Reportage

Ritorno in ufficio, ma non al passato: la sfida ora è progettare un nuovo modello organizzativo

Aumentare il numero delle giornate in Smart Working sarà inevitabile, ma non basta. Compito dei manager è aiutare le persone a ritrovare un nuovo equilibrio nel lavoro, bilanciando l’autonomia conquistata sul campo, a cui è ormai difficile rinunciare, con l’esigenza di recuperare la socialità e restituire un senso d’identità all’organizzazione. Ecco come si stanno orientando le aziende italiane “apripista”

Pubblicato il 02 Lug 2021

Manuela Gianni

Direttore, Digital4Executive

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Dopo il Remote Working forzato dall’emergenza sanitaria, che secondo le stime del Politecnico di Milano ha interessato 6,58 milioni di lavoratori italiani, è tempo di ritorno in ufficio. Ma come? Certamente non con le modalità del passato (anche se qualche top manager sembra desiderarlo), perché il grande esperimento forzato dal Coronavirus ha cambiato per sempre abitudini e aspettative delle persone, accelerando l’uso degli strumenti di collaborazione e la digitalizzazione dei processi.

Il tema del ritorno in ufficio è all’ordine del giorno di tutte le aziende, anche perché il clima è ancora incerto e la sicurezza sanitaria resta prioritaria. Ormai non sembra avere più senso costringere un lavoratore che ha fin qui svolto egregiamente le proprie mansioni da casa a sobbarcarsi onerosi spostamenti per fare le stesse cose a una scrivania dell’ufficio. A meno che non sia lui a volerlo, e sono in molti: c’è voglia di socialità e di relazioni dirette, c’è stanchezza per l’esplosione di videocall, call e messaggi vari di questi mesi. Insomma, occorre un nuovo approccio organizzativo al lavoro, che ponga maggiore attenzione alle esigenze del singolo, eviti il rischio di demotivazione e tecnostress, garantisca produttività ed efficienza, bilanci lavoro da casa e in ufficio secondo un modello ibrido. È un delicato equilibrio che va progettato con attenzione, una responsabilità a cui i top manager non possono abdicare.

Verso l’estensione dello Smart Working

Un primo effetto certo della pandemia sarà l’estensione dei giorni di Smart Working concessi alle persone, cosa che molte aziende stanno facendo, da quelle più innovative, come Apple e Ibm, fino alle banche e la PA. In Italia, si prevede che il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, mentre un’azienda su due modificherà gli spazi fisici. Ma non basta. Il ritorno in ufficio deve andare di pari passo con una nuova consapevolezza manageriale.

«Quest’anno ci aspetta un lavoro complesso. Serve ritrovare la dimensione della socialità e favorire un nuovo bilanciamento, conciliando l’autonomia conquistata sul campo dalle persone con l’esigenza di restituire un senso d’identità all’organizzazione. Occorre una vera progettazione organizzativa per l’hybrid work. Progettare i nuovi equilibri significa definire regole coinvolgendo i team, stabilire quali attività ha senso fare in ufficio e quando invece lasciare autonomia di scelta, costruire uffici dedicati a specifiche attività e assecondare le esigenze individuali», ha puntualizzato Mariano Corso, responsabile dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, in una tavola rotonda organizzata da Digital360 in collaborazione con Dell Technologies, a cui hanno partecipato top manager di importanti grandi aziende italiane.

“Lavoro ibrido non significa lasciare libere le persone di scegliere di lavorare dove vogliono”, ha aggiunto Corso.

Cosa abbiamo imparato dal Remote working forzato

In questo anno di pandemia sono emerse molte luci, ma anche qualche ombra. «Abbiamo capito che non solo lo Smart Working è possibile, ma che è straordinariamente efficace – ha evidenziato Corso -: le persone, se messe nelle condizioni giuste, si adattano con una velocità incredibile, indipendentemente dall’età. Tuttavia, ora il livello di engagement è in forte calo: – 16% in un anno, secondo il sondaggio dell’Osservatorio. Le persone sono ansiose, incerte e stanche, hanno meno energia ed entusiasmo. La casa è diventata l’ufficio, ma con diverse criticità: è più difficile trovare i giusti confini ed è aumentato il rischio di tecnostress, dovuto all’eccesso di connessione. I lavoratori dovrebbero avere il diritto di decidere quando disconnettersi, che non significa non lavorare, anzi».

C’è un problema evidente legato a un uso poco “sano” della tecnologia, quella stessa tecnologia che ci dona libertà e ci facilita il lavoro. Trovare l’equilibrio non è facile, ma necessario. «Le aziende che riusciranno a farlo avranno un vantaggio competitivo straordinario: attireranno i migliori talenti, soprattutto nei mercati hi-tech come il nostro, dove la competizione è forte – ha puntualizzato Filippo Ligresti, VP & General Manager Dell Technologies, che ha aggiunto -: «Da non sottovalutare poi l’aspetto della dotazione tecnologica; se un tempo l’opinione che una persona aveva dell’azienda in cui lavorava era legata all’ambiente, oggi lo è più all’esperienza digitale. Se la strumentazione fornita per lavorare da remoto – dal notebook agli applicativi software fino agli accessori come possono essere le cuffie – non è all’altezza del lavoro che si è chiamati a svolgere, a risentirne non è solo la produttività, ma anche l’engagement del collaboratore e il suo commitment verso l’azienda».

Ritorno in ufficio, i cantieri aperti nelle aziende italiane

A fare da apripista nella ricerca di nuovi modelli organizzativi per il post-pandemia sono quelle organizzazioni, come Dell Technologies, che già avevano adottato lo Smart Working prima della pandemia, quelle che possono contare su una maturità elevata nell’uso degli strumenti, e soprattutto su una cultura manageriale basata sulla fiducia e sulla misurazione degli obiettivi (mentre molti manager ancora credono nel controllo “a vista” dei lavoratori). Sono aziende che hanno affrontato il full Smart Working senza traumi, e che ora sono pronte a fare un ulteriore balzo in avanti.

«Già nel 2016 avevamo iniziato a lavorare sullo Smart Working, sulla digital readiness, sull’agilità organizzativa e di apprendimento e sulla leadership, e questo ci ha dato le basi per gestire al meglio quello che è successo – ha detto Alessandro Camilleri, Head Of Learning & Organizational Development della multiutility Hera, che impiega 9mila persone –. La sfida ora è lavorare sul cambiamento di mindset e delle abitudini, a livello capillare, senza lasciare indietro nessuno, evitando contrapposizioni tra digitale e fisico, ma integrandoli per generare valore. Occorre adottare la logica della sperimentazione, creare dinamiche efficaci nell’incrocio fisico-digitale, sapendo che le situazioni stabili nel tempo sono utopia, accettando anche qualche fallimento».

Tra chi ha deciso di spingere la sperimentazione verso la massima discrezionalità c’è ABB, eccellenza tecnologica attiva nell’ambito dell’elettrificazione, della robotica, dell’automazione e del motion, azienda nella quale la cultura aziendale è già fortemente orientata all’imprenditorialità individuale.

«In ABB siamo stati tra i precursori dello Smart Working, applicato sin dal 2015, e durante i periodi di lockdown legati alla pandemia questo ha aiutato le nostre persone a vivere il quotidiano lavoro da remoto in modo egregio – ha spiegato Emiliano Diotallevi, Country HR Manager Italy –. Ci siamo ulteriormente convinti che non ci sono timori nell’applicarlo in modo efficiente per l’organizzazione e per questo abbiamo cambiato la policy, eliminando qualsiasi limite sulle giornate di Smart Working che ogni dipendente può fare. Siamo infatti consapevoli che non c’è un set-up ottimale uguale per tutti, ogni singolo team ha un’esigenza molto specifica, così ogni manager è libero di accordarsi con i propri collaboratori conciliando le esigenze lavorative specifiche del team con le necessità personali del singolo».

Non manca però qualche preoccupazione. «La nostra è un’organizzazione snella con poca gerarchia, il che ci permette di essere agili e flessibili – ha aggiunto il manager –. Al contempo, viviamo una fase di complessità cui prestare attenzione perché i nostri manager si trovano ad avere molti interlocutori e finiscono per restare connessi troppo a lungo. Per cui è importante continuare a lavorare su un corretto bilanciamento tra la vita privata e il lavoro, a tutti i livelli».

Il ritorno in ufficio è già avvenuto per gli 8mila collaboratori della società di consulenza PWC, anche perché, come ha spiegato Matteo Veneziani, CIO and Change Leader PWC, «Le nostre persone hanno mostrato molta voglia di tornare in ufficio». Un ritorno, che però, rappresenta ancora una fase di transizione, perché «il passaggio al post-emergenza richiede una ulteriore trasformazione delle dinamiche di lavoro, e in questo processo il change management riveste un ruolo chiave».

Attualmente la presenza nella nuova torre progettata da Libeskind di Milano Citylife si attesta sovente vicino al 50% della capienza, limite imposto per le misure anti-Covid; per facilitare la gestione degli spazi è stata sviluppata un’app per la prenotazione, come in molte aziende.

«Il cambiamento nel nostro settore è stato forte – ha affermato Veneziani –: anche i clienti più scettici hanno capito che non è sempre necessario che i consulenti siano fisicamente nei loro uffici, presenza che oggi comporta per loro difficoltà nel trovare spazi adeguati al rispetto dei regolamenti». Tutto il lavoro quindi si è fatto da remoto. «Durante le fasi di lockdown, per andare incontro alle esigenze dei nostri clienti, abbiamo adottato numerose piattaforme di collaboration disponibili sul mercato».

Anche Veneziani fa notare un aspetto inatteso su cui porre attenzione. «In questa fase di lavoro ibrido ci siamo resi conto che un team ha maggiore capacità di interazione se tutti sono nella stessa situazione, in remoto o in ufficio, piuttosto che in parte in ufficio e in parte fuori. La realtà è che anche chi è in ufficio, quando ci sono colleghi da remoto, partecipa alla call dalla sua postazione, e poi si trova a bere il caffè con i colleghi presenti dopo la riunione».

Un altro settore che ha accelerato il percorso di digitalizzazione in risposta ai lockdown è quello bancario. Basta pensare all’accoglienza del cliente in filiale, trasformata in un appuntamento, che ha permesso di migliorare il servizio.

«Lo Smart Working è allergico alla carta che viene prodotta presso le filiali bancarie in grosse quantità a causa di obblighi normativi e burocratici – ha affermato Daniele Murolo, Responsabile Sistemi Periferici presso BPER Banca, che sta completando un percorso di fusioni che la porterà a raggiungere 1800 sportelli e 18mila dipendenti –. Abbiamo incrementato molto l’utilizzo delle firme digitali e favorito la diffusione di strumenti tecnologici a cui i colleghi in filiale erano poco avvezzi. Crediamo molto che il lavoro in mobilità sia il futuro, con le persone connesse ovunque tramite piattaforme in cloud, nella massima sicurezza. Siamo di fronte a un forte cambio culturale, che ci aiuterà anche a rivedere gli spazi di lavoro per una migliore condivisione delle attività e dei pensieri».

Il salto in avanti culturale innescato dalla pandemia potrebbe andare ben al di là di quanto si è fin qui manifestato nelle organizzazioni. Se lo augura Katjna Luna Liandra Lo Giudice, Head of Transformation & Change Mgmt Office di Sky Italia, che auspica un superamento dei silos aziendali, che spesso rappresentano un freno all’innovazione.

«Durante il lockdown abbiamo imparato a diversificare le modalità di interazione, cambiando le nostre abitudini, ad esempio affiancando al consueto utilizzo delle mail anche altri tool di collaborazione – ha detto la manager –. Questa è altresì un’occasione da non perdere per consolidare i rapporti e le relazioni intra e inter-dipartimentali che si sono ulteriormente rafforzati nel periodo pandemico, contaminando i saperi e sperimentando altre forme di cooperazione che mettano ancora più al centro le persone e facilitino il raggiungimento degli obiettivi condivisi».

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