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Working Capital, nelle filiere italiane 559 miliardi da finanziare: come il digitale può aiutare

Nelle supply chain il tempo medio di pagamento dei fornitori è 137 giorni. Le imprese ricorrono all’esterno solo per un euro su 4, con strumenti come anticipo fattura e factoring. L’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano: c’è un mercato enorme per soluzioni innovative. «Il solo rating finanziario è fuorviante senza un rating “operativo”»

Pubblicato il 28 Mar 2017

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«La ricerca di quest’anno evidenzia un cambio radicale nello sviluppo del mercato del credito di filiera in Italia. Cambio che, più che nei numeri, si manifesta nelle evoluzioni normative favorevoli, nell’ingresso di nuovi player e startup, e nell’emergere di nuove soluzioni e di tecnologie abilitanti, come Blockchain o Big Data». Con queste parole Stefano Ronchi ha aperto qualche giorno fa il convegno di presentazione del report 2017 dell’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano, di cui è Responsabile Scientifico.«Si tratta della quarta edizione dell’Osservatorio: il nostro obiettivo è studiare e promuovere le soluzioni per finanziare il capitale circolante che fanno leva sul ruolo di un’impresa all’interno della filiera, oltre che sulle caratteristiche economiche e finanziarie».

Un tema estremamente attuale, visto che queste soluzioni sono la risposta a un mercato potenziale di 559 miliardi di euro, che è il totale dei crediti commerciali delle imprese italiane. «Si sa che la necessità di finanziare il capitale circolante è un problema strutturale soprattutto in Italia, dove il tempo medio di incasso dei crediti commerciali (DSO) è di 78 giorni contro una media europea di 47, e peggiora ulteriormente per le piccole imprese (94 giorni), e le microimprese (115 giorni), che sono la grandissima parte del tessuto economico e delle filiere industriali», ha spiegato Federico Caniato, Direttore dell’Osservatorio.

«In Italia tutte le condizioni per lo sviluppo del Supply Chain Finance»

Le soluzioni di Supply Chain Finance (fonte: Osserv. Supply Chain Finance, Politecnico di Milano)

Discorso analogo sul fronte dei tempi di pagamento dei debiti verso i fornitori (DPO): in Europa la media è 65 giorni, in Italia oltre il doppio (137 giorni), con punte di 165 giorni nelle piccole imprese.

Nonostante questo, al momento solo il 26% di quei 559 milioni è servito da soluzioni di finanziamento, che in larghissima parte sono tradizionali: l’anticipo fattura (finanziamento delle fatture non ancora riscosse), che vale 87 miliardi di euro, e il factoring, la cessione di crediti commerciali a operatori terzi, che vale 57 miliardi.

Stentano a decollare invece le soluzioni più innovative di Supply Chain Finance (SCF), come la carta di credito virtuale per la gestione semplificata dei pagamenti tra buyer e supplier, l’inventory finance (finanziamento delle scorte attraverso una linea di credito), l’invoice auction (asta digitale per investire nelle fatture), e il dynamic discounting (pagamento anticipato a fronte di uno sconto proporzionale ai giorni di anticipo).

I ricercatori però sono ottimisti. «Se le imprese italiane riusciranno a operare come network di sistema e non come entità singole, il contesto italiano presenta tutte le condizioni per lo sviluppo del Supply Chain Finance», ha sottolineato Alessandro Perego, Direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation.

Nell’edizione di quest’anno l’Osservatorio, oltre a quantificare il mercato SCF come abbiamo visto, ha approfondito altri quattro temi. Di due – quantificazione di costi e benefici di diverse soluzioni di SCF, e modelli operativi per la scelta della soluzione più adatta alla propria filiera – parleremo prossimamente con articoli ad hoc.

Si affacciano in Italia le piattaforme fintech

Quanto agli altri due obiettivi, uno è l’inquadramento dei principali modelli d’offerta di soluzioni SCF in Italia. In questo campo ci sono due tipi di attori: i finanziatori veri e propri, e i fornitori delle eventuali infrastrutture/piattaforme ICT sui cui i finanziamenti vengono erogati. Il problema è che, anche per la domanda di SCF ancora immatura, sono quasi solo i grandi gruppi bancari a mettere a disposizione piattaforme digitali. L’Osservatorio infatti ha accertato che in Italia la stragrande maggioranza dei primi, perlopiù banche e factor (intermediari finanziari) locali, eroga il servizio senza sfruttare una piattaforma dedicata.

Le piattaforme disponibili e più utilizzate in Italia sono “chiuse” e abilitano una relazione univoca tra impresa cedente e provider di finanziamento. Ma le grandi banche internazionali stanno introducendo in Italia proposte di finanziamento “Supply Chain Finance” innovative, sfruttando piattaforme fintech in modalità “open finance” (piattaforma customizzata sulle esigenze di una specifica azienda cliente, con un numero limitato di provider di  finanziamento) e “double open” (piattaforma aperta sia in termini di imprese cedenti che di provider di finanziamento, che fa incontrare domanda e offerta) emergenti a livello europeo, tra cui Demica, Primerevenue, Kyriba.

Costi vivi di 2 milioni di euro per sostituire 12 fornitori falliti

Infine un altro cruciale obiettivo dell’Osservatorio SCF 2017 è incoraggiare una valutazione più ampia del merito creditizio delle imprese di filiera: «È necessario un approccio che vada oltre i parametri finanziari, integrando anche indici di performance operativa – spiega Caniato -. Questo può dare un’idea molto più realistica dello stato di salute dell’impresa e del suo ruolo nella filiera, permettendo al mondo finanziario di anticipare situazioni di sofferenza, e anche di cogliere il potenziale di aziende finanziariamente deboli ma meritevoli di sostegno».

Qui Caniato ha citato ad esempio il caso di un’impresa capofiliera che ha analizzato gli ultimi 15 fallimenti di suoi fornitori nel 2015: «Per ben 12 di essi sia la funzione Acquisti sia la funzione Qualità avevano riscontrato cali di performance, e la funzione Finance tassi di saturazione delle linee di credito oltre l’85%. Sostituire questi fornitori ha avuto per l’azienda un costo vivo di 2 milioni di euro».

L’Osservatorio però è andato ben oltre il singolo caso, incrociando i dati di rating finanziario e quelli di rating operativo (basati su indici di prestazioni di puntualità, qualità, conformità, costi ecc.) di 143 imprese italiane variegate sia per dimensione sia per fatturato, nel periodo 2009-2015, scoprendo che per ben il 40% del campione i due rating sono discordanti: quello finanziario è alto e quello operativo basso, o viceversa. Un risultato che oltretutto è valido per imprese di qualunque dimensione.

Il problema quindi è soprattutto di quella rilevante percentuale (dal 35% delle grandi aziende al 28% delle piccole) che hanno livelli alti di valutazione dei loro clienti sulle prestazioni operative, ma basso rating finanziario, e quindi difficoltà nell’accesso al credito.

Mediamente quindi ben un terzo delle aziende industriali trarrebbe beneficio da una valutazione integrata di performance operative e finanziarie. «Una base di partenza c’è già: molte imprese industriali hanno sistemi di vendor rating, spesso supportati da appositi software o dagli ERP aziendali, e quindi con informazioni già digitalizzate e aggiornate regolarmente, che integrano appunto le prestazioni operative e alcuni indici di stabilità finanziaria».

Ce ne sono diverse anche nel campione analizzato dall’Osservatorio, ha precisato Caniato. «Ma nessuna oggi scambia in modo strutturato queste informazioni con le banche per facilitare l’accesso al credito dei propri fornitori: è auspicabile più collaborazione, perché condividere tali informazioni in modo diffuso, trasparente e tempestivo contribuirebbe a migliorare la competitività dell’intera filiera».

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