Oltre i Big Data

Data-driven marketing, per conoscere il cliente CRM e analytics sono solo il primo passo

Non basta studiare le interazioni tra consumatori e brand, bisogna anche riuscire a contestualizzarle, soddisfacendo l’individuo e cogliendo il “customer life time value” per l’azienda. Lamberti (Politecnico di Milano): «Arricchendo i dati si trasformano le assunzioni di business informali in decisioni formali»

Pubblicato il 12 Dic 2016

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Per gli ingegneri e per gli altri profili tecnici che in azienda collaborano all’identificazione di nuove strategie di marketing è l’avverarsi di un sogno: l’approccio data-driven antepone alla creatività a briglia sciolta – e soprattutto alle decisioni di pancia tipiche di questi processi – l’analisi delle informazioni per avvalorare le assunzioni del business.

Lucio Lamberti, Professore Associato di Multichannel Customer Strategy del Politecnico di Milano e membro di Ph.e.e.l.

Questo tuttavia non significa che gli analytics siano una panacea, né tanto meno che i dati in sé siano sempre e comunque affidabili. Anche laddove contestualizzati e incrociati con fonti differenti, se non vengono opportunamente verificati attraverso il continuo riscontro con il mercato e con la rilevanza che hanno per il consumatore rischiano di essere ambigui. «O addirittura dannosi. Si possono compiere passi falsi, deleteri sul piano reputazionale, persino sfruttando questo tipo di approccio», conferma Lucio Lamberti, Professore Associato di Multichannel Customer Strategy del Politecnico di Milano e membro di Ph.e.e.l., il nuovo laboratorio dell’ateneo dedicato al biomarketing.

Lamberti ha tenuto una relazione sul tema in occasione del workshop «B2c Process Transformation» organizzato il 16 novembre dalla Digital Transformation Academy, il progetto di formazione e condivisione di best practice che la School of Management del Politecnico rivolge alla community dell’innovazione digitale.

Alla ricerca del vero customer life time value

Big e small data, omnichannel e specialmente intimacy. Sono queste per Lamberti le parole d’ordine del marketing digitale in un mondo che è sempre più connesso e che vedrà, entro il 2020, ciascun utente alle prese con una media di quaranta device connessi che rappresenteranno il punto di contatto tra la realtà fisica e la propria vita digitale. «Le tre V dei big data – volume, varietà, velocità – impongono alle organizzazioni che intendono sfruttare questi nuovi asset intangibili una capacità di risposta rapida alle sollecitazioni che arrivano dalle varie piattaforme. Oramai basta poco, soprattutto sui social media, per trasformare un consumatore insoddisfatto in una vera emergenza».

Evitare gaffes e prevenire situazioni potenzialmente rischiose significa imparare a conoscere davvero, e non solo statisticamente, i clienti. Più facile a dirsi che a farsi, visto che si tratta di capire cosa è rilevante per il singolo individuo in un dato momento. Lamberti cita un caso piuttosto emblematico: «Una grande insegna della GDO americana si sentiva così sicura delle informazioni messe a disposizione dal proprio CRM che, nel momento in cui il sistema rilevava una serie ripetuta di acquisti di determinate referenze da parte delle clienti di sesso femminile, generava una notifica che a sua volta attivava un’azione promozionale: secondo la piattaforma, infatti, la possibilità che quelle donne fossero in dolce attesa era altissima, e per premiarle il supermercato inviava loro, direttamente a casa, dei pannolini in omaggio. Solo che in alcuni casi le clienti non erano mai state incinte. O addirittura avevano perso il bambino…»

Questo non vuol dire che non ci si debba affidare alle assunzioni del Customer Relationship Management, ma che bisogna, dopo averle individuate, corroborarle con ulteriori dati che arrivano anche dalle interazioni degli utenti con i propri device e con il contesto in cui si inseriscono. «È necessario avviare processi di data mapping e data setting per procedere poi con operazioni di data fusion, mettendo a fattor comune il budget destinato alle ricerche di mercato e il CRM. Attraverso questi percorsi», continua Lamberti, «si sostanziano le strategie e si trasformano le assunzioni di business informali in decisioni formali. Dando al cliente ciò che si aspetta davvero, il suo livello di soddisfazione aumenta e di conseguenza cresce anche il customer life time value per l’azienda».

Il cliente ha sempre ragione? Sì, se porta valore al business

Lamberti cita un altro esempio, stavolta dal mondo dell’automotive. «Parliamo di un costruttore specializzato nell’alto di gamma. Il marketing aveva riscontrato che in alcuni casi i clienti che passavano dal modello entry level, un otto cilindri, alla vettura di fascia superiore, un 12 cilindri, dopo l’upgrade abbandonavano il marchio». Al marketing pareva un chiaro problema di prodotto non performante. Agli ingegneri che avevano progettato la 12 cilindri, non risultava. Per risolvere il mistero sono servite una piattaforma machine learning e l’integrazione dei dati ottenuti dai sistemi di telemetria delle vetture in questione. «È emerso che i clienti insoddisfatti si contraddistinguevano per una guida con angoli di sterzo più accentuati e un piede pesante rispetto alla media. In una parola, non sapevano gestire una vettura più potente e la frustrazione degenerava nell’abbandono. La casa automobilistica ha così predisposto una contromisura ad hoc, offrendo un corso di guida sportiva a chiunque acquistasse una supercar a 12 cilindri».

Ma il data-driven marketing non va usato solo per rendere effettiva l’affermazione che il cliente ha sempre ragione. In molti casi non ha senso, dal punto di vista del business, mantenere rapporti con chi è attitudinalmente infedele.

«A quel punto la domanda da porsi diventa: è giusto acquisire tali prospect?», rilancia Lamberti. «La risposta è sì, se siamo in grado di stimare che quell’acquisizione sarà in grado di generare ritorni per l’impresa. E per fare ciò è necessario sviluppare sistemi predittivi del customer lifetime value, naturalmente adattivi e dinamici, in grado di modificare le previsioni sulla base dei comportamenti dei clienti. E’ il grande passo verso un lean marketing, ovvero un marketing in cui tutte le risorse sono veicolate a creare valore per il cliente che è in grado di riconoscere e restituire tale valore. A prescindere dall’approccio adottato», conclude Lamberti, «per conoscere il cliente servono big e small data, purché siano smart data, ovvero capaci di fornire grandi informazioni. E perché questo avvenga, è fondamentale che si realizzi una partnership sempre più stretta tra CIO e CMO».

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