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Digital transformation e risorse umane, Corso: «Serve accompagnare le persone nel cambiamento»

La cultura aziendale e i comportamenti di dipendenti e manager sono le chiavi per il successo della digital transformation, ma spesso le aziende li trascurano. «Bisogna avere il coraggio di abbandonare i modelli organizzativi consueti e preparare le persone a recepire le opportunità dei prossimi anni», spiega Mariano Corso, docente di Leadership & Innovation al Politecnico di Milano e Direttore Scientifico di P4I-Partners4Innovation

Pubblicato il 12 Nov 2018

Manuela Gianni

Direttore, Digital4Executive

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Digital transformation e risorse umane: un binomio inscindibile, ma solo in teoria. La realtà è che a mettere le persone al centro del cambiamento sono solo poche aziende illuminate, mentre troppe restano ancorate a un passato che non c’è più. Nell’era digitale, la metafora giusta per rappresentare l’organizzazione aziendale è quella di un organismo: è vivo e si adatta al contesto, arrivando se serve a far evolvere una parte di se stesso se diventa inutile. L’impresa concepita come una macchina ben oliata ha fatto il suo tempo. I ruoli rigidamente assegnati e la specializzazione dei compiti non permettono di affrontare un contesto incerto come quello attuale. Anche perché la rivoluzione digitale ha già di fatto cambiato comportamenti, aspirazioni e bisogni delle persone, che chiedono e offrono sempre più flessibilità e autonomia: lo conferma il successo dello smart working.

«Per diventare innovative e realizzare un percorso di Digital Transformation, prima di tutto le aziende devono diffondere una nuova cultura (si parla anche di digital mindset – ndr), favorire nuovi comportamenti e adottare nuovi modelli», spiega Mariano Corso, docente di Leadership & Innovation al Politecnico di Milano e Direttore Scientifico di P4I-Partners4Innovation.

Digital transformation e risorse umane, serve ottimismo

«Stiamo vivendo un periodo storico fantastico, ricco di novità – dice con entusiasmo Corso. – La trasformazione digitale sta spingendo anche le aziende molto tradizionali a ripensarsi. È un vortice di cambiamenti e opportunità che tocca tutte le industry, dovuto al convergere di diversi fenomeni: le nuove tecnologie digitali abilitano modelli di consumo alternativi e nuove modalità di interazione e creazione dei contenuti». Le prime industry a essere risucchiate dal vortice della disruption sono state quelle del retail, del settore media ad entertainment, dei prodotti e servizi tecnologici, dei servizi finanziari e delle Telco. Ma chi ha avuto più tempo per aspettare, ora dovrà fare più in fretta, perché il vortice tende ad accelerare le sue dinamiche.

«Questa trasformazione è veloce, genera dubbi e crea ansia verso il futuro. Basta vedere i titoli dei giornali per capire che si sta diffondendo l’idea che la tecnologia sta mettendo in discussione il nostro benessere. I robot non ci ruberanno il lavoro, perché nasceranno nuovi bisogni e nuovi mestieri. Alcuni lavori spariranno, ma questo è sempre accaduto, e molti altri verranno aumentati dalla tecnologia, che renderà l’uomo più produttivo. Il pessimismo è un errore di prospettiva incredibile. La verità è che l’innovazione ci permetterà di sfruttare al meglio le risorse, ci sarà più inclusione e ricchezza. Invece il percepito è l’opposto».

People management, la chiave del successo 

In questo contesto, le aziende che non vogliono essere travolte dall’ondata del digitale devono affrontare una trasformazione che mette al centro le persone, riscoprendo le loro capacità e preparandole a nuovi impieghi. Nonostante la profondità e pervasività dell’innovazione tecnologica nelle nostre vite, i processi e l’organizzazione del lavoro sono rimasti in molti casi rigidi, fermi a stereotipi e pregiudizi di un’era ormai superata.

«Il successo dipende dalla capacità di accompagnare le persone. L’impatto costringe a uscire da una zona di confort, a reinventare una professionalità. Molte aziende falliscono nella gestione del cambiamento perché dimenticano le persone. Non basta semplicemente dire: “Da domani si fa così”. Le persone se hanno paura e sfiducia non cambiano. Serve un approccio positivo, in grado di ingaggiare in modo profondo le persone e attivare le loro capacità nascoste. Bisogna costruire una palestra in cui si possono allenare a recepire le opportunità che arriveranno nei prossimi anni, anche se non le conosciamo. Determinante, inoltre, è l’impegno dei manager: i capi ci devono credere e devono dare l’esempio».

Change management e digital empowerment 

In concreto, quello che molte organizzazioni hanno già iniziato a fare è costruire un piano di change management e un percorso di digital empowerment a tutti i livelli, con attività mirate che puntano sulla diffusione di nuove competenze, aggiornamento e formazione, percorsi per la generazione di idee innovative.

«Occorre costruire una Digital Organization ispirandosi a nuovi principi organizzativi e per farlo bisogna avere il coraggio di abbandonare modelli a cui siamo abituali. Oggi serve trasversalità, non specializzazione: i silos non agevolano il cambiamento. Bisogna superare quella regola non scritta per cui una persona può parlare solo con il suo capo: al contrario, deve essere premiata la comunicazione aperta e orientata al problem solving. Non significa che servono figure generaliste: le competenze distintive restano fondamentali, ma devono essere messe al servizio di tutti. Alla fine, è una questione di apertura e curiosità».

Leadership condivisa per un’organizzazione liquida

Cambia anche il ruolo del capo, da supervisore a orchestratore di risorse. Un approccio ben diverso da quello che misura il potere in base a quanti sono i sottoposti. Occorre poi, con un sano realismo, considerare i processi non come lineari, ma interattivi: se serve bisogna reiterare, imparando dagli errori. In queste nuove realtà liquide e poco stabili, il digitale deve permeare l’intera organizzazione.                                               

«I leader del futuro hanno uno ruolo straordinario, strategico ed etico: diventare allenatori per le persone del futuro per fare in modo che essi stessi costruiscano il loro futuro, il loro valore la loro impiegabilità, anche a prescindere dall’azienda. È una leadership condivisa, in cui ognuno sa farsi influenzare dagli altri, grazie ad approcci e modelli organizzativi orientati a favorire la diffusione di cultura, stili manageriali e comportamenti basati sulla definizione di obiettivi, sulla responsabilizzazione sui risultati e la valutazione delle performance».

Un approccio che deve partire dal DNA di ciascuna azienda. «Non esiste un’unica ricetta – conclude Corso –. Definire una struttura organizzativa e nuovi processi standard facilita la fase iniziale, ma poi sarà la diffusione e l’interiorizzazione di una nuova cultura imprenditoriale a rendere di successo le iniziative che si deciderà di lanciare».

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