Advertising

La pubblicità online alla ricerca del giusto target

Internet è ormai il secondo canale di advertising in Italia. Si affermano nuove metriche per misurarne la reale efficacia mentre si va affinando l’analisi dei dati degli utenti, per campagne ancora più mirate. Il futuro si chiama Programmatic, e sta cambiando completamente le dinamiche: la negoziazione è sempre più affidata alle piattaforme tecnologiche, con conseguenze notevoli su pianificazione e organizzazione. Ne parliamo con Fabrizio Angelini, CEO e Founder di Sensemakers

Pubblicato il 12 Nov 2015

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Fabrizio Angelini, CEO e Founder di Sensemakers

La transizione verso il digitale ha completamente rovesciato nell’arco di un decennio le dinamiche del mercato dell’advertising. Mentre, complice la crisi, si contrae inesorabilmente il mercato della pubblicità tradizionale, in particolare stampa e TV, l’advertising digitale cresce esponenzialmente: a fine 2015, infatti, secondo l’Osservatorio New Media e New Internet del Politecnico di Milano il 30% dell’investimento pubblicitario totale in Italia sarà sul digitale. Solo 7 anni fa era il 10%.

I driver che hanno guidato la crescita sono noti: la pubblicità segue a ruota l’aumento del consumo del web e si adatta alle nuove modalità di fruizione, soprattutto da smartphone e tablet.

E siamo solo all’inizio. Con la diffusione dell’ecommerce, ci aspettano ancora molte novità nei prossimi anni, come racconta Fabrizio Angelini, manager con una vastissima esperienza nella comunicazione innovativa, oggi CEO e Founder di Sensemakers, società che offre servizi in ambito digital basati sull’analisi e interpretazione dei dati relativi agli utenti della rete. Sensemakers è il rivenditore esclusivo per l’Italia della multinazionale della digital analysis comScore.

Come sta cambiando il mondo della pubblicità online?

Negli ultimi anni la trasformazione è stata rapidissima. Uno dei player più importanti del settore, Facebook, dieci anni fa era appena nato. Sono cambiati i media mix degli investimenti, con l’advertising online che guadagna un ruolo sempre più rilevante, ma soprattutto sono cambiati i player. Paradossalmente si stanno replicando dinamiche tipiche del mercato TV: il mercato del digitale è iper-concentrato, si stima che Google e Facebook coprano il 75% del totale e godono di gran parte dei benefici dell’andamento positivo del mercato digitale. È un fenomeno conclamato, se ne discute anche a livello europeo ma non si sta reagendo.

Quali sono i punti di forza dell’advertising online rispetto a quella dei mezzi tradizionali?

Il vero valore aggiunto è la capacità di profilazione, che permette di raggiungere un target molto specifico, grazie alla possibilità di tenere traccia del profilo di chi naviga, dei suoi interessi,delle attività svolte nelle diverse fasce della giornata. Questa è stata sempre la grande promessa che l’online cerca di rispettare. I sistemi di tracciamento e misurazione e gli strumenti di gestione del dato sono infinitamente più evoluti di quelli dei mezzi tradizionali e consentono analisi molto puntuali, in particolare per quanto riguardala conversione: il web non è soltanto un luogo di esposizione della merce e di advertising, ma anche di transazione.

La diffusione in Italia è in linea con il resto del mondo?

Nel benchmark internazionale, siamo tra i paesi di seconda fascia e stiamo seguendo il trend mondiale. In Gran Bretagna, ad esempio, l’investimento digitale ha già superato quello televisivo e si stima che lo stesso avverrà quest’anno anche negli Stati Uniti. L’Italia invece è ancora un mercato “TV-driven”: se il digitale vale il 30%, la televisione- sempre secondo gli Osservatori del Politecnico di MIlano – è ancora superiore ai 50%. Va dettovche anche se il nostro mercato è un diciottesimo di quello americano e un ottavo di quello inglese, noi italiani abbiamo un livello di competenza su queste tematiche che è altissimo. Credo che i professionisti italiani, anche quelli con un profilo tecnologico, siano più aperti al pensiero laterale, a capire cioè le ricadute economiche a valle di un processo. I colleghi stranieri si meravigliano di questa particolarità. Alcuni sviluppi a livello globale sono partiti dall’Italia, anche per comScore, e sono stati replicati a livello internazionale.

La navigazione Internet avviene sempre più da Mobile. Quali sono le conseguenze?

La crescita dell’investimento sul Mobile segue lo spostamento del traffico e il tempo speso dall’utente. Questo trend sta creando problemi non banali che andranno affrontati: se il tracciamento dell’utente da desktop avviene attraverso i cookie, su Mobile è più complicato individuare e tenere traccia dell’efficacia della pubblicità.

Oggi l’80% del traffico Mobile è in-App, cioè interno alle App, e il 42% di questo traffico è concentrato sull’App più diffusa, il 75% sulle prime quattro. Il trend non potrà che concentrare ulteriormente gli investimenti sui player che hanno una grande capacità di generazione e attrazione di traffico. Parlo di Google, Facebook, WhatsApp.

I sistemi di erogazione della pubblicità automatici, il cosiddetto Programmatic, diventano sempre più diffusi. A che punto siamo?

Il trend è assolutamente ineludibile: le forme di trading e di gestione della negoziazione sono sempre più svincolate dalla negoziazione umana e affidate a piattaforme tecnologiche. Queste sono in grado di incrociare in maniera velocissima, nell’ordine dei milli secondi, abitudini e profilo sociodemografico di una persona, e di erogargli una pubblicità affine ai suoi interessi, selezionando in maniera chirurgica il target ed erogando impression in maniera puntuale. Analisi internazionali dicono che entro il 2017 il 70% delle transazioni avverrà in modalità programmatic nei paesi più avanzati. In Italia siamo più indietro e secondo gli Osservatori del Politecnico di Milano arriveremo al 20% alla fine di quest’anno.Tutti in qualche modo dovranno attrezzarsi.

L’automazione della pubblicità online porta con sé una serie di temi correlati. Il primo è il tema della gestione dei Big Data: servono potenti architetture informatiche, in grado di analizzare grandi moli di dati in tempo reale, e sempre più gli advertiser si stanno attrezzando per costruire piattaforme in grado di incrociare il dato della pubblicità con il loro database proprietario. Bisogna infatti essere in grado di sapere se l’utente a cui viene erogata la pubblicità è già un proprio cliente, incrociando i dati della navigazione con il CRM. È un tema che tocca tutti, sia gli operatori della filiera -i centri media e le concessionarie – sia gli investitori: non solo l’offerta quindi, ma anche la domanda.

La pubblicità online è più efficace di quella tradizionale, ma ci sono anche falsi miti, come l’idea che il target sia raggiungibile al 100% …

È vero, il web ha disatteso la promessa di riuscire a capire in maniera puntuale chi sta di fronte al pc e quali sono i suoi interessi. A livello internazionale, si stima che una “impression” su due non raggiunga il target. È un dato medio, che mette insieme target molto ampi e anche target molto ristretti. Ma prima che noi lanciassimo i nostri servizi di analisi, nel 2012, alcuni operatori sostenevano di essere in grado di erogare pubblicità al 100% in target. Studi puntuali hanno drammaticamente abbassato queste percentuali.

Inoltre c’è il problema delle frodi: più gli scambi avvengono sulle piattaforme elettroniche, svincolati dal controllo umano, più si è soggetti a truffe informatiche, ovvero a traffico non reale. Oggi anche questi elementi possono essere controllati e verificati. In Italia in particolare il fenomeno è ancora molto contenuto, si parla di stime tra l’1e il 2% di traffico non umano. Però il fenomeno è in crescita.

Quali valutazioni vengono effettuate per valutare l’efficacia di un’Adv online?

Ormai gli investitori internazionali richiedono la misurazione delle performance ed è fondamentale dare trasparenza e chiarezza. E nel mercato italiano c’è uno specifico bisogno di definire standard e benchmark. Oggi il gioco è stato svelato e chi investe è molto attento: si è capito che bisogna trovare il modo di discriminare la qualità degli spazi. Ormai sono disponibili metriche che valutano se la pubblicità erogata online è stata effettivamente vista, come la viewability, o il targeting. Chiunque si occupi di pubblicità sa che sono questi i due assi di valutazione: l’opportunità di essere vista e il fatto che sia stata vista dal target giusto. Per esempio un banner su due non viene mai visualizzato perché viene erogato in una posizione di pagina non visibile all’utente.

Oggi si possono fare analisi molto più approfondite che riguardano la qualità della pagina e l’affollamento dei contenuti, e misurazioni qualitative che in futuro miglioreranno di molto il servizio e che saranno sempre più importanti, come la Brand Safety: è la coerenza del contenuto pubblicitario rispetto al contenitore, al publisher che lo ospita. Pensiamo a un brand per bambini pubblicato su una pagina che parla di fatti di sangue,o a una pubblicità di un’auto che va su una pagina dove c’è anche quella di un competitor. Inoltre, c’è una tema di localizzazione: l’impression va erogata nell’area geografica d’interesse. Questo si riesce a fare riconoscendo l’IP di provenienza.

La pubblicità online inizia a essere molto invasiva. Non si temono reazioni del pubblico?

È vero, oggi la pubblicità può essere molto invasiva: sappiamo che dopo aver guardato un prodotto su un sito di eCommerce, fino a che non lo si acquista o anche dopo si continua ad essere bombardati con messaggi su quel prodotto. L’uso crescente dell’AdBlock, che in Italia secondo uno studio Adobe ha raggiunto circa il 13% del mercato, ha iniziato a creare preoccupazioni tra le concessionarie. Come dicevo, serve trasparenza sulle performance dell’Adv online. Se il mercato riuscirà ad applicare un premium price e riconoscere il valore di una impression validata ci sarà anche maggiore efficienza.

Come si stanno attrezzando le aziende italiane?

Dipende. Molti sono in grado di misurare in maniera abbastanza puntuale qual è il ritorno sulle vendite delle campagne che fanno. Per altre, ad esempio le utility, questo non è ancora vero. In generale gli investimenti in pubblicità TV rappresentano ancora la quota maggiore, ma stimare il tasso di conversione è difficile.

Come vede il prossimo futuro?

Cambierà ancora moltissimo nei prossimi anni, con la crescita dell’eCommerce. E l’attenzione sull’advertising online aumenterà quando sarà dimostrata la capacità di convertire l’investimento in una transazione. Negli ultimi anni molti passi avanti sono stati già fatti, e sono cambiati gli interlocutori: del resto, adesso essere digital e social oggi non è più una moda: è una necessità.

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Internet advertising, gli scenari fino al 2018

Dopo la buona crescita dell’internet advertising registrata nel 2014 (+18%), il 2015 per l’Osservatorio New Internet e New Media del Politecnico di Milano sarà un anno di consolidamento e conferma, con un incremento poco sotto il 10%, che avvicinerà il valore complessivo del mercato pubblicitario online ai 2,1 miliardi di euro. I ricercatori del Politecnico hanno provato anche a tracciare i trend delle diverse componenti del mercato pubblicitario da qui al 2018, con un tasso di crescita medio annuo per l’internet advertising intorno all’8% che porterà il peso di internet sul totale mezzi – oggi pari al 27% – a pesare ben oltre il 35%. Secondo l’Osservatorio i principali fenomeni che caratterizzeranno le dinamiche dei prossimi anni sono:

  • un cambiamento nel mix delle componenti del display advertising, con una riduzione del ruolo della banneristica tradizionale e un incremento dei Social network (che raddoppieranno il proprio peso, arrivando a superare il 30% del totale dispaly) e del video advertising (dal 27% del 2014 al 30% del 2018);
  • un ruolo sempre più significativo dei nuovi device che potrebbero pesare quasi la metà dell’intero mercato internet advertising;
  • una sostanziale tenuta del search advertising, che rimarrà circa un terzo del mercato, come nel 2014;
  • una crescita importante degli investimenti sulle piattaforme di programmatic advertising, che nel 2018 si avvicineranno al 40% della pubblicità display, rispetto al 10% del 2014. I trend attesi nei prossimi anni saranno influenzati anche dall’impatto di alcuni temi molto dibattuti nell’ultimo periodo. In particolare:
  • la viewability, ossia la messa a disposizione di strumenti che consentono di misurare la percentuale di impression realmente visualizzate dagli utenti; informazione che potrebbe portare impatti significativi sul valore degli spazi;
  • il native advertising, ossia le forme di pubblicità che, integrandosi perfettamente con il contenuto editoriale, consentono di aumentare l’efficacia degli investimenti e di ridurre la percezione di invasività da parte degli utenti;
  • l’abbattimento delle attuali barriere presenti sul canale Mobile precedentemente citate (formati, metriche di misurazione, tracciamento degli utenti);
  • la velocità con cui le aziende attribuiranno un ruolo centrale allo sfruttamento dei “big data”(dati propri e/o di terze parti) per definire le proprie strategie di investimento, cavalcando così il trend del data-driven advertising;
  • l’integrazione tra Editori e Social Network, che potrebbe portare ad un aumento dei ricavi per entrambi gli attori;
  • lo sviluppo di soluzioni tecnologiche per il tracciamento del comportamento cross-device degli utenti e la costruzione di modelli di attribuzione – sia tra i diversi device, sia tra i diversi player della filiera – per quanto riguarda gli investimenti con obiettivi di performance;
  • lo sfruttamento dei device mobili in mano agli utenti per creare meccaniche pubblicitarie integrate con i mezzi tradizionali, in particolare la TV (second screen advertising), sia in termini di potenziamento del contenuto pubblicitario trasmesso sul grande schermo (fornendo, ad esempio, maggiori informazioni o la possibilità di acquisto immediato di un prodotto), sia in termini di investimento sincronizzato su più mezzi (offline e online).

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Come misurare il ROI: viewability e targeting

Oggi la “viewability” è un concetto molto dibattuto, richiamato anche da Angelini nell’intervista a fianco. Il punto è che solo una parte delle impression vendute è in realtà vista dagli utenti. Secondo il Media Rating Council, un’impression si considera vista (“in-view”) quando almeno il 50% dei suoi pixel è visualizzato per un secondo. Quindi il tasso reale di visualizzazione è inferiore al 100% per due motivi principali: molti utenti lasciano una pagina (aperta magari per sbaglio) prima di un secondo; la finestra del browser può non essere impostata in full-screen. Secondo comScore solo il 47% delle impression è in-view, sia a livello internazionale sia in Italia.

Un altro modo di misurare le performance del messaggio è rilevare l’efficacia del targeting, ossia la percentuale di impression che raggiungono il target di una campagna. Questo indice a livello internazionale è mediamente del 48%, e anche in questo caso l’italia è in linea. Per gli investitori pubblicitari è fondamentale quindi incrociare viewability e targeting per ottimizzare il ritorno delle proprie campagne.

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