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Processo Civile Telematico (PCT), luci, ombre, novità 2015: torna la carta

La nuova disposizione dà valore legale al deposito telematico degli atti introduttivi dei procedimenti di cognizione e di volontaria giurisdizione effettuati dal difensori o dai dipendenti pubblici. Ma l’introduzione di mezzi telematici ha colto impreparati gli uffici interessati, sprovvisti ancora degli applicativi per la gestione telematica, tanto che il Parlamento preferisce la carta. «Il problema è a monte: in tante cose del Pct, il legislatore si è messo a correre senza preoccuparsi che la tecnologia e l’organizzazione dei tribunali fossero pronti», sottolinea Enrico Consolandi, Magistrato Responsabile Informatico del Tribunale di Milano

Pubblicato il 12 Ago 2015

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Il Decreto Giustizia per la Crescita (83/2015) corre avanti sul Processo Civile Telematico, ma il tutto avviene in un clima confuso e di grandi polemiche, tanto che alcuni vorrebbero mantenere la carta.

È al momento difficile, quindi, valutare l’impatto pratico delle norme. Per altro, il testo è in fase di conversione in legge e soggetto a modifiche che potrebbero alla fine stemperare alcune delle disposizioni più innovative. «La novità principale del decreto è che estende a tutti gli atti il processo civile telematico. Anche ai primi atti e anche per le Corti d’Appello», dice Enrico Consolandi, Magistrato Responsabile Informatico del Tribunale di Milano, pioniere del processo civile telematico (Pct).

Per l’esattezza, il decreto dà valore legale al “deposito con modalità telematica degli atti introduttivi dei procedimenti di cognizione e di volontaria giurisdizione, quando effettuati dal difensori o dai dipendenti pubblici”.

In questo caso il deposito telematico è facoltativo, e non sostituisce del tutto la carta. Sappiamo che adesso (con l’ultima scadenza, scattata il 30 giugno 2015) è obbligatorio depositare in via telematica gli atti endoprocedimentali di tutti i processi in corso, anche delle Corti d’Appello. L’obbligo del deposito telematico esclude l’atto di citazione e le comparse di costituzione (a meno che il tribunale non l’abbia previsto con apposito decreto).

Anche dopo il 30 giugno il deposito telematico degli atti introduttivi restava insomma impossibile; laddove invece quello degli atti endoprocedimentali era non solo possibile ma persino obbligatorio. Uno scarto molto grande nelle disposizioni, che il nuovo decreto Giustizia cerca di colmare. Ed è comunque un passo in un lungo percorso, dato che dal primo gennaio scatta l’obbligo anche per gli atti del processo amministrativo.

«Tutto molto bello, molto innovativa questa corsa in avanti. Peccato che la nuova disposizione, sugli atti introduttivi, avvenga dall’oggi al domani e i tribunali non siano per niente preparati», dice Consolandi.

«Soprattutto nelle Corti d’Appello non ci sono gli applicativi per la gestione telematica: arriveranno verso fine anno. Nel frattempo bisognerà stampare il file. È comunque un falso problema – dice Consolandi. Arrivano circa 20-30 atti al mese in ogni Corte, quindi si potranno stampare senza problemi. Ma il problema è a monte: in tante cose del Pct, il legislatore si è messo a correre avanti senza preoccuparsi che la tecnologia e l’organizzazione dei tribunali fossero pronti».

«Lo stesso vale per la nuova disposizione, del decreto Giustizia, sull’Albo dei curatori fallimentari (Ctu). È utile che ci sia, ma era già previsto da norme precedenti e non è stato fatto per difficoltà organizzative. Ora l’obbligo viene ribadito, ma le condizioni non sono cambiate», continua Consolandi.

L’Associazione nazionale dei magistrati, in una lettera di giugno al ministero, ha denunciato la situazione, chiedendo un piano preciso di adeguamento al Pct, con risorse umane e tecniche necessarie a gestirlo. «Al momento non abbiamo nemmeno una figura di data entry, quindi non è chiaro chi debba fare l’albo dei curatori fallimentari.

Il nuovo decreto prevede due mila assunzioni, ma tratte da altre amministrazioni e non di figure informatiche. Per queste, al momento, ci arrangiamo con stagisti», dice Consolandi. Secondo i magistrati, altri problemi riguardano i software (ancora non aggiornati con le funzioni richieste), la dotazione di computer e alcuni aspetti tecnico-burocratici («non sempre riusciamo ad accedere agli atti perché la firma digitale è scaduta e per aggiornarla la burocrazia richiede settimane», dice Consolandi) oltre che telematici.

Spia di queste difficoltà è anche un emendamento approvato alla Camera, in fase di conversione in legge: nel testo diventa obbligatoria la copia cartacea degli atti depositati in via telematica.

Insomma, un doppio binario. La copia cartacea finora era “di cortesia”, cioè facoltativa, anche se alcuni giudici la pretendevano (a fronte dei suddetti problemi di gestione degli atti telematici). L’obbligo alla copia di carta sembra insomma un tappa-buchi che però ha un effetto paradossale.

Il risultato è che al momento arrivano critiche da tutte le parti: l’associazione nazionale forense ha protestato contro l’obbligatorietà della carta: ”segnerebbe l’inizio della fine del processo telematico, e sarebbe un passo indietro per una giustizia più rapida ed efficiente”, ha detto il Segretario Generale dell’Associazione Nazionale Forense Luigi Pansini.

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