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Rivoluzione HR: il nuovo approccio dei manager tra talenti “creativi” e metodi di performance management

Nella digital era ai lavoratori si domanda onestà intellettuale, flessibilità e entusiasmo, ai manager un approccio bottom-up e intelligenza emozionale. La valutazione dei risultati diventa personalizzata e real-time: lo scopo non è misurare quanto ha fatto bene o male un dipendente nei mesi passati, ma come alzarne le prestazioni nei mesi a venire

Pubblicato il 29 Gen 2020

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Per le aziende digitali che puntano a costruirsi un netto vantaggio competitivo le risorse umane diventano l’asset numero uno, ma questo cambio di prospettiva richiede una rivoluzione HR, un nuovo atteggiamento da parte di manager e dipendenti. Nei candidati e nei collaboratori esistenti i dirigenti HR cercano creatività e onestà intellettuale nell’esprimere le proprie opinioni, anche se divergono dalle direttive dei vertici, come ha scritto in un post Federica Beretta, Digital Marketing Manager di InJob. Le aziende diffidano del lavoratore sempre connesso, che risponde alle email di notte, parla di lavoro in pausa pranzo e fa un salto in ufficio durante le ferie: il digital business ha bisogno di risorse entusiaste e motivate perché valorizzate nei loro tratti e interessi personali e quindi incoraggiate anche nelle attività che nulla hanno a che fare col lavoro ma che portano nuove idee e entusiasmo in ufficio.

La rivoluzione HR richiede un nuovo approccio dei manager, che è stato ben esemplificato in un TedEx di Stefan Sagmeister, designer e titolare di uno degli studi più creativi di New York. Con l’eloquente titolo “Il potere del tempo libero”, l’intervento di Sagmeister raccontava che la produttività si stimola non restando asserragliati in ufficio ma conoscendo persone nuove e aprendosi a esperienze diverse. Per questo lo stesso Sagmeister periodicamente chiude lo studio e si dedica a viaggiare alla ricerca di nuove ispirazioni e relazioni da far confluire nel suo lavoro. Nell’era dello Smart Working e dell’orario flessibile, in cui i lavoratori valorizzano al massimo la work-life balance, è essenziale che i capi per primi si dedichino “ad altro” e accettino di allentare il controllo sui dipendenti: molte figure professionali possono fruttuosamente collaborare da casa aumentando l’efficienza e guadagnando in serenità nella gestione della vita personale e professionale; questo che si traduce a sua volta in soddisfazione verso l’azienda e aumento delle prestazioni. Meno stress e più creatività è una formula che vale anche, e forse soprattutto, nella digital era.

Un articolo dell’autore Travis Bradberry apparso su Talentsmart, descrive addirittura un elenco di “errori” che i manager dovrebbero evitare se vogliono evitare che le risorse migliori lascino il lavoro e passino magari alla concorrenza. Non stimolare intellettualmente le persone, non far leva sulla loro creatività, non permettere di perseguire le proprie passioni e di aggiornare le competenze sono tutti passi falsi. E ancora: è sbagliato non premiare il buon lavoro fatto, assumere o promuovere senza guardare al merito e non “preoccuparsi” delle proprie persone. I manager devono usare l’intelligenza emozionale e coniugare professionalità e rapporto umano.

Approccio bottom-up: si parte dalle persone, non dai manager

Il nodo centrale della rivoluzione HR è valorizzare come prioritarie le caratteristiche e le competenze più “personali”, ovvero le soft skill, perché sono le più preziose per l’azienda e, per il lavoratore, la base della gratificazione e quindi della produttività. Ciò richiede da parte delle HR e dei vertici aziendali in genere un approccio bottom-up: si parte dalle persone, non dai manager. Deloitte ha illustrato in uno studio il processo con cui ha aggiornato il suo sistema di valutazione dei dipendenti centrandolo sul lavoratore per riuscire a valorizzare il talento in modo più efficace. Il nuovo sistema è basato su personalizzazione, agilità e valutazioni in tempo reale. Uno dei cambiamenti più significativi è nei questionari che vengono sottoposti ai team leader, spostando l’attenzione dalle skill alle intenzioni. Per esempio, viene chiesto ai manager come pensano di gestire in futuro una certa risorsa con domande quali “daresti a questa persona una promozione o un aumento di stipendio, considerata la sua performance e se il denaro uscisse di tasca tua?”. Oppure: “La vorresti sempre nel tuo team o pensi sia a rischio di rallentare le prestazioni del gruppo?”. Questa valutazione è una forma di rating che Deloitte definisce “performance snapshot”, perché permette di catturare rapidamente le prestazioni nel preciso momento. E di centrare il vero obiettivo del performance management: mettere insieme dati più accurati e differenziati per aiutare le persone a tirar fuori i loro punti di forza e stimolare la loro crescita e realizzazione professionale. Nella sua analisi Deloitte ha scoperto anche che nei suoi gruppi di lavoro di maggior successo il senso di coinvolgimento nella mission aziendale (“mi ispira”) e la possibilità di usare ciascuno le proprie abilità erano elementi fondanti.

L’esigenza di un sistema di performance management più snello, personalizzato e real-time è stata confermata da una survey condotta dalla stessa Deloitte in cui metà (58%) degli executive intervistati si diceva non soddisfatto dell’attuale metodo di valutazione perché non stimolava l’engagement del dipendente e il miglioramento delle prestazioni. Spiegano gli analisti: i rating classici mancano l’obiettivo fondamentale, che non è misurare quanto ha fatto bene o male un dipendente nei mesi passati, ma come alzarne le prestazioni nel futuro.

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