Business Process Management

DSS, sistemi esperti al servizio di CFO e controller per una gestione davvero real time

I manager non riescono a valutare in modo oggettivo ciò che succede all’interno dei processi perché usano spreadsheet pieni di dati consuntivi. Grazie ai Decision Support System invece possono avere una visione completa del business e capire i costi di un mancato intervento correttivo. Come e perché lo spiega Mauro Vassena, CEO di Business Brain

Pubblicato il 20 Lug 2017

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Che cosa fa un sistema di Business Process Management? Che differenza c’è tra un BPM, un sistema di Data Process Management e uno di Corporate Performance Management?

Per quanto si parli da più di vent’anni di soluzioni per il supporto ai processi decisionali, le piattaforme di DSS (Decision Support System) sono ancora oggetto di molta confusione.

Al di là degli acronimi, dei modelli analitici e dei vari software di simulazione, tra sistemi esperti e criteri di estrazione, CFO e controller sono i primi a non fidarsi del tutto dei sistemi e dei risultati.

Gli analisti di KPMG raccontano come il 77% dei manager non sia confidente della qualità dei dati su cui si basano le loro decisioni. Il motivo? Fondamentalmente è la paura di cambiare, riconoscendo il valore, la velocità e la varietà portati dall’intelligenza e dall’innovazione informatica.

Non è vero che l’innovazione è un problema di costi

Oggi, dicono gli esperti, non sono più i costi delle tecnologie associate al Decision Support System a frenare adozione e sviluppo. Sono le vision. C’è molta, troppa reticenza da parte di chi deve scegliere una nuova soluzione che consenta al business di viaggiare attraverso gli smart data. È difficile spiegare che esistono strumenti di ultima generazione che permettono di raggiungere in fretta risultati reali, basati su piani di fattibilità monetizzabili e concretamente misurabili, processi trasparenti che consentono ai manager di avere sempre sott’occhio punti di forza e criticità, traduzioni di costo di ogni decisione non intrapresa, con una precisa valutazione della gerarchia dei rischi.

A raccontarlo è Mauro Vassena: un’anima da ingegnere prestato al mondo finanziario, con una ricchissima esperienza professionale che, in pochi anni, gli ha permesso di costruire un curriculum strategico rispetto all’organizzazione aziendale. È questo il segreto di un manager che ha maturato vision caratterizzate da una lucidità e un pragmatismo che oggi fanno la differenza della società che ha creato, il cui nome è un programma: Business Brain.

“Dopo una scuola tecnica, ho iniziato a lavorare in una piccola multinazionale che faceva prodotti laminati in ottone – spiega Vassena, oggi CEO di Business Brain -. Il CFO mi aveva inserito nella contabilità industriale. Prima, però, ha coordinato per diversi mesi la mia formazione, con master in Bocconi, MIP e via dicendo. Abituato a cose più pratiche, alle macchine operative industriali e alle linee di produzione, all’inizio con pricing, bilanci e affini mi sembrava di vivere in una dimensione quasi esoterica. Finito questo percorso, sono stato mandato giù in stabilimento per capire come lavoravano tutti i reparti e raccordare la mia conoscenza dei processi produttivi con le dinamiche economiche e finanziarie. Sono stato fortunato: ho iniziato in un’azienda che non solo sapeva fare le domande giuste ma sapeva come rispondere nel modo giusto. L’obiettivo del CFO era di raccogliere i dati delle persone che lavoravano in azienda per portare informazioni all’amministrazione, che deve scomporre ore dirette e indirette di produzione di tutti i turni di lavoro, creando un sistema capace di mettere in relazione tutte le informazioni dette e non dette che circolano nell’organizzazione. Ho progettato una piattaforma che offriva supporto ai processi decisionali, mettendo in collegamento gli aspetti operativi con gli impatti economici finanziari. È stato il mio primo Decision Support System, che la proprietà ha fatto certificare da Andersen Consulting”.

Il bilancio è sempre il risultato di una serie di azioni

Come sottolinea il manager, il bilancio è sempre il risultato di una serie di azioni. Paradossalmente, in azienda non esistono i dati in sé e per sé: esistono le persone ed esistono i processi. Capire la rete di relazioni e di procedure è fondamentale per mappare cosa sta avvenendo, cosa funziona e cosa no e attivare le dovute azioni correttive. Le aziende vogliono cruscotti evoluti che evidenzino fenomeni da gestire, ai quali sia abbinato un responsabile al quale possa essere richiesto un feedback entro un determinato tempo, ad esempio prima che il mese si chiuda o, più significativamente, prima che sia troppo tardi.

“Servono soluzioni che garantiscano ai manager un approccio proattivo – prosegue Vassena – che porti i responsabili ad agire per ottenere il risultato voluto e non ad un approccio reattivo, che permetta di agire solo a seguito di approfondite analisi sul perché sono successe certe cose. Il problema è che ancora oggi, malgrado gli strumenti a disposizione, i manager non hanno la piena comprensione di quello che succede al business perché non riescono a valutare in maniera oggettiva quello che succede all’interno dei processi. Il grosso limite degli spreadsheet è che sono pieni di dati registrati a consuntivo”.

Ieri Excel. Oggi dati eccellenti, vale a dire utili e veloci

Il tema è complesso anche perché lo si può affrontare da più punti di vista. Si può parlare di capacità di gestire meglio la quantità crescente di dati che circola dentro alle aziende e fuori dalle aziende, ovvero di Big Data Managementche il solito mantra delle 5 V (Volume, Varietà, Velocità, Volatilità, Valore) ricorda si tratti di una nuova gestione capace di estrarre maggiore conoscenza dalle informazioni.

Si può far riferimento all’evoluzione di una Business Intelligence a uno stadio evoluto.

  • La BI 1.0 è quella delle analitiche descrittive, che fotografano la situazione attuale e passata dei processi aziendali e/o delle aree funzionali
  • La BI 2.0 sono le analitiche predittive, che effettuano l’analisi dei dati per rispondere a domande relative a cosa potrebbe accadere nel futuro
  • La BI 3.0 include analitiche capaci di proporre ai decisori aziendali soluzioni operative/strategiche in base alle analisi svolte
  • La BI 4.0 implementa autonomamente l’azione proposta secondo il risultato delle analisi svolte, facendo riferimento a piattaforme di nuova generazione, più integrate e performanti.

“Si parla tanto di Industria 4.0 ma i driver tecnologici che caratterizzano i modelli dell’innovazione vanno compresi molto bene – prosegue Vassena -. Le aziende, ad esempio, devono avere la testa nelle nuvole ma i piedi ben piantati a terra. Le analitiche, invece, devono essere utilizzate in qualsiasi contesto nel quale ci sia necessità di estrarre conoscenza aziendale ma servono dei modelli capaci di gestire l’evoluzione di ogni impresa. Tutto parte dall’analisi. Cosa vuole davvero un’azienda? Vuole migliorare la sua comprensione dei dati e dei suoi processi di controllo? Vuole un sistema più veloce che faccia velocemente dei report? Vuole dashboard con grafiche più accattivanti? Oppure vuole un sistema che sappia raccogliere i dati strutturati e destrutturati? In realtà la domanda fondamentale è: vuoi qualcosa che ti avvicini alla tua fabbrica e ti faccia sentire e partecipare, insieme ai tuoi colleghi, a tutto quello che sta succedendo, andando alla radice dei processi e dei problemi? Sembrerà paradossale, ma quante volte il controller di un’azienda viene a conoscenza di fatti importanti, di eventi che richiedono interventi tempestivi, durante una pausa alla macchinetta del caffè?”.

Il problema, ribadisce Vassena, è a livello di progettazione: le principali soluzioni di BI e di Corporate Performance Management (CPM) presenti sul mercato, infatti, non sono in grado di aiutare i manager a interpretare le informazioni che stanno determinando conseguenze negative per l’azienda e che, opportunamente intercettate, possono innescare una reazione correttiva o proattiva immediata ed efficace.

Le aziende hanno bisogno di più informAzione

Troppo spesso i manager non conoscono il quadro delle azioni intraprese e della loro efficacia perché le soluzioni in commercio sono pensate per gestire e rappresentare fenomeni già manifestatisi in termini economico finanziari. Si tratta di una distorsione operativa: i decisori vengono informati sempre e comunque a posteriori (anche se con un livello di dettaglio elevato).

Le aziende dovrebbero avere al loro interno persone sanno che cosa sta succedendo: un ordine fermo, una linea di produzione bloccata, una campagna che non funziona, una promozione sbagliata… Bisogna dare consapevolezza, il che significa garantire un’estrema facilità nella parametrizzazione di tutti gli aspetti operativi, produttivi, logistici e commerciali.

I controller ricevono notifiche in cui sono presenti dati relativi a situazioni già verificatesi: situazioni che, forse, si sarebbero potute evitare. Quello che manca sono soluzioni strutturate per intercettare ed evidenziare le informazioni che costituiscono le determinanti operative dei risultati. C’è uno scollamento tra chi sa gestire i dati e chi li deve usare per prendere decisioni strategiche per il business. Ma le aziende sono consapevoli di questi limiti?

Mauro Vassena, CEO di Business Brain

“Solo in parte anche perché in gioco ci sono forti componenti psicologiche – ribadisce Vassena -. Il limite è sempre la persona. È chiaro che all’interno dell’organizzazione quando si introduce un concetto di complessità come un Sistema Esperto si mette in gioco la competenza di ogni risorsa. L’innovazione è una sfida tra il sapere acquisito e la flessibilità necessaria a garantire agilità professionale e personale. È questo il primo grande ostacolo. Bisogna portare le persone ad avere maggiore fiducia negli strumenti e in sé stessi. Gli strumenti di DSS oggi aiutano le risorse ad avere il quadro di insieme e a recuperare consapevolezza dei ruoli e delle risorse. La collaboration di cui oggi si parla tanto non significa favorire i processi di comunicazione delle informazioni, ma mettere le persone a lavorare insieme sugli stessi obiettivi. Metaforicamente parlando, i controller sono navigatori che danno le istruzioni ai piloti prima che affrontino la curva in velocità. Bisogna far accendere la telemetria alle aziende e introdurre simulazioni parametrizzate sulle attività reali del business. Il traguardo? La marginalità ma anche la tranquillità di saper scegliere”.

Attenzione però: collaborazione significa anche dialogo. Bisogna imparare ad ascoltare cosa dicono gli utenti interni. Se la proprietà vuole raggiungere una certa posizione di mercato, ma il target definito a priori non è fattibile per determinati motivi che conoscono i venditori, gli account, i product manager o gli addetti allo sviluppo, è bene che questo tipo di informazione emerga e sia immediatamente condivisa.

Analizzare la domanda, non la risposta

“È doveroso analizzare il proprio portafoglio di servizi – continua Vassena -, capire quali sono le azioni più strategiche, i prodotti da mettere in pista, le offerte da negoziare ma anche valutare il rischio, monetizzare le persone coinvolte, il tempo dedicato ai nuovi progetti, le risorse finanziarie necessarie ad alimentare le attività nel breve, nel medio e nel lungo periodo. In questo momento le aziende sono ferme al palo perché non sono in grado di avere informazioni utili ad acquisire quell’agilità decisionale che offre copertura finanziaria certa”.

Le piattaforme di DSS 4.0 oggi integrano applicazioni che permettono di condurre simulazioni di budget, di forecast, calcolando l’impatto di variabili di tipo quantitativo (non solo i volumi di vendita ma i tempi di attraversamento, i tempi macchina, i giorni di consegna, i giorni di pagamento e così via) sulle variabili economiche e finanziarie, chiudendo il ciclo con lo stato patrimoniale (di società o consolidato). Il tutto con tempi di risposta adeguati e un’intuitività dei dati adamantina. È così che ogni singolo attore aziendale può valutare le azioni in modo mirato, potendo pesare il rischio economico finanziario senza dover attendere il termine del lungo processo di consolidamento dei dati. È così che il Business Process Management diventa davvero più agile e smart.

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