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Lindstrom: l’importanza degli Small Data, quei piccoli indizi che svelano grandi trend

Pubblichiamo la presentazione del nuovo libro del guru del Marketing Martin Lindstrom, relatore al World Business Forum, che spiega perché l’analisi dei Big Data non basta: per capire davvero i clienti è necessario uscire dagli uffici, cogliere le emozioni, i desideri reali. Occorre un nuovo equilibrio tra correlazione e causalità. Nascono così intuizioni che possono cambiare il destino di un’azienda, come è successo a Lego

Pubblicato il 07 Nov 2016

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Martin Lindstrom, brand consultant ed esperto di marketing

Che vi piaccia o no, le aziende si stanno allontanando dal consumatore. Poco tempo fa, quando ho preso la parola a una convention di top executive nella città di New York, ho chiesto quanti di loro nell’ultimo anno avessero passato anche pochi minuti a casa di un cliente. Dei 3.000 executive in platea, solo due hanno alzato la mano. È come se tutti gli altri mi avessero risposto: «E perché dovrei andare a casa di un cliente? Tutto quello che mi serve è accendere il computer e troverò flussi interminabili di tabelle e grafici che mi illustrano la percezione che i consumatori hanno del mio brand».
Ma questo non equivale forse a descrivere la persona che più amate nella vostra vita con dei numeri? Sono sicuro che non mi direste che adorate la vostra fidanzata perché è alta 1 metro e 80, ha i capelli del color Pantone 39134 e le ultime quattro cifre del suo numero di telefono vi mandano in visibilio.
Il punto è che siamo arrivati a basarci in tutto e per tutto sui dati, i Big Data, per capire le emozioni di chi conta di più per noi: il cliente, il nostro asset più importante.
Ma il rivestimento scintillante dei Big Data sta già mostrando qualche crepa: le aziende cominciano a capire che i Big Data rischiano di lasciarle all’oscuro su alcuni degli aspetti più importanti dei desideri e delle esigenze dei loro clienti.

Le banche e i motivi del churn

Martin Lindstrom durante lo speach al World Business Forum di Milano

Non molto tempo fa, uno dei maggiori istituti bancari degli Stati Uniti ha erroneamente interpretato il dato sull’aumento del churn.
Il termine è noto a tutti, si riferisce ai clienti che cominciano a trasferire i loro soldi verso altri istituti, rifinanziano il mutuo e mandano una serie di segnali che indicano che potrebbero presto abbandonare quella banca per un concorrente. Di conseguenza, la banca in questione ha cominciato a preparare delle lettere per i clienti chiedendo loro di riflettere meglio sulla decisione di chiudere il loro conto, di tornare sui propri passi.
Tuttavia, prima di inviare le lettere, i dirigenti della banca hanno scoperto qualcosa di sorprendente. Sì, certo, i Big Data avevano portato alla luce le prove del churn, ma non avevano «guardato» nelle vite delle persone e quindi non potevano risalire alla causa. Il churn non si verificava perché i clienti non erano soddisfatti della banca: il vero motivo era che molti stavano divorziando e questo spiegava perché spostassero il denaro su conti diversi. La banca si era fondata sulle correlazioni generate dai Big Data, ma mancava una tessera fondamentale per comporre il mosaico.
Aveva visto sì la correlazione, ma le era sfuggita la causalità. In pratica, non aveva controbilanciato i Big Data con qualcos’altro: ciò che chiamo Small Data.

Come Lego è tornata al successo nell’era digitale

Ecco un altro esempio. Nel 2002, la Lego era vicina al fallimento. Per anni, l’azienda simbolo dell’industria dei giochi era stata attanagliata da un preoccupante calo

delle vendite. I bambini della nuova generazione erano diversi, preferivano i giochi digitali. I clienti giovanissimi erano entrati in una nuova era e l’universo Lego apparteneva al passato.
I Big Data sono intervenuti per insegnare qualcosa di utile alla Lego: la nuova generazione cercava la gratificazione immediata, i bambini del futuro non avevano la pazienza per giochi fisici che richiedono tempo e dedizione.
Perciò nel 2003, fatto tesoro di quanto appreso dai Big Data, la Lego ha preso una decisione epocale: ha cambiato le dimensioni dei piccoli mattoncini e li ha trasformati in pezzi giganti. Mentre costruire un castello Lego in passato richiedeva giorni, ora bastavano poche ore, forse anche solo minuti. Ma la decisione ha prodotto l’effetto opposto rispetto a quanto sperato e, a Natale 2003, i vertici della Lego hanno dovuto fare i conti con risultati shock: una perdita operativa di 240 milioni di dollari, con vendite di 1 miliardo, e debiti per 747 milioni di dollari. L’azienda stava affondando.
Fu allora che arrivò, proprio «in corner», il salvataggio.
Un team della Lego decise di andare a far visita nelle case dei consumatori in Europa. Mentre si trovavano in una casa in Germania, i rappresentanti della Lego chiesero a un ragazzino di 11 anni qual era la cosa a cui teneva di più e lui indicò un vecchio paio di scarpe da ginnastica logore, che aveva messo in bella mostra su uno scaffale.
Il bambino spiegò che quelle sneakers erano la prova che lui era il migliore in città sullo skateboard. Un lato delle scarpe era completamente consumato, e ciò dimostrava in modo incontrovertibile a tutti gli amici che lui eracapace di inclinarsi con un angolo perfetto sullo skateboard. Le sneakers erano diventate il suo trofeo. La storia era a dir poco sorprendente, perché questa osservazione diretta sul consumatore, apparentemente insignificante, questo dato minuscolo (uno Small Data, appunto), in contrasto con i BigData della ricerca corporate, mostrava con enorme chiarezza che, quando si lasciava che fossero i bambini a parlare e decidere, non era più vero che il tempo era l’elemento discriminante.
Con la giusta motivazione, anche i ragazzi delle nuove generazioni sono disposti a dedicarsi con pazienza a ciò che amano, passando ore e ore a perfezionare la loro abilità sullo skateboard. O a costruire un fantastico castello di mattoncini Lego. La Lego è così tornata ai suoi classici mattoni mini, seguendo una via opposta alla precedente: ha aumentato enormemente il numero di pezzi inclusi nella stessa scatola. E poi ha deciso di girare un film, che ha aiutato a infondere nuova passione nel modo di giocare dei bambini.
L’azienda si è rapidamente ripresa e oggi, a dieci anni di distanza, la Lego è il più grande produttore di giochi al mondo.

Un equilibrio fra Big e Small Data

Io non sono contrario ai Big Data. Tuttavia, credo fermamente che occorra raggiungere un equilibrio tra correlazione e causalità. Non importa quanto siano intelligenti gli analisti e i data miners: seduti comodamente nei loro uffici con l’aria condizionata, le ipotesi che testano su quantità di dati restano quello che sono -ipotesi astratte. Negli Small Data, invece, si trovano- e sarà sempre così – le prove più evidenti di chi siamo e di che cosa vogliamo, anche se,come hanno scoperto gli executive della Lego più di dieci anni fa, ciò è rappresentato da un paio di vecchie sneakers Adidas consumate sui lati.

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Chi è Martin Lindstrom

Martin Lindstrom è autore di “Small Data: The Tiny Clues That Uncover Huge Trends” (“Small Data, piccoli indizi che svelano grandi trend”), il suo ottavo libro. È considerato uno dei più importanti esperti mondiali di branding ed è stato eletto dalla rivista TIME fra le 100 persone più influenti al mondo. I suoi libri sono stati tradotti in 47 lingue e hanno venduto più di 1 milione di copie ed è consulente di importanti aziende. Nel 2016,Thinkers 50 lo ha inserito tra i primi 20 business thinkers del mondo.

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