Formazione

La “nuova” Università dopo secoli di storia

La rivoluzione digitale bussa anche alle porte degli atenei, mettendo in discussione modalità di insegnamento rimaste sostanzialmente immutate dal Medioevo. Con le università telematiche e i Massive Open Online Courses, che raccolgono un numero crescente di studenti, si aprono nuovi scenari per la formazione ma anche per la ricerca, in cui l’integrazione fra il modello tradizionale e quello a distanza appare inevitabile. L’opinione di Stefano Paleari, Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane

Pubblicato il 23 Giu 2014

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Stefano Paleari, Rettore Università degli Studi di Bergamo

La rivoluzione digitale ha cambiato profondamente molti aspetti della società in cui viviamo. Si assiste ad una contrazione dello spazio e del tempo, mentre frammenti della nostra vita vengono trasformati in stringhe composte da 0 o 1. La fotografia, ad esempio, è sempre più appannaggio del digitale, principalmente per la convenienza economica e la praticità d’uso rispetto alla tradizionale pellicola. È facile pensare ad altri dualismi, come il vinile e gli MP3, dove il primo regala un’esperienza sonora senza paragoni, poiché le valvole sporcano e scaldano il suono, rendendolo così vivo e dinamico. L’MP3, di contro, offre un’esperienza sonora inferiore, pulita e fredda, ma pratica ed economica. Risulta chiaro quindi che quando lo tsunami del digitale colpisce un settore, il risultato è spesso disruptive e l’analogico diventa al più una nicchia di mercato.

La rivoluzione digitale ha bussato da qualche tempo anche alle porte dell’Università. Attraverso l’educazione a distanza, ossia la modalità di insegnamento che consiste nel formare studenti che non sono tutti presenti nello stesso luogo fisico, si cerca di offrire l’accesso all’apprendimento laddove l’insegnante e il discente non condividono lo stesso spazio o lo stesso tempo. È possibile che il metodo di insegnamento tradizionale, le cui modalità sono rimaste praticamente quelle di fine XI secolo, diventi via via una nicchia? Di fronte a questa potenziale trasformazione sorge una serie di interrogativi riguardo al modo in cui il digitale si sta affacciando al mondo dell’educazione. È perciò necessario che oggi le università riflettano su qual è il loro ruolo nell’insegnamento: evolveranno, verranno spazzate via? Dove si raggiungerà un nuovo equilibrio? Con gli stessi attori o con nuovi?

L’educazione a distanza è stata nel passato un settore marginale, che oggi ritrova maggiore forza e competitività grazie alle tecnologie disponibili ed addirittura rischia di stravolgere l’università tradizionale.

È opportuno dunque definire quelli che sono i maggiori fenomeni attraverso cui la rivoluzione digitale sta bussando alle porte del mondo dell’educazione, ossia le università telematiche e i MOOCs, facendo chiarezza riguardo ai loro tratti distintivi ed al loro impatto sulla società attuale. In estrema sintesi, le università telematiche sono università a tutti gli effetti in cui lo studente paga una tassa di iscrizione e, al termine del percorso, ottiene un attestato equipollente alle università “tradizionali”. Esse si possono considerare come l’evoluzione di quelle che una volta erano le cosiddette “università per corrispondenza”, le cui origini risalgono al 1858, quando la University of London, per prima, introdusse una laurea di questo tipo.

Analogamente, MOOCs è l’acronimo di “Massive Open Online Courses”. I MOOCs sono corsi offerti liberamente su piattaforme online: “Massive” perché in genere hanno grandi gruppi come target; “Open” perché si può assistere a questi corsi liberamente; “Online”, sia nel senso che possono essere consultati da tutti ovunque, purché si disponga di una semplice connessione internet, sia che essi sono gratuiti (o accessibili a prezzi molto bassi rispetto a un corso universitario tradizionale).

Gli atenei telematici
Gli atenei telematici sono istituti di istruzione universitaria abilitati a rilasciare titoli accademici a distanza, grazie alle nuove tecnologie telematiche. Non sono una novità in senso assoluto, ma piuttosto l’evoluzione di quelle che erano le università per corrispondenza. Hanno ritrovato un nuovo vantaggio competitivo grazie alle attuali tecnologie disponibili.


La Tabella 1 riporta la crescita degli atenei telematici italiani inesistenti, fino a pochi anni fa. Gli studenti iscritti sono cresciuti tra gli anni accademici 2007/08 e la crescita 2011/12 ad un tasso medio del 32%, mentre le tasse di iscrizione sono incrementate mediamente del 44%. Ad oggi, si tratta di un fenomeno dai numeri contenuti, ma che si evolve a tassi di crescita importanti e interessa oltre 40 mila studenti (il 2,5% del totale degli studenti universitari). Analizzando i dati inerenti le università affiliate alla European University Association (EUA), la situazione italiana sembra allontanarsi rispetto alle altre nazioni europee.

In Tabella 2 si può osservare infatti come il fenomeno sia cresciuto e gestito in maniera differente dalle diverse nazioni: le università telematiche europee sono mega atenei, sotto il controllo pubblico. Solitamente ve n’è solo una per nazione, all’interno della quale è spesso la più grande. In Italia, invece, le università telematiche sono undici, private e di piccole dimensioni.

Le università telematiche sono probabilmente, al momento, un’opportunità per accrescere il numero di persone che altrimenti non avrebbero deciso l’accesso all’educazione universitaria.

I MOOCs
I MOOCs (Massive Open Online Courses) sono un fenomeno del nuovo, nato negli Stati Uniti d’America e concretizzatosi proprio grazie alle università tradizionali, che, nonostante la novità, ha riscosso molto successo. Il loro impatto su scala mondiale risale in qualche modo all’autunno 2011 quando la Stanford University ha erogato gratuitamente un corso post laurea di intelligenza artificiale al quale si sono iscritti circa 160.000 studenti provenienti da 190 paesi. Gli utenti hanno superato il milione dopo solo quattro mesi: una partenza stupefacente, più rapida di quella di Facebook o di Twitter.

Alcuni tra i principali provider sono elencati nella Tabella 4 ed è evidente come questo fenomeno sia del tutto recente e, ancora, molto Americandriven.

Ciò che rende i MOOCs diversi degli atenei online è che alcune delle università, soprattutto tra le più prestigiose, in tutto il mondo offrono gratuitamente i propri corsi online, anche in una logica “preparatoria e complementare” (si pensi al Politecnico di Milano che ne fa uso per preparare l’ingresso degli studenti alle lauree triennali e alle magistrali). Queste decidono di proporre alcuni corsi online sui provider principalmente per aumentare o mantenere il proprio status. Le piattaforme offrono i loro corsi gratuitamente, si paga qualora lo studente avesse bisogno di un certificato riconosciuto da un’istituzione universitaria. Il prezzo è comunque modesto e deriva dalla possibilità di catturare significative economie di scala. Questi volumi (Coursera ha più di 7,1 milioni di iscritti) sono gestibili soprattutto grazie anche all’interazione che si innesta tra studenti. Creando uno spazio virtuale apposito, non è più indispensabile il rapporto personale con il docente; gli studenti fanno domande e rispondono ai quesiti mediamente in molto meno di un’ora in un forum creato ad hoc.

I MOOCs potrebbero essere forieri di opportunità sia dal punto di vista dell’insegnamento, sia da quello della ricerca, anche della ricerca che si occupa dei meccanismi di apprendimento. I MOOCs provider, grazie alla grande quantità di iscritti ed all’uso intensivo dell’Information Technology, genereranno molti dati che potrebbero rivoluzionare la conoscenza delle dinamiche di apprendimento.

Il terreno principale di scontro/incontro tra MOOCs e università è quello dell’insegnamento, e per capire le opportunità che possono arrivare da questa novità è appropriato capire qual è il valore aggiunto di un’università nell’ambito educativo che un corso online non può fornire.

Per fare questo è necessario rispondere alla domanda sul ruolo che svolge l’università. Sarebbe davvero riduttivo immaginare un modello in cui la mente degli studenti debba essere solo “riempita”. Viene in mente la frase dello scrittore Michel Eyquem de Montaigne che diceva “mieux vaut une tête bien faite qu’une tête bien pleine”. La società verso cui viaggiamo è per natura in continuo mutamento e l’educazione deve fornire strumenti eccezionali in questa società “liquida”, per dirla come il sociologo Zygmunt Bauman. Sempre Bauman ci illumina con una metafora assai efficace: «I missili intelligenti, a differenza dei loro cugini balistici più anziani, imparano durante il tragitto. Pertanto all’inizio devono essere muniti dell’abilità di imparare, e di imparare in fretta». Questo obiettivo viene raggiunto in un contesto, che possiamo semplificare con “campus life” e che non si può riprodurre solo attraverso uno spazio virtuale. Per “campus life” si intende quell’insieme di esperienze di vita che formano lo studente e lo preparano non solo alla carriera lavorativa, intesa come bagaglio culturale basato sul metodo e sulle nozioni, ma anche alll’acquisizione di una visione più ampia della conoscenza, che rende l’istruzione un valore in sé. L’università tradizionale è un’esperienza non sostituibile da un corso online anche per la possibilità di lavorare in gruppo, sviluppare nuovi contatti e ascoltare i giudizi o le opinioni dei docenti e dei compagni di studio oltre che la declinazione territoriale della vita del campus.

Questo non significa che l’università debba porsi in posizione di terzietà o, peggio, di alternanza. Non è mai in difesa che si raccolgono le sfide delle nuove tecnologie. I MOOCs possono anche rivelarsi un’opportunità per quello che riguarda l’attività in aula, svolgendo una funzione complementare. Talvolta le lezioni hanno luogo in aule sovraffollate e caotiche. Non credete forse che una lezione simile sia molto peggio di un’educazione a distanza? Quindi i corsi online potrebbero preparare lo studente all’attività in aula, e grazie a loro i professori potranno indirizzare la propria attività didattica, che sarà basata sugli interessi particolari o su domande di approfondimento da parte degli allievi o, meglio ancora, sul lavoro di gruppo.

Oltre a questo, le università tradizionali potrebbero adottare, come è nei MOOCs, il sistema di interazione tra studenti, ovvero una piattaforma ottimizzata per lo scambio di conoscenza, informazioni e idee. Spesso, infatti, capita che gli studenti si ritrovino a far la stessa cosa su una piattaforma non idonea, ossia non ottimizzata ai fini accademici (i.e. Facebook). A tal proposito, dopo aver valutato il costo/opportunità, è forse bene che siano le università tradizionali a creare al loro interno appositi spazi virtuali per favorire e moderare tali discussioni senza nulla togliere ovviamente ad altre forme di interazione libere e di autogoverno per lo studente.

Opportunità e minacce del digitale
La nuova tecnologia ha portato alla ribalta l’educazione a distanza: da un lato ha dato nuova linfa alle università per corrispondenza che, diventate on-line, si sono moltiplicate; dall’altra ha permesso anche agli atenei tradizionali di avviare iniziative che hanno portato alla nascita e alla diffusione dei MOOCs.

Questi portano con sé molteplici minacce, ma anche molte opportunità per rinnovare un sistema che paradossalmente, pur creando innovazione, non si è ancora affacciato al digitale.

La prima opportunità è quella di attenuare le disuguaglianze di accesso all’alta educazione: tutti coloro che hanno accesso ad internet possono avvicinarsi all’Higher Education e al Life Long learning, un ulteriore passo nell’ampliamento del range di talenti che vengono scoperti e valorizzati. È molto importante poter fornire educazione universitaria a persone che mai nella loro vita avrebbero potuto accedere a quel livello di istruzione: quindi questi nuovi strumenti non rappresentano un’alternativa ad iscriversi all’università, ma un’alternativa al non iscriversi all’università.

L’integrazione Università tradizionale-MOOCs sarà un’evoluzione necessaria? Io penso di sì, basta ricordarsi che “in medio stat virtus”. E poi, prendendo spunto da Plutarco, Montaigne scrisse: «Insegnare non significa riempire un vaso, ma accendere un fuoco».

I MOOCs potrebbero aiutarci a “riempire” in modo da poter lasciare all’università tradizionale la funzione di “accendere”.

*****Da Sapere*****

Chi è Stefano Paleari
Nato a Milano il 24 gennaio 1965, Stefano Paleari si laurea con Lode in Ingegneria Nucleare presso il Politecnico di Milano nel 1990. Nel 1996 diviene Ricercatore in Ingegneria Gestionale presso l’Università degli Studi di Bergamo. Nel 1998 è Professore Associato in Economia ed Organizzazione Aziendale presso il Politecnico di Milano. Dal 2001 è Professore Ordinario di Analisi dei Sistemi Finanziari presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bergamo. Dall’ottobre 2009 è Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo. Dall’aprile 2011 è membro della Giunta e Segretario Generale della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Nel settembre 2013 viene eletto Presidente della CRUI. Dall’aprile 2013 è membro del board dell’EUA – European University Association.

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