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Indra: «Per competere nell’era digitale serve una nuova gestione del rischio e più apertura»

Claudio Golino, Direttore Energy, Industrial & Consumer Markets di Indra Italia, illustra i passi necessari per la digital transformation, che tante aziende hanno già iniziato a fare: change management per una nuova cultura aziendale, un mutato orientamento al rischio che contempli il lato positivo del fallimento, e una maggiore apertura verso l’esterno, per favorire la contaminazione di idee

Pubblicato il 11 Dic 2017

Claudio Golino, Direttore Energy, Industrial & Consumer Markets di Indra Italia

La Digital Economy comporta grandi trasformazioni, anche nel tessuto organizzativo e culturale delle aziende. Sotto questo profilo, stando alla nostra esperienza, vi sono almeno tre necessità particolarmente rilevanti (soprattutto per le aziende longeve) per completare con successo un percorso di trasformazione digitale: una nuova cultura aziendale, un mutato orientamento al rischio ed una maggiore apertura verso l’esterno.

Il cambiamento culturale è uno degli elementi più difficili da eseguire in quanto richiede, per la sua realizzazione una narrativa attraente delle ragioni del cambiamento (cioè, un “Why” attrattivo che comprenda contesto, vision e “call to action”), un piano di incentivi chiari ed una scommessa sull’adattamento delle competenze interne al nuovo contesto.

La nuova cultura aziendale può essere declinata in due modi: in primis come necessità di change management della workforce aziendale verso un approccio “digital” da complementare con l’inserimento in azienda di figure professionali nuove che siano in grado di promuovere e supportare lo sviluppo del business in aree diverse da quelle tradizionali. In secondo luogo con la necessità di rinnovare l’“identità Aziendale”. Le aziende, con presenza consolidata in business tradizionali, e per ciò riconosciute dal cliente, devono cambiare allineando il proprio brand, la propria immagine, comunicazione ai nuovi business per bilanciare la necessità di rendersi “riconoscibile” dai clienti attuali e potenziali sia sul business tradizionale sia nei nuovi business.

Qualsiasi cambiamento culturale deve necessariamente mirare a promuovere una nuova propensione al rischio. Da questo punto di vista, condividendo un pensiero di Joichi Ito (responsabile del MIT Media Lab) i fallimenti con costi elevati sono problematici, mentre i fallimenti a basso costo sono interessanti, in quanto apportano esperienza e flessibilità.

In Italia per esempio Comau (leader a livello mondiale nel settore dell’automazione industriale) ha costruito una Joint Venture per affrontare le sfide innovative legate ad Industria 4.0 mediante l’implementazione, in ambito manifatturiero, di soluzioni di manutenzione predittiva avanzate e l’utilizzo in fabbrica di tecnologie 5G per gestire i dati provenienti dal campo. All’estero Electricité de France (EDF) e Shell finanziano Start Up innovative; per esempio Shell LiveWIRE ha investito 4,3 milioni di dollari finanziando giovani “imprenditori” che avessero originali business ideas nell’ambito della sostenibilità ambientale. Tra queste per esempio, lo sviluppo di wind turbines che sfruttano le turbolenze del traffico cittadino o nuovi processi di lavorazione degli scarti del caffè per produrre energia verde.

La terza necessità, maggiore apertura verso l’esterno, è fondamentale per favorire la “contaminazione” di nuove idee e per ridurre i rischi derivanti dall’utilizzo delle risorse verso configurazioni meno prevedibili condividendo l’impegno delle stesse con altri soggetti istituzionali e/o privati. Ciò si concretizza nella creazione di “ecosistemi” dell’innovazione in cui le aziende collaborano con università, centri di ricerca, fornitori ed infine aziende (eventualmente anche competitors) per esplorare nuove opportunità innovative e/o definire nuovi standard di mercato quando non presenti. Si parla in questo caso di “Open Innovation” con l’obiettivo di promuovere attraverso “knowledge transfer” e “cross fertilization” la generazione di nuove risposte a vecchi problemi ed anche (se non soprattutto) la generazione di nuove opportunità.

Per favorire questa “contaminazione” molte aziende hanno creato degli “innovation outpost” lì dove si sta concentrando una parte significativa della genesi della “digital economy”: in California. Circa 44 aziende europee, secondo dati del report “Mind the Bridge”, hanno già creato un presidio nell’area; tra le italiane troviamo Luxottica (San Francisco) ed Enel (Berkeley) mentre tra le europee si riscontra una significativa presenza del settore automotive con Audi, Mercedes e Renault.

Un esempio di approccio open orientato all’innovazione è IoT & Big Data Sofia2, la piattaforma di Minsait – la business unit di Indra per la trasformazione digitale – che consente di integrare informazioni eterogenee provenienti da differenti dispostivi e sistemi. La piattaforma – utilizzata in ambiti quali Smart City, Smart Health e Smart Home, tra gli altri – è in grado di elaborare migliaia di eventi al secondo, ha capacità Cloud, di archiviazione Big Data e regole integrate. Minsait IoT & Big Data Sofia2 ha vinto recentemente il “Solutions Provider Innovations” agli Smart City Excellence Awards di TM Forum e l’Open Digital Ecosystem Platform of the Year Award per la sua capacità di promuovere la creazione di ecosistemi digitali aperti volti a favorire la collaborazione tra aziende, organizzazioni e ricercatori.

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