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Enel, dalle startup nuova linfa per innovare

Ernesto Ciorra, da quasi un anno Head of Innovation and Sustainability dell’azienda energetica, spiega l’approccio che punta a rompere schemi consolidati: «Coinvolgere attori esterni nel processo di innovazione ci aiuta a pensare diversamente e ad essere più veloci nel realizzare in maniera diversa le cose».

Pubblicato il 13 Lug 2015

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Ernesto Ciorra, Head of Innovation and Sustainability di Enel

Per rompere i paradigmi esistenti e cercare di uscire dalle regole che ormai da anni dominano conoscenze e competenze in azienda, Enel ha avviato un processo di apertura verso nuove modalità di gestione dell’innovazione. «Coinvolgiamo attori esterni nel processo di innovazione, tra i quali le startup, dice Ernesto Ciorra, da quasi un anno Head of Innovation and Sustainability dell’azienda: ci aiutano a pensare diversamente e ad essere più veloci nel realizzare in maniera diversa le cose che noi non riusciamo a fare. È come se una persona con mani molto grandi cercasse di digitare su tasti molto piccoli senza riuscirci: ha bisogno di farsi aiutare da una persona con mani più piccole».

Per poter dare valore a prodotti e servizi innovativi, tecnologici e non, è quindi necessario strutturare una relazione con aziende piccole con grandi idee, ma anche con università di eccellenza nei temi dell’innovazione e con i partner tradizionali, nonché con i diretti competitor. Nel primo caso Enel ha richiesto e ottenuto dei fondi dalla Comunità Economica Europea per il supporto alle startup nell’ambito dell’energia, con i quali ha potuto avviare progetti in collaborazione con le startup, in cui l’azienda non investe capitali propri e non chiede brevetti o esclusive, ma dedica grande impegno e risorse per la gestione dell’intera struttura. «Abbiamo già finanziato 18 startup, ma ne stiamo cercando altre 42 startup. Abbiamo avuto risposte da 250 aziende, di cui una ventina sono italiane e le altre si trovano in Europa e Israele», commenta Ciorra.

Ma le startup non bastano, è necessario lavorare con tutti gli attori esterni all’azienda, anche con i propri competitor, come nel caso di Tesla per Enel. Ci sono poi i fornitori tradizionali, con cui non è facile gestire il rapporto, ma che certamente richiedono una vicinanza fisica per lavorare concretamente insieme: «nel nostro caso alcuni fornitori sono in Corea e altri negli USA, e noi stiamo mandando dipendenti a lavorare con loro, perché per fare co-innovation è necessario lavorare davvero insieme».

Per una gestione illuminata dei partner esterni è richiesta una strutturazione organizzativa interna ad hoc. «Non bisogna provare a fare innovazione, bisogna farla e basta, impiegando risorse e denaro. E spesso questo commitment deve venire direttamente dall’Amministratore Delegato dell’azienda e, in seconda battuta, dal Direttore Acquisti; la cultura degli attori dell’azienda innovativa è fondamentale. Al momento Enel ha 3 accordi con venture capital, ma punta ad aumentare fino a 5 per un totale di 2 miliardi di dollari disponibili; sul tema delle startup lavorano circa 80 persone; abbiamo poi risorse assegnate alle università e ai centri di ricerca; e altre ancora dedicate a piattaforme digitali per la gestione di clienti, dipendenti e fornitori. In questo modo riusciamo ad avere un presidio globale dell’innovazione».

È però necessario dialogare anche con gli attori interni, obiettivo che Enel svolge attraverso 20 persone dedicate in Italia e altrettanto numerose nei diversi Paesi d’azione dell’azienda. Il presidio di innovazione è presente anche nelle diverse Line of Business, per un totale di 500 persone e circa 110 milioni di dollari investiti ogni anno, esclusi gli investimenti nei venture capital. «Abbiamo inoltre pensato a quei business che non rappresentano per ora dei trend di investimento, come per esempio le smart home. Solo in questo modo è possibile per Enel, e con metodologie simili anche per altre aziende, fare innovazione. Si tratta di un passo fondamentale da compiere per entrare nella logica del cambiamento ed evitare gli effetti distruttivi dell’innovazione disruptive», conclude Ciorra.

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