INTERVISTA

Ideal Standard, «digitale decisivo per ripensare anche i business più tradizionali»

«Grandi benefici, non solo di customer service e di visibilità nella value chain, ma anche di capillarità nella copertura di esigenze di nicchia e locali». Eugenio Cecchin, Amministratore Delegato in Italia, racconta l’impatto della digital transformation sulla multinazionale e su tutto il settore arredobagno, che in Italia vale 2,6 miliardi

Pubblicato il 03 Feb 2017

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«Le tecnologie digitali sono imprescindibili. Personalmente per esempio sono un fautore del “paperless”, uso evernote per tutto, dai memo alla compilazione della nota spese. Più in generale, sul piano del business, l’efficienza è una chiave di competitività decisiva, e l’efficienza oggi dipende in gran parte dall’adozione di tecnologie digitali, così come la collaborazione nell’ecosistema intorno all’azienda. Penso che la prossima frontiera in un business come il nostro sia integrare in una piattaforma digitale tutta la value chain del prodotto, dall’ideazione all’installazione e utilizzo, coinvolgendo produttore, installatore e utente finale».

Queste parole di Eugenio Cecchin, Amministratore Delegato di Ideal Standard, sintetizzano chiaramente la sua visione della trasformazione digitale, che ci ha spiegato in questa intervista, approfondendone gli impatti sull’azienda che dirige, e sul relativo settore (sanitari e rubinetteria per il bagno), che in Italia vale 2,6 miliardi in termini di produzione.

Quali caratteristiche secondo lei definiscono meglio Ideal Standard oggi?

Sicuramente il “made in Europe” e la qualità. Ideal Standard è una multinazionale europea: i 18 siti produttivi – di cui due in Italia – sono tutti nel nostro continente, e l’Italia è il terzo mercato in fatturato, e quindi molto strategico. Questo concetto di “made in Europe” è particolarmente importante, in un mercato dove la concorrenza proviene soprattutto da prodotti importati da paesi a basso costo del lavoro. Produrre in Europa quindi comporta costi più alti, ma Ideal Standard vive la qualità con “devozione”, la controlla direttamente lungo tutto il processo produttivo, e punta sulla sua massimizzazione come vantaggio competitivo, sia nei prodotti ceramici che nella rubinetteria, che in particolare è progettata e prodotta in Germania.

In questo scenario, quali sono i principali sistemi informativi che supportano il business aziendale?

Li raggrupperei in tre principali aree tematiche. C’è la parte ERP che è il “motore” dell’azienda, e comprende anche la parte di gestione e schedulazione della produzione, il CRM, e la reportistica, tutte soluzioni SAP. Secondo mondo è la produttività individuale e collaborazione (basata su soluzioni Microsoft). Poi il terzo ambito è la progettazione e produzione industriale, basata soprattutto su soluzioni PTC.

Quali sono gli impatti più tangibili della digitalizzazione in un business così tradizionale come il vostro?

Un esempio viene da un recentissimo progetto, una soluzione Cloud (basata su SAP HCP, Hana Cloud Platform, di cui in questo articolo abbiamo raccontato altri due casi italiani, ndr) sviluppata con Altevie, che dà informazioni sui prodotti presenti sul territorio: in quale negozio o showroom si trova un certo prodotto, quale distributore è in attesa di un ordine urgente, eccetera.

L’esigenza era di rendere più fluido e veloce il processo di vendita, con integrazione delle fasi del ciclo dell’ordine fino alla logistica. L’applicazione permette di consultare su un’interfaccia molto intuitiva tutti i flussi informativi di gestione delle commesse, come engineering, procurement, contracting.

È indirizzata quindi prima di tutto alla rete di vendita, ma la estenderemo anche a scenari B2B e B2C: architetti e tecnici potranno progettare e visualizzare in uno showroom virtuale un’ambientazione mantenendo il controllo di costi sui capitolati ed eventuali criticità tecniche, e passare direttamente agli ordini senza passaggi intermedi.

Come valutate i ritorni di soluzioni di questo genere?

Di certo hanno molti vantaggi, anche se difficilmente quantificabili. Uno è la rapidità: parliamo di progetti della durata di 8-10 settimane. Poi il software- as-a-service risolve due grandi problemi che avevo da utente di sistemi “on premise”: la scalabilità e gli upgrade di versione periodici. Inoltre c’è la possibilità di sviluppare internamente anche applicazioni di nicchia che interessano solo a noi. Ma soprattutto c’è il costo-opportunità. Quanto ci rimetteremmo se non avessimo ora questa applicazione? A volte il “non cambiamento” comporta costi altissimi.

Quali miglioramenti competitivi può portare il digitale nel breve periodo nel vostro settore?

Me ne vengono in mente due: personalizzare il customer service, e poter “vedere” come produttore i livelli di stock presso i distributori e nei vari canali. Nel primo caso parliamo di sistemi che identificano il chiamante e permettono al customer service di rispondere in tempo reale e addirittura di proporre soluzioni e promozioni ad hoc, capire i problemi prima che vengano posti. Questo chiaramente può dare forti ritorni in termini di livello di soddisfazione e fidelizzazione del cliente.

Nel secondo caso il digitale può aiutarci a “esportare” trasparenza e collaborazione oltre i confini aziendali, nella supply chain. Nel nostro settore oggi il problema è che non si sa mai dov’è il prodotto, e quindi quanto tempo ci vuole a farlo arrivare al cliente finale. Se riuscissimo a dare visibilità sullo stock complessivo disponibile, grazie all’integrazione informativa con i distributori e i vari canali, il cliente finale potrebbe, attraverso l’installatore (idraulico, impresa di costruzioni, ecc.), avere queste informazioni. Questo migliorerebbe non solo i livelli di servizio, ma anche l’efficienza nella filiera, nel senso che potrò produrre solo quello che serve, con risparmi su energia, materie prime, lavoro, minori sprechi e benefici anche per l’ambiente.

Ideal Standard è una multinazionale. Quale autonomia ha la filiale italiana nel decidere dei progetti di digitalizzazione?

Non sono il decisore finale, però gioco un ruolo di “influencer”, che a volte è il più interessante. Con le nuove tecnologie, come influencer posso sponsorizzare lo sviluppo di un’applicazione di nicchia, locale, e favorire una copertura delle esigenze molto più capillare di quella tradizionale, che prevede la richiesta dello sviluppo dalla multinazionale cliente alla multinazionale del software, con priorità stabilita dalla “massa critica” delle richieste provenienti da tutto il mondo. Per esempio, qui in Italia abbiamo sviluppato una app per il controllo della qualità espositiva negli showroom, nata da un’esigenza tipicamente italiana.  Con l’iter tradizionale questo sviluppo non sarebbe stato possibile. Invece con il nuovo approccio “bottom up”, con poche risorse siamo riusciti a sviluppare una app tarata sulla nostra esigenza, ma che è facilmente scalabile, e che ha avuto tale successo che è stata adottata anche in altri paesi.

In questo periodo si parla molto di Industria 4.0, e specialmente di IoT (Internet of Things) nei settori manifatturieri. Quale sarà l’impatto sul vostro mercato?

Nel nostro business non ha molto senso parlare di manutenzione predittiva, come in altri settori del manufacturing. Chiaramente è importante impegnarsi perché l’impianto produttivo non sprechi e non inquini, ma per quanto riguarda il materiale su cui lavoriamo, la ceramica, è “green” per definizione. È naturale e inerte, non contiene contaminanti, dura decenni, resiste ad altissime e basse temperature.

Ha più senso invece parlare di IoT in termini di efficienza idrica. Il nostro settore si basa sulla risorsa più preziosa della Terra, l’acqua. L’IoT ci aiuterà a misurare esattamente l’uso dell’acqua, e attraverso questo “water metering”, a essere più efficienti come filiera e a preservare meglio l’ambiente.

Noi abbiamo inventato una tecnologia di risciacquo, AquaBlade, che utilizza solo 2 litri d’acqua: meno della metà dei prodotti più efficienti sul mercato. Il produttore può arrivare al massimo qui. Il passo successivo è il rubinetto intelligente che decide quanta acqua far passare, la temperatura ottimale, eccetera. E quello ancora successivo è coordinarsi con il produttore della caldaia, il produttore delle tubazioni e così via, in modo da ottimizzare l’efficienza dell’intero impianto.

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Un marchio con profonde radici in Italia

«Ideal Standard ha profonde radici in Italia: molti sono convinti che sia un marchio italiano, e in effetti nasce dalla fusione di Ideal, che è in Italia dal 1909 e produceva caldaie e radiatori, e Standard che a Brescia produceva sanitari», ci spiega l’AD Eugenio Cecchin. Oggi in realtà Ideal Standard è una multinazionale con sede in Belgio e attività in tutta Europa, con 18 siti produttivi di cui due in Italia: Trichiana (Belluno) e Roccasecca (Frosinone), che fa capo a Bain Capital e Anchorage Capital. «I marchi multinazionali sono Ideal Standard e Jado, quelli locali sono Ceramica Dolomite (Italia), Porcher (Francia), Armitage Shanks (UK), Vidima (Est Europa), il fatturato è di circa 800 milioni di euro, di cui 100 in Italia, che è il terzo mercato per dimensioni, mentre la forza lavoro conta 9500 persone di cui 1300 in Italia».

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