Scenari

Cinque punti di intervento per il pieno decollo della Mobile Health

I modelli di assistenza basati sul monitoraggio a distanza dei pazienti attraverso dispositivi mobili promettono grandissimi benefici sia in termini di riduzione dei costi per il sistema sanitario che in termini di miglioramento dei servizi. Ma criticità come privacy, sicurezza, normativa, quantificazione di costi e vantaggi vanno affrontate per permettere una diffusione capillare del modello

Pubblicato il 20 Mar 2015

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La Mobile Health o “m-health” è come noto un modello di assistenza socio sanitaria innovativo, realizzato attraverso device mobili quali cellulare, smartphone, dispositivi di monitoraggio dei pazienti, personal digital assistant e altri dispositivi wireless.

L’obiettivo è monitorare i pazienti da remoto e applicare ai dati ricavati tecnologie analitiche per la diagnostica, riuscendo così a centrare meglio l’assistenza sanitaria sul paziente, aumentare le sue capacità di auto-gestione delle cure e dell’infermità, e ovviamente ridurre il numero di posti letto negli ospedali, nel contempo migliorando la gestione della malattia – anche in termini di monitoraggio a distanza nelle aree meno presidiate (zone rurali, montane, isole) – e la conformità con i regimi di trattamento sanitario.

Un modello che ha quindi il potenziale per rivoluzionare l’assistenza sanitaria, alleviando le pressioni sistemiche sul settore attraverso riduzioni di costi e nel contempo miglioramenti della qualità del servizio.

Sull’argomento recentemente si è soffermato Gregorio Cosentino, Vice Presidente di CdTI (Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione), in un articolo su “Agenda digitale”, approfondendo in particolare gli ostacoli principali alla diffusione capillare della m-health.

Esaminando le esperienze di assistenza remota a persone anziane o ammalate in diversi paesi Europei, scrive Cosentino, si possono dedurre i principi e le linee guida che caratterizzano le soluzioni di Mobile Health. Gli strumenti devono essere semplici da usare, ergonomici e non invasivi: in poche parole i pazienti devono essere già abituati a usarli o in grado di abituarsi molto in fretta. Inoltre devono avere livelli altissimi di affidabilità e disponibilità, riducendo ovviamente al minimo la necessità di interventi tecnici. E infine devono essere efficienti, anche in termini di dati inviati ai sistemi di controllo.

Secondo varie ricerche e indagini, i pazienti concordano che l’m-health migliorerà la qualità e i costi dell’assistenza sanitaria, ma l’opinione comune è che esistono ancora vari ostacoli da superare per arrivare a una significativa diffusione di queste soluzioni.

Al proposito Cosentino cita una recente Consultazione pubblica della Commissione Europea sul tema Mobile Health, da cui emerge che la privacy e la sicurezza dei dati, la sicurezza del paziente, un quadro giuridico chiaro e migliore, una chiara evidenza del rapporto costo-efficacia, e l’interoperabilità e standardizzazione delle soluzioni tecnologiche sono tutti fattori necessari per aiutare questo modello innovativo a svilupparsi in Europa.

211 risposte da parte di autorità pubbliche, operatori sanitari, organizzazioni di pazienti, e imprenditori web, dentro e fuori l’Unione europea, hanno dato feedback su undici questioni relative alla diffusione di mHealth nell’UE.

Mentre recenti statistiche confermano che le iniziative nazionali e comunitarie di finanziamento stanno dando buoni frutti e che l’Europa è destinata a diventare il più grande mercato entro il 2018, l’indagine indica che molto resta da fare perché gli imprenditori europei possano accedere efficacemente a questo mercato in forte espansione.

Quasi la metà degli intervistati ritiene che strumenti potenti per la gestione della privacy e della sicurezza (come i meccanismi di crittografia dei dati e autenticazione) sono necessari per costruire la fiducia degli utenti. Molte sono le richieste di un rafforzamento delle norme per la protezione dei dati, ma alcuni avvertono contro i rischi di un’eccessiva regolamentazione. Gli imprenditori Web da parte loro considerano difficile l’accesso al mercato a causa della mancanza di un chiaro quadro normativo, l’interoperabilità e criteri di qualità comuni.

Quanto alle evidenze sul rapporto costo-efficacia, nell’indagine si cita uno studio su alcune sperimentazioni nei paesi nordici secondo cui m-health può generare una riduzione del 50-60% delle notti in ospedale e delle ri-ospedalizzazioni per i pazienti con malattia polmonare ostruttiva cronica, e una riduzione della spesa complessiva di assistenza agli anziani del 25%.

Gli intervistati hanno inoltre suggerito che l’UE e i singoli Paesi dovrebbero garantire l’interoperabilità delle soluzioni m-health con cartelle cliniche elettroniche (EHR) per la continuità delle cure e per scopi di ricerca. Inoltre viene auspicata una maggior enfasi sulla promozione di standard aperti e sull’uso di comuni architetture e Application Programming Interfaces aperte. Operatori sanitari, badanti e utenti dovrebbero essere coinvolti attivamente nella co-progettazione delle soluzioni mHealth.

Come prossimi passi, la Commissione, nel corso del 2015, discuterà con le parti interessate le opzioni di politica (legislazione, autoregolamentazione o co-regolamentazione, ecc) più opportune da intraprendere. Una serie di azioni a sostegno dell’m-health sono già previsti nell’ambito del programma Horizon 2020 e saranno prese in considerazione nei futuri programmi di lavoro.

«Sottolineo comunque – conclude Cosentino – il pericolo di utilizzare App e device che non rispettano i criteri di appropriatezza del dato misurato (per esempio fornendo misure non accurate della frequenza cardiaca, come avviene per alcuni braccialetti di ultima generazione che vanno di moda); questo a mio avviso diventerà presto un punto critico della m-health». Inoltre il rischio è di sottovalutare i parametri sanitari, considerando “una moda” come altre il fatto di poterli monitorare con App sviluppate per lo più in ottica di fitness. «Una maggior consapevolezza delle proprie condizioni fisiologiche è sicuramente positiva, ma solo se i dati sono presidiati da personale sanitario, evitando la velleità di fare i medici di se stessi».

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