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Employee experience: l’esperienza di lavoro “centrata sulla persona” esalta prestazioni e competitività aziendale

L’employee experience aiuta le organizzazioni ad attrarre e trattenere talenti e potenzia le prestazioni di business. È un viaggio che si costruisce in direzione bottom-up e si supporta con gli strumenti digitali partendo da una nuova cultura fondata sui valori e sulla personalizzazione. Ecco elementi, obiettivi e vantaggi di un employee journey di successo

Pubblicato il 07 Feb 2022

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È molto più che gestione delle risorse umane e cura dei talenti in un’organizzazione: la employee experience (EX) è la chiave di volta per motivare e trattenere le menti più brillanti in azienda, perché coinvolge l’intero percorso del dipendente, come un viaggio che racchiude la sua esperienza di lavoro, gli incontri con le persone, le sensazioni provate e le gratificazioni ricevute. Non a caso si parla anche di employee journey: costruito a specchio sul customer journey, che porta al livello più alto l’esperienza del cliente, l’employee experience è il nuovo imperativo per le organizzazioni che vogliono garantirsi una solida brand reputation, una cruciale capacità di attrarre i talenti e potenziamento delle prestazioni e della competitività. Jacob Morgan, autore del saggio “The Employee Experience Advantage”, definisce la employee experience come una delle macro-aree di investimento per le imprese di tutto il mondo che vogliono continuare a crescere e restare rilevanti perché, semplicemente, hanno nel loro staff i talenti migliori e i manager più capaci. Una corretta strategia che valorizza l’esperienza del dipendente si avvale degli strumenti digitali – dagli Analytics alle piattaforme mobile – per costruire e sostenere l’intero employee journey; tuttavia, il vero pilastro dell’employee experience è la mentalità “people centric”, che mette al primo posto quello che il dipendente desidera e cerca sul posto di lavoro.

Che cos’è la employee experience

La employee experience racchiude tutto ciò che un lavoratore osserva e percepisce durante l’intera esperienza di lavoro con una determinata azienda. La qualità di questa esperienza viene influenzata da elementi come gli spazi di lavoro e la flessibilità nella gestione del tempo e degli obiettivi, le interazioni con colleghi e dirigenti, la work-life balance (ovvero l’equilibrio ideale tra lavoro e vita personale, che per ogni lavoratore si trova su un punto diverso), la dotazione di strumenti tecnologici per rendere più efficiente e semplice il lavoro e, ovviamente la remunerazione e la presenza di benefit.

Per Jacob Morgan, tre elementi devono trovare posto nel quadro: l’ambiente fisico (la sede), la mentalità (i valori dell’azienda e che cosa si prova lavorando per quell’azienda), le tecnologie (gli strumenti con cui si svolge in concreto il lavoro). Il risultato finale (per le aziende top nell’attuazione della employee experience) è l’aumento della produttività, delle performance finanziarie e del valore del titolo in Borsa, ma la strategia non parte da qui bensì dalla capacità di offrire team affiatati, ambiente di lavoro confortevole e cool, una cultura che influenza le persone anche fuori dall’organizzazione, tecnologie che davvero semplificano ed esaltano il modo di lavorare.

Per questo l’employee experience non è employee engagement. Nella definizione di Morgan, l’employee engagement o motivazione del dipendente ha un obiettivo di breve termine: fornire benefici che soddisfano nell’immediato il lavoratore. Invece l’employee experience è una strategia di lungo respiro che ridisegna i processi aziendali sul concetto che la persona è al centro della vision e l’organizzazione si muove con l’obiettivo di conoscere e soddisfare desideri, aspettative e valori delle sue risorse, attuali e potenziali.

Quanto conta la employee experience

Il fattore “umano” della employee experience è così rilevante che Deloitte si è spinta fino a parlare di “human experience”. In un sondaggio del 2020 condotto  dalla società di consulenza, l’84% delle organizzazioni globali ha definito “importante” riuscire a creare una corretta employee experience e il 28% l’aveva inserita tra le tre priorità del 2019. Il motivo è chiaro: sono ormai molte le ricerche che misurano i risultati concreti sul business, come quella del MIT che, fin dal 2017, mostrava come le imprese che centrano l’obiettivo della employee experience sono due volte più innovative, ottengono il doppio della customer satisfaction e registrano utili il 25% più alti delle aziende che non riescono a creare un soddisfacente percorso di lavoro per il dipendente. Tuttavia, secondo il sondaggio Deloitte, solo il 9% delle aziende si ritiene pronto a vincere la sfida dell’employee experience. Per gli analisti la soluzione sta nel ribaltare la strategia, disegnando l’esperienza del dipendente in base a due criteri: bottom-up (partendo dalle esigenze del dipendente, magari misurate tramite Big data e Analytics) e personalizzazione (focalizzazione sull’individuo e su necessità che spesso sono psicologiche o emozionali). Solo procedendo con questo orientamento si costruisce un’esperienza di lavoro che interessa e soddisfa il lavoratore.

Il report annuale di Forrester dichiara che il 2022 è l’anno in cui gli Executive non potranno fare a meno di focalizzarsi sulla EX. In tale senso le aziende dovranno prendere delle decisioni, ad esempio su dove le persone possono lavorare, quali strumenti dovrebbero avere a disposizione, e in che modo i manager possono diventare più simili ad allenatori che a supervisori. Oggi, solo il 48% delle grandi organizzazioni negli Stati Uniti ha un programma dedicato all’Employee Experience. Nel momento in cui, a fronte di un tasso di abbandono mensile superiore al 2%, la maggior parte degli Executive comprenderanno che il modo per uscire dall’impasse è diventare dei sostenitori dell’employee experience, si prevede che la percentuale di organizzazioni che ha un programma strutturato salirà al 65%.

Di pari passo, aumentano i budget destinati all’EX, come anche gli investimenti in automazione e robotica, introdotti per integrare la forza lavoro umana. Una mossa così audace, piuttosto che segnalare la disumanizzazione del lavoro, è un chiaro segnale del fatto che le aziende si stanno muovendo per fornire un aiuto concreto alle persone. Le aziende ‘smart’ sono quelle che possono ascoltare i dipendenti e rispondere dinamicamente sia dal punto di vista degli strumenti, che della politica per trattenere i talenti, aumentare il capitale umano e persino attrarre alcuni di quei dipendenti altamente motivati.

La cosa che poi colpisce è che la rilevanza dell’EX è stata indicata anche dai Chief Marketing Officer, che la titengono essenziale per la pianificazione del brand. Quasi la metà (48%) dei leader del marketing che hanno risposto alla Global Marketing Survey 2021 di Forrester ha indicato che il miglioramento dell’EX sarà un’area strategica di attenzione nei prossimi due anni. Ma i CMO hanno anche un altro ruolo, in quanto leader nella costruzione del marchio sono i più adatti a lavorare a stretto contatto con l’HR per disegnare nuovi percorsi che migliorino l’employee experience.

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Il percorso della employee experience

Anche Reply ha sottolineato la necessità di ripensare processi, strumenti e organizzazione aziendale in ottica “dipendente-centrica”, perché solo così si centra l’obiettivo di migliorare l’esperienza complessiva del dipendente in azienda. L’era digitale ha moltiplicato le interazioni e le persone che partecipano al mercato del lavoro confrontano esperienze su scala globale: le aspettative dei lavoratori si sono alzate e garantire un’esperienza di lavoro positiva è per le aziende un’enorme leva di fidelizzazione dei dipendenti e di competitività.

Progettare esperienze positive e stimolanti per il dipendente inizia dalla fase di assunzione e continua durante tutto il percorso lavorativo. Si comincia dalle azioni di Employer Branding, che includono le strategie social che promuovono il brand e i programmi di Employee Advocacy, in cui le risorse già presenti in azienda si fanno “testimonial” del proprio datore di lavoro. Si prosegue con un recruiting coinvolgente e unico: dai colloqui il candidato (anche se poi non viene scelto o non accetta la proposta di lavoro) deve uscire con un’immagine positiva dell’azienda. Per i candidati che vengono assunti si va avanti con la fase dell’onboarding, che accompagna nel delicato processo di inserimento in azienda alla scoperta di un nuovo ambiente e di una nuova cultura aziendale. Al centro del viaggio del dipendente c’è quindi l’attività lavorativa quotidiana e i benefit connessi che rendono positiva la sua esperienza migliorando la collaborazione con i colleghi e il bilanciamento con la vita privata, gratificando il dipendente con la remunerazione e con il coinvolgimento nelle strategie e negli obiettivi. Le organizzazioni dovranno anche sostenere la professionalità del dipendente e l’avanzamento di carriera con corsi di formazione o aggiornamento e attività di coaching. E non devono dimenticare che anche la delicata fase dell’uscita (volontaria o no) dall’azienda va condotta in modo equo e corretto.

Cosa rende un’employer experience eccezionale: i sette punti dell’employee life cycle

I dati Gallup mostrano che circa la metà dei lavoratori (48%) dice di essere attivamente alla ricerca di un nuovo lavoro. Per questo motivo, i manager devono pensare ai dipendenti più come a dei clienti il cui contributo è essenziale per poter crescere nel business. Infatti, i benefici di un’ottima Employer Experience vanno al di là dell’acquisizione di talenti; non a caso, l’EX è da considerarsi come un viaggio che comprende ogni interazione che i dipendenti hanno con il loro posto di lavoro. Da qui la definizione di Gallup di employee life cycle che individua le sette fasi principali dell’esperienza del dipendente su cui i leader dovrebbero concentrarsi nella loro strategia di Employer Experience.

In ogni fase, si possono implementare delle best practice mirate per migliorare la percezione che i dipendenti hanno del loro posto di lavoro:

  1. Attrarre e reclutare i migliori talenti: Gli individui di talento sono particolarmente interessati a lavorare per organizzazioni con purpose e valori ben definiti, e li vivono in modo autentico.
  2. Scegliere il meglio: Per creare un processo di assunzione equo, le organizzazioni dovrebbero usare valutazioni di talento obiettive e scientificamente rigorose, con un occhio preventivo alle performance che si vogliono raggiungere. Le aziende che lo fanno raggiungono risultati migliori: ad esempio, fino al 10% di produttività in più, un turnover ridotto e una maggiore redditività.
  3. Politiche di onboarding: Solo il 12% dei dipendenti ritiene ottimale il processo di onboarding della sua organizzazione, che dovrebbe andare oltre l’espletamento delle procedure inziali. I datori di lavoro dovrebbero aiutare i dipendenti a socializzare rapidamente nel loro team, a capire bene purpose e valori dell’organizzazione e a indicare la strada per mettere a frutto il talento per raggiungere l’eccellenza.
  4. Costruire i punti di forza e la mission: L’impegno dei dipendenti è determinato oggi da molti fattori e non è legato semplicemente all’operare in un ambiente di lavoro soddisfacente. I dipendenti ocercano un manager che si preoccupi di loro, che gli diafiducia e li renda responsabili, che si concentri sull’eccellenza e sulle opportunità di crescita della carriera.
  5. Guidare le aspettative: I dipendenti vogliono un feedback informale regolare e il riconoscimento per un lavoro eccellente. Hanno bisogno di sentire che la loro performance – che riflette i loro risultati individuali, la collaborazione del team e il valore per il cliente – è esaminata e valorizzata in modo giusto e completo.
  6. Allenare la crescita della carriera: I dipendenti si aspettano di vedere un percorso proattivo, che prevede opportunità di acquisire nuove competenze, lavorare con nuove persone o godere di un’autonomia crescente. Nella maggior parte delle situazioni un buuon punto di partenza è prevedere delle sessioni di coaching incrementale.
  7. Esperienza di fine rapporto positiva: Lasciare l’organizzazione può essere la fase più emotiva e incerta del viaggio di un dipendente. Quando i dipendenti hanno un’esperienza di fine rapporto positiva è più probabile che diventino orgogliosi ambasciatori del marchio e che ne rafforzino la reputazione.

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Il ruolo delle tecnologie digitali

Nella employee experience gli strumenti digitali sono considerati un supporto essenziale in ognuna delle tappe del “viaggio”. pensiamo ai video-colloqui e alla gamification durante l’attività di recruiting, le piattaforme social, i supporti mobile e lo smart working per la collaborazione e la produttività flessibile, il digital mentorship e brainstorming online per il coinvolgimento e l’empowerment.

In particolare, le soluzioni di Analytics permettono alle organizzazioni di affinare la conoscenza dell’Employee experience offerta e capire quali strategie funzionano, quali sono le aree problematiche e quali gli errori da evitare. Per esempio, unendo dati operativi con dati legati all’esperienza delle singole persone, un’azienda può rilevare che in un determinato team di lavoro si registra un turnover sopra la media e capire che è dovuto alla bassa fiducia nella nuova roadmap di prodotto o che, magari, l’onboarding è stato frettoloso e non ha permesso di comprendere gli obiettivi. Lo ha spiegato bene SAP, sottolineando come, nell’era della experience economy, le aziende che vinceranno sono quelle che capiscono come far agire insieme dati di natura diversa “per raccontare la storia di quello che accade in un’organizzazione, perché sta avvenendo e come agire in tempo reale per raggiungere risultati straordinari”.

I vantaggi: la chiave è nei “valori”

Al tempo stesso, non è sufficiente rinnovare all’insegna del digitale la funzione HR e il modo di lavorare in azienda. Gartner sottolinea che la tecnologia aiuta a garantire la performance e l’engagement del dipendente, ma l’employee experience si fonda innanzitutto su una nuova mentalità e richiede una precisa strategia che mette al primo posto i valori che sono importanti per il lavoratore. Per Gartner, le aziende che sostengono i valori espressi dai dipendenti migliorano del 20% le prestazioni dei dipendenti.

La tecnologia resta fondamentale per supportare la produttività e la collaborazione e per raccogliere dati che permettono di capire che cosa per i dipendenti è importante (People Analytics), ma non è il fine né l’unico elemento che disegna l’employee experience, cui partecipano fortemente i fattori emozionali e personali. La chiave per motivare e trattenere i talenti potrebbe essere il team con cui si lavora, l’asilo nido aziendale, la mensa bio con materiali plastic-free, l’uso di energia da fonti rinnovabili. L’employee experience va disegnata e implementata partendo dai desideri del dipendente: è solo allineando l’azienda e i lavoratori su valori condivisi che si migliorano in modo efficace e duraturo i risultati e si esalta il successo aziendale.

Covid-19 e Smart Working: come cambia la employee experience

L’emergenza Covid-19, che ha imposto in tempi rapidi una capillare diffusione del lavoro remoto, ridisegna anche le modalità per costruire un’efficace employee experience. La sfida è quella di reimmaginare l’esperienza dei dipendenti nel momento in cui questi non si trovano più in una stessa sede di lavoro, ma sparsi geograficamente in più “spazi di lavoro” che spesso coincidono con la casa. In un webinar, la ricercatrice del MIT Kristine Dery e i top manager dello studio legale multinazionale King & Wood Mallesons hanno tracciato quattro possibili modi per ridisegnare la employee experience nell’era dello smart working.

Il primo esige di passare dalla modalità “sopravvivenza” creata dalla pandemia a uno brainstorming creativo, in cui si osserva e si raccolgono dati, per arrivare al redesign della employee experience. Questo ripensamento dell’esperienza del dipendente non deve solo funzionare per tutto il corso dell’emergenza Covid, ma anche oltre, in un futuro che sarà comunque caratterizzato da un lavoro agile. Il redesign si fonda sull’analisi dei dati e delle “storie” che raccontano quali soluzioni sono efficaci e quali sono da abbandonare.

Il secondo suggerimento è di trasformare processi e sistemi. Non bastano singoli dipendenti “trascinatori” dell’experience dei team di lavoro: le novità vanno incorporate nell’intera organizzazione. Si tratta di integrare tecnologie nuove, come la piena digitalizzazione del lavoro, che abilita la mobilità dei dipendenti, e l’utilizzo di piattaforme interne che permettono ai dipendenti di cercare informazioni, condividere idee e conoscenze e ridurre le duplicazioni. Ma si tratta anche di assorbire una nuova cultura, di modificare comportamenti e metriche. Avere un team dedicato alla employee experience contribuisce all’efficacia della strategia.

Il terzo modo per ridisegnare con successo l’esperienza del dipendente è fondarsi su una leadership empatica. I manager devono chiedere ai dipendenti che cosa provano e che cosa desiderano e accettare le loro richieste di supporto e i consigli su che cosa va modificato.

Infine, è importante aumentare il ruolo dei team. I gruppi di lavoro più efficaci da remoto sono piccoli (meno di dieci persone), con obiettivi circoscritti e spesso cross-dipartimentali. Dovrebbero prevedere confronti periodici con gli altri membri del team o con gli executive – anche della C-suite – per presentare i risultati raggiunti e gli eventuali ostacoli incontrati. In questo modo il management ha visibilità sul lavoro che viene svolto, mentre i team si sentono protagonisti della strategia aziendale. Nello smart working, in cui l’ufficio è “diffuso” su una molteplicità di spazi di lavoro, per gli esperti del MIT «la creatività nasce dai team, non dai leader».

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