Software di seconda mano

Impresa e PA, come rendere il software usato un’opportunità

La compravendita di licenze già possedute da terzi è legale, come ha decretato la Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 3 luglio del 2012. Oggi le aziende possono cedere un prodotto non più in uso e acquistare software di seconda mano, potendo scegliere nuove economia di scala, estremamente più interessanti. Il punto di Gabriele Faggioli, giurista e partner di P4I

Pubblicato il 08 Mar 2016

Fatturazione-elettronica-nella-PA

Il mondo del software proprietario vive oggi una vera e propria trasformazione, rilevante al pari di altri trend di mercato, come l’open source, il Software as a service e il Cloud Computing. Un rinnovamento rispetto al potenziale dell’offerta viene dall’apertura anche in Italia del mercato del software usato: è così che si può estrarre valore dalle immobilizzazioni in software di un’azienda, trasferendole al mercato dei prodotti usati.

Secondo uno studio pubblicato nel gennaio 2015 da Osterman Research, infatti, è il 28% delle organizzazioni a conoscere lo shelfware: più che un fenomeno è un problema perché riguarda il software acquistato e poi inutilizzato in azienda. I motivi possono essere diversi: può essere per effetto di un cambio di sistema informatico, di operazioni straordinarie (come le ristrutturazioni societarie o delocalizzazioni di attività produttive), di procedure concorsuali o anche solo semplici cessazioni dell’attività d’impresa, piuttosto che per la semplice necessità di acquistare delle licenze, legate a un license audit.

Le cose però oggi sono cambiate perché le imprese possono cedere un prodotto non più in uso e acquistare software di seconda mano, potendo scegliere nuove economia di scala, estremamente più interessanti. Conoscere l’esistenza di questa possibilità e le condizioni alle quali le operazioni di cessione possono avvenire in tutta sicurezza costituisce un’alternativa in più tra le possibili strategie aziendali in materia di approvvigionamento delle risorse informatiche e gestione delle risorse finanziarie.

Software usato: cosa dice la normativa europea

Già nel luglio del 2012 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa sul tema della protezione del software, dichiarando legittima la compravendita di licenze d’uso già possedute da soggetti terzi rispetto al produttore (da qui il termine usate). Nello specifico, ha stabilito che l’autore di un programma per elaboratore non può opporsi alla rivendita delle licenze usate, ossia già possedute da terzi, affermando il principio che il diritto esclusivo di distribuzione della copia di un programma per elaboratore, coperta da licenza d’uso a tempo indeterminato, si esaurisce con la prima vendita. Ogni successivo acquirente della copia di un software costituisce, quindi, un legittimo acquirente e può installare il prodotto che gli è stato venduto, anche se da un soggetto terzo, edutilizzarlo nei limiti delle condizioni originali di licenza o rivenderlo a propria volta. E le ricadute per le aziende che decideranno di accedere al mercato del software usato sono decisamente positive:

  • liberare risorse finanziarie attraverso la vendita di prodotti non più utilizzati;
  • risparmiare sull’acquisto di licenze;
  • ottimizzare i flussi di cassa, consentendo il meccanismo della permuta per regolare parte dell’acquisto delle licenze con la cessione di prodotti non più utilizzati;
  • accedere, a parità di costo, a prodotti software di gamma più alta rispetto a quelli alla portata della capacità di spesa del cliente.

Software di seconda mano: ecco gli antefatti

A cambiare le normative in merito alla compravendita del software sono stati diversi fattori concomitanti, a partire dalla progressiva penetrazione delle tecnologie digitali.

“La digitalizzazione delle opere dell’ingegno e la creazione di supporti per la loro fruizione dotati di memoria propria – spiega Gabriele Faggioli, giurista e partner di P4I – hanno fatto sì che le opere tutelate dal diritto d’autore possano essere cedute anche a prescindere da una loro incorporazione su supporto fisico tangibile, facendo in tal modo emergere una serie di problematiche in ordine alla transizione dai tradizionali schemi negoziali a nuove forme di commercializzazione attraverso la Rete. La questione è giunta al centro del dibattito tra gli addetti ai lavori, a seguito della diffusione, principalmente sul mercato tedesco e svizzero, di modelli di business aventi ad oggetto la commercializzazione di licenze d’uso di programmi software di seconda mano. Tale pratica è stata definitivamente legittimata per effetto della pronuncia C-128/11 emanata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 3 luglio 2012 la quale, in occasione della controversia che ha opposto la nota software house Oracle alla Usedsoft, società tedesca operante sul mercato del software second hand, si è pronunciata a favore della legittimità della cessione di copie usate di programmi per elaboratore. La Corte ha, infatti, stabilito che il contratto di licenza d’uso a tempo indeterminato, in virtù del quale il licenziante cede al licenziatario i diritti di utilizzo sul proprio programma, senza limiti di durata e a fronte della corresponsione di un prezzo unitario, corrisposto una tantum e costituente la remunerazione dell’operazione negoziale posta in essere, deve in realtà essere qualificato come “vendita”, vale a dire come un negozio giuridico volto a trasferire il diritto di proprietà sulla specifica copia del programma per elaboratore oggetto di accordo. Tale operazione negoziale, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2, Direttiva 2009/24, dà luogo ad esaurimento del diritto di distribuzione – vale a dire il diritto di controllare i successivi passaggi di proprietà sul programma –  spettante per legge al titolare dei diritti d’autore sul software, il quale non potrà pertanto impedire od ostacolare la rivendita delle copie del programma legittimamente compravendute.

In sintesi, la sentenza della Corte dell’Unione Europea ha adottato un’interpretazione particolarmente ampia della nozione di vendita, sancendo il principio per cui non può attribuirsi rilevanza alla qualificazione giuridica assegnata al contratto dalle parti, né alle clausole contrattuali pattiziamente stabilite, dovendosi piuttosto aver riguardo ai concreti effetti prodotti dall’operazione negoziale.

Per approfondire il tema è possibile consultare il white paper redatto da P4I – Partners4Innovation, la società del Gruppo Digital360 che offre servizi di Advisory e Coaching a supporto della Trasformazione Digitale e dell’Innovazione aperta e Imprenditoriale di imprese e Pubbliche Amministrazioni.

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