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Employee Advocacy: Gruppo Montenegro punta sul coinvolgimento dei dipendenti su LinkedIn

La società che produce ed esporta in 70 Paesi diversi brand, tra cui Amaro Montenegro, Vecchia Romagna, Spezie Cannamela, ha intrapreso un percorso per rendere le persone – anche quelle che lavorano nelle “retrovie” – ambasciatori del brand verso gli altri dipendenti e verso l’esterno, raccontando punti di vista, passioni ed esperienze legati all’azienda attraverso i profili social personali. Il racconto di Antonio De Pascali, HR Manager del Gruppo

Pubblicato il 23 Lug 2021

Gruppo Montenegro

Le persone che lavorano in azienda sono una delle voci più credibili e competenti per promuovere il brand, non solo dal punto di vista dei prodotti e servizi, ma anche e soprattutto come portavoci della cultura aziendale e della sostenibilità di un’impresa. Una leva importante, quindi, non solo di comunicazione e marketing, ma soprattutto di coinvolgimento dei dipendenti e di attrazione di nuovi talenti, oltre che di trasparenza dell’organizzazione a beneficio dei clienti finali.

La pensa così anche Gruppo Montenegro, come ha sottolineato in occasione del suo intervento al Web Marketing Forum 2021, Antonio De Pascali, HR Manager, che ha parlato della loro strategia di Employee Advocacy (qui è possibile vedere l’intervista completa a Cristina Danelatos, HR Director e responsabile Corporate Communication di Gruppo Montenegro, la società che produce ed esporta in 70 Paesi i brand Amaro Montenegro, Vecchia Romagna, Bonomelli, Thè Infrè, Olio Cuore, Spezie Cannamela, Polenta Valsugana, Pizza Catarì).

Employee advocacy, perché è così essenziale oggi per le aziende

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire che cosa è l’employee advocacy. In poche parole si fa riferimento alla promozione di un’organizzazione direttamente da parte delle persone che vi lavorano. Un dipendente ingaggiato in questa attività è qualcuno che:

  • genera un’esposizione positiva e aumenta la consapevolezza di un marchio attraverso i media digitali e/o i canali offline;
  • rappresenta i migliori interessi dell’azienda sia internamente che esternamente;
  • può aiutare a costruire la reputazione propria e di tutti i dipendenti dell’organizzazione, rafforzando anche il personal branding di colleghi e superiori;
  • è un esperto del prodotto o servizio e può esserne un portavoce credibile;
  • raccomanda i prodotti o i servizi della sua azienda non solo a un amico o a un familiare (tramite passaparola), ma lo fa sfruttando la forza dei suoi canali social, ad esempio, raggiungendo un pubblico più vasto della sola cerchia stretta di amici e parenti

L’employees advocacy è un forte elemento di misurazione dell’engagement e di supporto alla fidelizzazione dei consumatori. Secondo fonte Nielsen 2018, ben il 92% degli utenti italiani si fida di più dell’opinione delle persone reali che conosce che non degli adv dei vari marchi.

Quindi, perché non far sì che le persone dell’azienda diventino davvero la voce e il volto del Brand stesso verso l’esterno?

Fare employee advocacy significa, infatti, coinvolgere le risorse interne per far raccontare come si vive l’organizzazione, cosa si fa nelle giornate di lavoro, quali sono i valori e i momenti di aggregazione, i punti di forza: tutto narrato in maniera spontanea e personale, quindi più vera e immediata rispetto a qualsiasi altra forma di advertising strutturato.

Gruppo Montenegro e il coinvolgimento dei dipendenti su LinkedIn

Antonio De Pascali ha ribadito che le strategie social attuali si fondano troppo spesso su hot topic del momento e trend passeggeri, rendendo la comunicazione sostanzialmente omologata, tutta uguale, poco personale e personalizzata.

«Gruppo Montenegro cerca di non parlare di ciò di cui tutti parlano, di ciò che la gente vede continuamente perché ‘tira’, ma di cose reali, di chi siamo e cosa facciamo davvero», ha ribadito De Pascali. Una sorta di critica, quindi, a chi sfrutta motivetti e meme legati all’instant marketing del momento, generando sicuramente contenuti freschi e apprezzati dai consumatori, ma anche in un certo senso contenuti dalla vita breve e non fortemente legati alla personalità e ai valori del singolo marchio.

Per la sua strategia di Employee Advocacy realizzata negli ultimi mesi, Gruppo Montenegro ha deciso di puntare su LinkedIn come piattaforma social. In prima battuta le persone sono state accompagnate anche attraverso webinar di formazione. È così che i dipendenti hanno cominciato a produrre molti contenuti, che poi sono stati ricondivisi proprio su LinkedIn, con l’obiettivo di sviluppare personal branding e engagement spontaneo.

L’aspetto più originale ed efficace del progetto del Gruppo è che sono state ingaggiate non solo quelle persone che, per ruolo, sono da sempre il volto dell’azienda – come i manager, i responsabili marketing e relazioni esterne -, ma anche gli addetti alla produzione e al controllo qualità e, in generale, quei dipendenti che di norma lavorano “nelle retrovie”. Questo ha fatto scoprire ed emergere punti di vista, passioni ed esperienze legati all’azienda completamente diversi dallo storytelling canonico.

Al punto che nel 2020 Gruppo Montenegro è stata premiata tra le “Best Influencing Company” su LinkedIn.

L’efficacia dell’employees advocacy

Antonio Galliano, fondatore di w.academy, scuola di formazione 100% digitale nata proprio in tempo di lockdown, ha sottolineato, sempre in occasione del Web Marketing Forum 2021, che quando si portano avanti progetti come quello di Gruppo Montenegro, in cui si dà spazio a testimonianze reali del team aziendale, c’è un concetto fondamentale che si deve aver ben chiaro: la spontaneità.

Troppo spesso sui social non si è affatto spontanei e trasparenti, né come individui né come organizzazioni. Al contrario, l’esperienza di chi vive davvero qualcosa è fortissima perché crea una percezione reale.

L’employee advocacy, quindi, sarebbe efficace per 3 motivi:

  • la vicinanza che si crea, non necessariamente fisica ma intesa come entrare nel mondo dell’altro. In smart working abbiamo scoperto che si può essere vicini anche idealmente, conoscendo persino meglio le persone in remote che non di persona, perché siamo entrati nelle case di colleghi e capi come mai prima;
  • cambia l’atteggiamento dei manager, che si mostrano in modo meno mediato e fanno un passo indietro per dare più spazio ai propri
  • si basa sull’assenza di costrizioni, che non significa assenza di controllo sullo storytelling ma maggiore concretezza e credibilità

C’è poi un ultimo tema da affrontare, quello della misurabilità dell’employee advocacy, che non va valutata con metriche solo numeriche – come il numero di like, di ricondivisioni o di commenti – ma anche rispetto al benessere generato all’interno dell’azienda, che viene riflesso all’esterno: un circolo virtuoso qualitativo e non solo quantitativo.

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