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Retail 4.0: cos’è e perché il futuro della distribuzione è una scommessa digitale

Dal Retail 1.0 al Retail 4.0, una cronistoria dello sviluppo delle tecnologie in store e fuori dagli store, fino a sensori e smart code, Wi-Fi di ultima generazione, smart object, mobile e cloud. La Internet of Things è servita. I consigli di McKinsey per cavalcare i trend

Pubblicato il 15 Mag 2017

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Che cos’è il Retail 4.0? Perché si chiama 4.0? Il Retail 4.0 l’ultima frontiera di una distribuzione che evolve nella storia, imparando a utilizzare la tecnologia per centrare diversi obiettivi.

Quali? Tanti e di ordine diverso: da un lato rendere più efficienti le operazioni di back end (come la gestione del magazzino, degli inventari, degli ordini e riordini, della sicurezza), dall’altro migliorare i servizi di front end (dall’esposizione della merce al riassortimento, dai servizi di pagamento alle iniziative legate all’ingaggio e alla fidelizzazione per arrivare all’ottimizzazione dei servizi di pre e post vendita, includendo configuratori di prodotto e totem interattivi di nuova generazione).

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Quali sono le tecnologie abilitanti dello smart retail

La classificazione delle tecnologie che caratterizzano il Retail 4.0 è complessa e affascinante. Il punto di partenza è utilizzare al meglio la Internet of Things, portando in negozio e fuori dal negozio un’intelligenza di servizio che parte da una buona gestione delle informazioni. Sensori di ogni tipo integrati in qualsiasi oggetto: dai tag RFID ed NFC alle videocamere di sorveglianza, dai sistemi di rilevazione termici ai contapersone a quegli smart code che da qualche anno parlano anche ai consumatori attraverso i loro telefonini: dai barcode ai data matrix arrivando ai QR Code. Orchestrando superfici interattive e Wi-Fi di ultima generazione, tecnologie mobile e cloud, fino a includere il grande universo digitale dei social media, il Retail 4.0 punta alla massima personalizzazione del servizio, usando con creatività quell’innovazione che, a tutti gli effetti, rappresenta il quarto capitolo di quella lunga storia chiamata commercio.

Retail 4.0: cronistoria della genesi e dello sviluppo

Gli analisti di McKinsey, nella recente ricerca intitolata Retail 4.0: The Future of Retail hanno riassunto la genesi che sta portando i brand a rivedere modelli e opportunità di crescita e di sviluppo. Seguendo la road map, ecco un’interessante cronologia che dal Retail 1.0 al Retail 4.0 aiuta a capire nel dettaglio prospettive e linee guida di un’evoluzione sempre più integrata all’uso del digitale.

1900 – Retail 1.0: origini e significato del supermercato

È solo all’inizio del XX° secolo che ai negozi specializzati e alle drogherie multiprodotto si affiancano nuovi concept che adottano sistemi self-service in cui i clienti, prima di uscire dal negozio, mostrano la merce a un commesso che, controllando i prezzi, computa il totale ed effettua la transazione in cassa.

A pensare per primo è Clarence Saunders, ex commesso della GDO ed ex venditore. È lui che ha l’intuizione destinata a cambiare la storia degli store: nel 1916, a Memphis (Tennessee), propone al distributore Piggy Wiggly di creare il primo outlet con scaffali a vista, sistemati in modo da creare un itinerario ideale all’interno del negozio. La vera disruption rispetto all’approccio tradizionale? Fare in modo che fossero direttamente i clienti a servirsi in assoluta autonomia dei prodotti, ognuno dei quali dotato di cartellino indicante il prezzo. Il concetto di supermercato riscosse un tale successo che Piggy Wiggy lo brevettò nel 1917 e nel 1932 negli Stati Uniti il brand aveva già 2500 punti vendita strutturati in questo modo. Secondo gli analisti è stato questo il primo modello di distribuzione moderna: Piggy Wiggy, insomma, si può dire sia stato il primo vero concept store della storia.

1960 – Retail 2.0: dall’ipermercato al Super Center

Circa 50 anni più tardi aprono i battenti i primi ipermercati: più precisamente nel 1962 Walmart in Arkansas e l’anno successivo Carrefour a Parigi. I due brand inaugurano il nuovo concept perseguendo una filosofia all’insegna del: “everything under one roof”, ovvero vendere qualsiasi cosa distribuita su un unico, grande piano.

Il Retail 2.0 rappresentava l’avanguardia rispetto all’utilizzo degli spazi e alla gestione dei processi perché ragionato secondo concetti di massima produttività e razionalizzazione dei costi. Il modello ebbe grande successo in Europa, soprattutto in Francia e Spagna, ma anche nel resto del mondo, in Cina, Brasile e Tailandia. Negli Usa fu Walmart che tra il 1990 e il 2000 ha modificato il concept evolvendolo in quello di Super Center. La ricerca e lo sviluppo del brand americano nel corso degli anni furono talmente pervasivi ed estesi che hanno portato la direzione a riprogettare l’intera filiera, a partire dall’introduzione massiva della tecnologia RFID per la tracciabilità e la rintracciabilità dei prodotti, ma anche per soluzioni più smart come l’uso di totem interattivi e carrelli intelligenti atti ad agevolare la shopping experience. Molte di queste innovazioni sono rimaste per anni nei laboratori di Walmart solo perché il pubblico non era ancora pronto a recepire il cambiamento ma oggi il brand sta riscrivendo la storia della distribuzione.

1990 – Retail 3.0: il fattore e-commerce

Nel 1995 l’eCommerce come lo conosciamo oggi non aveva più di due anni. Fu allora che arrivò Jeff Bezos, ex ingegnere con il pallino imprenditoriale. Bezos fondò Amazon. Il resto è storia.

Il concept, partito dalla vendita on line di libri presto diventa un’industria della logistica e del commercio. Il concetto di base è ridurre i costi della distribuzione ottimizzando la disponibilità dell’offerta tramite una modalità di consultazione freemium e un sistema di gestione degli inventari a ciclo continuo. Non solo: il Retail 3.0 di Bezos, oltre ad avere a disposizione un bacino di clienti potenzialmente infinito usa gli stessi come prosumer, facendo in modo che opinioni e gusti vengano capitalizzati per essere messi a disposizione di altri clienti. Come fanno notare gli esperti, vero è che l’interfaccia grafica del sito sposa l’essenzialità e ancora oggi punta alla massima funzionalità della ricerca più che all’aspetto estetico e all’experience. Ma si tratta di una scelta precisa volta a rendere veloce la ricerca per chi sa già cosa vuole che come target è un’ottima fetta di mercato (nel primo trimestre del 2016 i clienti Amazon erano oltre 310 milioni – Fonte Statista).

A onor del vero, nel 1997 è Webvan che intraprende per primo la strada dell’ecommerce nella grande distribuzione ma Amazon dal concept iniziale del Book store on line presto impara a diversificare la sua offerta secondo un approccio decisamente disruptive. Potenziando l’infrastruttura al punto da permettersi di condividere i suoi data center col resto del mondo inaugurando una nuova business unit, Bezos dà un’impronta precisa alla sua azienda che ha imparato a gestire Big Data e analitiche con largo anticipo rispetto a qualsiasi competitor.

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2010 – Retail 4.0: omnicanalità della distribuzione (e dell’informAzione)

Il termine che descrive meglio il significato del Retail 4.0 è l’avvento della distribuzione multicanale (od omnicanale). Il perché è chiaro: allinearsi all’evoluzione dei consumatori che vivono sempre più spesso una doppia vita analogica e digitale, usano tanta tecnologia fissa e mobile, sono influenzati non solo dai media tradizionali ma anche dai social media.

Retail 4.0 sono tanti format diversi che sfruttano il mondo fisico e il mondo virtuale, il cloud e la mobility, scegliendo sempre più spesso soluzioni ibride e iperconvergenti. Si compra on line e si ritira in store, si sceglie in store e se la merce non c’è si ordina on line, si acquista in rete ma se l’oggetto non piace si va in negozio a restituirlo. I negozi, sempre più connessi e comunicanti, offrono ai clienti varie formule per consultare le informazioni on line: totem, tablet, specchi e pareti interattive ma anche app e soluzioni come Qr code e beacon che consentono di incanalare messaggi e gestire meglio la relazione.

Il negozio, insomma, cambia pelle attraverso un uso delle tecnologie estremamente più intelligente ed integrato, ma anche decisamente più creativo. La sperimentazione diventa parte del programma di  ingaggio, finalizzato a studiate meglio i comportamenti dei consumatori ma anche i loro gusti.

L’obiettivo? Arrivare a personalizzare i processi di vendita al punto da farli diventare dei servizi su misura. Come? Attraverso nuovi sistemi di tracciabilità e rintracciabilità delle informazioni che dalla produzione alla distribuzione, dalla vendita alla post vendita garantiscono la qualità dei dati e della movimentazione dei prodotti ma anche la sicurezza contro la contraffazione e i furti (Smart control), l’ingaggio ma anche la fidelizzazione (Smart marketing), le transazioni da qualsiasi dispositivo fisso e mobile (Smart payment) e il pieno supporto al lavoro dei commessi e al customer journey dei clienti (Smart infotainment). Se il consumatore è omnicanale (in Italia lo è il 70% dei consumatori  – Fonte Connected Commerce Survey – Nielsen, 2016), anche la distribuzione deve diventare omnicanale, conciliando tecnologia e strategia.

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Retail 4.0: 7 trend da tenere a mente

Gli analisti di McKinsey fanno il punto, descrivendo i trend collegati ai nuovi modelli che il Retail 4.0 porterà da qui ai prossimi anni.

  1. Shopping Experience omnicanale. I clienti tenderanno ad aspettarsi differenti tipi di shopping experience con percorsi che, idealmente, attraversano diversi canali a seconda del momento, del desiderio o della necessità. In questo senso i retailer non devono deluderli perché il rischio è quello di perdere business.
  2. Tecnologia e business saranno direttamente proporzionali. La tecnologia permetterà di incrementare sensibilmente la produttività dei brand, andando a impattare sensibilmente anche sulla competizione giocata sui prezzi
  3. Attenzione alla retailizzazione. I retailer dovranno imparare a guardare meglio chi sono i loro nuovi competitor. Sul mercato della distribuzione, infatti, si stanno affacciando nuovi modelli distributivi che arrivano da altri settori come, ad esempio, Amazon o Peapod. Rimanendo in Italia, è vero che negli ultimi anni, si sono create nuove realtà distributive che, a tutti gli effetti, commercializzano prodotti e servizi adottando gli stessi processi di vendita della distribuzione tradizionale: SPA, catene di parrucchieri e centri benessere, così come palestre, tabaccherie, distributori di benzina, hotel e agriturismi, provider telefonici, parchi divertimento, realtà museali e PA locali o enti turistici oggi vendono prodotti, accessori e gadget. BMW apre concept store dotati di bar e corner con oggetti di merchandising, Ferrari ha una sua linea di abbigliamento. Il fenomeno è noto come retailizzazione.
  4. Big Data Management. Tracciare, analizzare e monetizzare i dati dei consumatori diventerà fondamentale al business. Questo significa imparare a ragionare di integrazione e di convergenza, utilizzando al meglio qualsiasi tipo di flusso informativo che racconta il customer journey attraverso i mille rivoli della Rete: dalle registrazioni effettuate dalle app e dalle carte fedeltà alla geolocalizzazione in store, dai commenti sui social alle chiamate agli help desk, dai click sulle pagine del sito ai feed back delle iniziative di e-mail marketing. L’obiettivo dell’ingaggio e della fidelizzazione è vendere, ma il processo di acquisto si costruisce attraverso una strategia più a lungo raggio.
  5. Nuovi skill crossmediali e crossfunzionali. Servono nuove competenze per aiutare il Retail 4.0 a triangolare Tecnologia, Marketing e Merchandising. Il Digital Innovation Officer è una figura complessa, che oltre ad avere esperienza nelle tecniche di vendita conosce la psicologia dei consumatori, profilati per target, ha una buone dose di creatività per inventarsi sistemi e soluzioni di ingaggio e promozione, sa cosa chiedere ai system integrator per ottenere il meglio dall’innovazione tecnologica e sa parlare con l’IT per condividere processi e risultati in modo utile a tutti i comparti aziendali. Retail 4.0, infatti, significa abbandonare le logiche in cluster a favore della migliore condivisione e collaborazione interaziendale.
  6. Nuovi criteri di selezione dei prodotti e dei servizi. Assortimenti esclusivi, includendo sia le marche sia i prodotti della migliore manifattura nazionale, costituiranno gli asset di una formula vincente per gli store. Sarà questo che aiuterà i brand a non gareggiare solo sul prezzo ma anche e soprattutto sulla qualità della proposta che potrà fare la differenza per un consumatore.
  7. Logistica smart. Assicurare anche la distribuzione dell’ultimo miglio: i servizi logistici più innovativi, efficienti ed efficaci saranno garantiti da nuove partnership che abiliteranno una risposta in modalità più puntuale e on demand. Sarò necessario rivedere trasporti e consegne attraverso nuovi ragionamenti capaci di studiare gli itinerari e ottimizzare i carichi, studiare punti di ritiro innovativi usando corner dei supermercati oppure soluzioni come gli gli Amazon Locker, punti di ritiro self-service che offrono la possibilità ai clienti di Amazon di ritirare la loro spedizione in completa autonomia. La notizia che, dopo Amazon, anche UPS stia studiando un sistema di consegna via droni per recapitare i pacchi più leggeri in tempo record la dice lunga sulle nuove sfide del retail 4.0.

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