di quanto succede all’estero, diffusione con linguaggio chiaro), genera confusione e preoccupazione». Ne consegue che una delle priorità per far ripartire le gare è la «chiarezza sugli strumenti: bisogna dire alle amministrazioni come usarli, quando, come e quando sono più convenienti».

Del resto Draoli, in relazione al piano triennale AgID, segnala che si pone un’enfasi forse eccessiva sull’aspetto tecnologico e metodologico, quindi su software, project managment, mentre «non affronta l’aspetto organizzativo, chiarendo come si devono organizzare le pubbliche amministrazioni con le proprie strutture per gestire e migliorare l’IT». L’Italia in questo senso ha grosse potenzialità. Come AgID, spiega Draoli, «siamo uno dei soggetti più attivi in Europa, nel senso che siamo la stazione che ha appaltato di più».

Va inoltre segnalato che nel Piano triennale c’è una sezione dedicata ai Progetti ad alto contenuto d’Innovazione (allegato 2, comma 2), all’interno della quale si consiglia alle amministrazioni che devono investire in innovazione di:

– valutare l’opportunità di definire l’oggetto dell’appalto privilegiando la specificazione della domanda;

– svolgere una consultazione di mercato preliminare;

– valutare l’applicabilità di procedure di appalto “innovative”, quali per l’appunto il dialogo competitivo e il partenariato per l’innovazione, nonché di concorsi di progettazione e di idee, contratti di concessione e contratti di partenariato pubblico privato;

– suddividere gli appalti in lotti, per favorire l’accesso alle Pmi;

– verificare l’adattabilità del criterio del costo del ciclo di vita per la valutazione delle offerte.

La sezione segnala anche l’utilità di ricorrere allo strumento dell’appalto precommerciale, per il quale la stessa AgID offre supporto e fa da centrale di committenza. Draoli insiste anche sull’opportunità di differenziare il più possibile la scelta delle stazioni appaltanti (mentre l’attuale sistema tende a privilegiare gli accordi quadro Consip), anche perché gli accordi standard non valorizzano possibilità e capacità della stazione appaltante. Senza dimenticare, come fa notare Gastaldi, che ci sono anche i “soliti” ritardi normativi, per cui è vero che c’è un Correttivo Codice Appalti approvato, ma è anche vero che mancano ancora oltre 60 provvedimenti attuativi.

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