Agenda Digitale

Sprint dell’Italia verso l’Agenda Digitale con i fondi UE Horizon 2020

I finanziamenti europei sono un’opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire. Se ne è parlato alla presentazione del rapporto annuale I-Com, che evidenzia un gap crescente tra il nostro Paese e il resto d’Europa in tema di Banda Larga: ci stiamo avvicinando sempre più al fondo della classifica. Scontiamo un ritardo di sistema, radicato nel cuore delle nostre istituzioni e settori produttivi

Pubblicato il 13 Dic 2013

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Comincia lo sprint dell’Italia per sfruttare i fondi UE Horizon 2020, ultima spiaggia per realizzare l’Agenda digitale italiana.

Parte delle istituzioni e tutti i vendor spingono in questa direzione con fiducia, ma ci sono ancora resistenze da superare nella PA e burocrazia ostile al cambiamento. Sono i concetti emersi durante il convegno romano che, l’11 dicembre, ha presentato il rapporto I-Com 2013 sullo stato della banda larga italiana.

Il rapporto è preoccupante, perché non solo la banda larga non cresce quanto dovrebbe ma sta persino rallentando, in Italia.

«Dopo la forte crescita del 2008-2010, c’è un forte rallentamento nei tassi di crescita della connessione delle abitazioni alla banda larga. Se le tendenze degli ultimi anni dovessero essere confermate, è facile prevedere che già tra il 2013 e il 2014 anche Bulgaria e Romania, oggi le ultime in classifica su questo indicatore, supereranno l’Italia» ha detto Stefano da Empoli, presidente di I-Com.

Spicca il dato secondo cui nessuna regione italiana – nemmeno le più virtuose – fa meglio della media europea quanto a utilizzo della banda larga. E’ la conferma che a penalizzare l’Italia è un ritardo di sistema, radicato nel cuore delle nostre istituzioni e settori produttivi.

Ci si può solo consolare un po’ nel leggere i piani di investimento su reti fisse e mobili da parte di Telecom Italia, Vodafone e Fastweb. Tali per cui «il 2014 si annuncia come un anno decisivo e potrebbe segnare una svolta nella rincorsa dell’Italia verso gli obbiettivi dell’Agenda digitale europea 2020», dice Da Empoli. Quello che manca è l’adozione dell’Agenda digitale italiana come strumento che radichi la tecnologia nel fare comune dell’Italia, tra le Pa, le aziende e i cittadini.

E per questo scopo c’è bisogno non solo di fondi ma anche (e soprattutto) di coesione tra i soggetti interessati, per cambiare le vecchie logiche che finora hanno regnato nel sistema. Sono stati d’accordo con quest’analisi molti degli intervenuti al convegno, tra cui Francesco Sacco (docente dell’università Bocconi di Milano e membro dell’Unità di Missione per l’Agenda digitale presso la Presidenza del Consiglio) e Roberto Sambuco (Capo dipartimento comunicazione al ministero dello Sviluppo economico).

«Ci stiamo battendo perché i fondi UE Horizon 2020, ora in arrivo, vadano anche al piano nazionale delle infrastrutture digitali, come previsto dalle tre priorità indicate dal commissario all’Agenda Francesco Caio (Anagrafe nazionale della popolazione residente, fatturazione elettronica, identità digitale). Chiediamo che il ministro Carlo Trigilia alla Coesione Territoriale si faccia carico di questa istanza», ha detto Sambuco. «Sono questi i fondi con cui è possibile fare l’Agenda digitale, del resto. E non succeda più lo scandalo di questi anni, quando non siamo riusciti a utilizzare 30 miliardi di euro dei soldi europei per l’innovazione. Come si vede non è più questione di fondi mancanti, per fare l’Agenda, quanto piuttosto di impegno collettivo per realizzare piani con cui ottenere le risorse europee e poi attuarli. E’ questa coesione che è mancata finora. Lo conferma il fatto che lo Statuto dell’Agenzia per l’Italia Digitale è in ritardo da un anno e ancora non è stato mandato dalla Presidenza del Consiglio alla Corte dei Conti. E l’Agenzia è proprio l’ente fondamentale per attuare i piani digitali all’interno delle PA e coordinarle verso il cambiamento», ha detto ribadito Sambuco.

Un grande cambiamento è appunto quanto possibile con i tre progetti indicati da Caio. «Li abbiamo scelti perché sono il punto di partenza con cui cambiare il modo di lavorare di PA e aziende nel segno del digitale. Sono pilastri, difficili da realizzare perché cambiano tutto. Ma proprio per questo motivo, per la loro radicalità trasformativa, sono necessari all’evoluzione digitale dell’Italia», ha detto Sacco.

Antonio Preto, commissario del’Agcom, ha chiarità che la sua Autorità vede in questa direzione: «la rete ha bisogno di investimenti per rispondere alle richieste del mercato. Il quadro regolatorio deve consentire a tutti gli operatori di investire in infrastrutture digitali innovative ed, eventualmente, di cooperare perché gli investimenti siano realizzati in modo efficiente».

Tuttavia, le regole non stanno cambiando con l’adeguata fretta, secondo Gianluca Baini, Presidente Regione Mediterraneo Alcatel Lucent: «l’Italia è uno dei pochi Paesi europei in cui il vectoring su fiber to the cabinet non è ancora autorizzato dal quadro regolatorio. Eppure sarebbe fondamentale per raggiungere gli obiettivi 2020 nelle zone non metropolitane».

Spinte e resistenze. Accelerazioni e rallentamenti quasi fisiologici di un sistema che cerca sempre le vie per contemperare le istanze di tutti i soggetti (compresi quelli che fanno retroguardia reazionaria). Sembra questo il grande male dello sviluppo digitale italiano. Almeno ora è stato individuato, chiaro a tutti i responsabili della materia.

Ora si tratta di andare oltre con decisione.

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